Pubblicate le prime decisioni dell’Arbitro per le Controversie Finanziarie (ACF), l’organismo istituito dalla Consob per la risoluzione delle controversie tra investitori “retail” e intermediari per la violazione degli obblighi di diligenza, correttezza, informazione e trasparenza che gli intermediari devono rispettare quando prestano servizi di investimento o il servizio di gestione collettiva del risparmio.
Decisione ACF 5 giugno 2017 n. 1
La mancata adozione di un sistema di procedure tale da assicurare una tempestiva e corretta esecuzione dell’ordine di vendita ha sicuramente pregiudicato il cliente in quanto se è pur vero che egli non aveva alcun obbligo, come emittente e dunque sul piano societario, di riacquistare le azioni emesse, e che anzi non era più neppure normativamente autorizzato a farlo, è tuttavia indiscutibile che la circostanza che l’ordine di vendita non sia stato comunque neppure processato e/o auspicabilmente eseguito ha privato il cliente anche della possibilità, pur ridotta considerata la tendenziale illiquidità del titolo, di vendere a terzi le azioni che deteneva in portafoglio.
Decisione ACF 5 giugno 2017 n. 2
L’intermediario ben avrebbe potuto e dovuto procedere prioritariamente ad aggiornare le informazioni relative alla situazione patrimoniale ed al profilo di rischio del ricorrente (soggetto, al tempo, non più attivo sotto il profilo lavorativo e, per di più, in precarie condizioni di salute) e, sulla base di tali informazioni aggiornate, elaborare una proposta d’investimento coerente con tali risultanze, tenendo conto dei rischi sottesi al prodotto, nonché del crescente rischio emittente che lo caratterizzava, come comprovato dai declassamenti delle agenzie di rating e da quanto riportato in ricerche ed analisi elaborate da altri intermediari, al tempo disponibili.
Decisione ACF 5 giugno 2017 n. 4
Deve ritenersi integrato il deficit di organizzazione dell’intermediario dal momento che (i) non solo l’intermediario non ha assolto l’onere di provare di aver adottato assetti organizzativi adeguati a permettere una esecuzione diligente e corretta dello specifico servizio di investimento – onere della prova che, nei giudizi risarcitori promossi dal cliente sulla base di tali allegazioni, grava normativamente sull’intermediario ai sensi dell’art. 23, comma sesto, TUF, e dell’art. 15, comma 2, del già sopra richiamato regolamento disciplinante l’ACF (ma la regola può considerarsi espressione del più generale principio che governa l’onere della prova sulla base del criterio della maggiore o minore “vicinanza” alla stessa) – non adducendo, altresì, qualsivoglia elemento idoneo a ricostruire l’ordine cronologico delle operazioni, avendo riguardo al caso dell’odierna ricorrente, ma anche a ben vedere (ii) che le carenze in questione risultano provate, almeno indiziariamente, alla luce delle dichiarazioni dei vertici aziendali in occasione dell’assemblea dell’intermediario del 2016, nonché di procedimenti ispettivi della CONSOB nei confronti dell’intermediario medesimo nell’esercizio delle proprie potestà di vigilanza, della cui esistenza la stessa ricorrente dà conto, e che non sono neppure sostanzialmente smentite dal resistente, che anzi in qualche modo avvalora l’esistenza di quelle carenze seppure obiettando che esse non rileverebbero sul piano della corretta esecuzione del contratto.
Decisione ACF 5 giugno 2017 n. 5
La ricorrente lamenta di essere stata artatamente indotta dall’intermediario, nell’ambito della prestazione del servizio di investimento, ad acquistare azioni emesse dallo stesso intermediario con la prospettiva di poter poi beneficiare, nell’ambito di una contestuale operazione creditizia che veniva conclusa con quest’ultimo, di un tasso agevolato. Orbene, sotto questo profilo non sembra revocabile in dubbio che la condotta dell’intermediario, ove risulti provata in concreto, possa senz’altro considerarsi come un comportamento decettivo dell’intermediario nella prestazione del servizio di investimento, che ha indotto la ricorrente a concludere un investimento in azioni che altrimenti non avrebbe concluso, e che essa possa, dunque, essere ascritta al paradigma dei comportamenti integranti artifizi e raggiri idonei a determinare l’annullabilità del contratto di acquisto di azioni per dolo determinante. E ciò specie tenendo presente che, nel caso, l’intermediario che ha posto in essere la condotta decettiva cumulava in sé sia la qualità di soggetto che esegue l’ordine di acquisto impartito dal cliente, sia la qualità di parte venditrice proprie azioni, ossia la qualità di parte del contratto la cui annullabilità si chiede di delibare (ciò che vale a integrare, allora, per definizione anche il presupposto richiesto dall’art. 1439, comma secondo, c.c.).
Decisione ACF 5 giugno 2017 n. 6
Va esclusa la competenza dell’ACF laddove le doglianze non abbiano riguardo al mancato adempimento da parte dell’Intermediario degli obblighi strumentali a consentire al cliente di operare consapevolmente in materia di investimenti finanziari, quanto ed esclusivamente alla gestione delle istruzioni operative impartite dal cliente relativamente al trasferimento di strumenti finanziari da un deposito titoli ad altro in relazione ai connessi profili tributari e d’imposizione fiscale.