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Giurisprudenza

Mutuo fondiario e clausola “multicurrency”

17 Marzo 2025

Cassazione Civile, Sez. I, 13 marzo 2025, n. 6637 – Pres. Di Marzio, Rel. Rolfi

Di cosa si parla in questo articolo

La Corte di Cassazione, Sezione Prima, con sentenza n. 6637 del 13 marzo 2025 (Pres. Di Marzio, Rel. Rolfi), si è pronunciata sull’interpretazione di una clausola “multicurrency” (plurivalute), inserita nell’ambito di diversi contratti di mutuo fondiario, e sui conseguenti oneri per la banca mutuante.

Delle problematiche connesse al mutuo fondiario, in fase esecutiva e/o fallimentare, se ne discuterà ampiamente nel corso del prossimo webinar DB del 03 aprile 2025, “Il contratto di mutuo come “titolo del credito” e come titolo esecutivo – Le problematiche in sede esecutiva e nelle procedure di composizione della crisi“.

Si ricorda che clausola “multicurrency consente al mutuatario di indicare periodicamente alla banca mutuante la moneta da utilizzare per la provvista erogata al mutuatario stesso.

Secondo l’interpretazione di tale clausola da parte del ricorrente mutuatario, le pattuizioni tra le parti prevedevano che la banca mutuante si procurasse la provvista delle somme mutuate in divisa estera, acquistandola sul mercato estero, per poi addebitarne il costo alla mutuataria; invece, la banca, malgrado l’espressa richiesta, non aveva dimostrato di aver negoziato effettivamente la valuta estera.

Pertanto, in assenza della prova dell’adempimento dell’impegno contrattuale di acquisto e rivendita di valuta estera, la banca, sempre secondo la prospettazione del mutuatario, sarebbe stata tenuta a restituire l’eccedenza tra il capitale oggetto di mutuo e la maggior somma restituita a titolo di capitale.

Il giudice di prime cure aveva respinto la domanda escludendo che dall’interpretazione delle clausole contrattuali emergessero in capo alla banca mutuante obblighi di rendiconto propri del mandatario e ritenendo che tali clausole connotassero di aleatorietà i contratti, prevedendo la facoltà del mutuatario di convertire la valuta, originariamente prescelta, in altra valuta, assumendosene i rischi: aveva quindi escluso che sulla convenuta gravasse l’onere di dimostrare di avere adempiuto l’obbligo assunto di procurare la provvista in valuta estera acquistandola sul mercato, per poi rivenderla in occasione della restituzione del capitale, secondo le indicazioni del mutuatario.

Anche secondo la Corte d’Appello dalle clausole del contratto e dell’atto di erogazione emergeva che l’intenzione dei contraenti era stata quella di addossare alla parte mutuataria l’eventualità che il valore di conversione in euro della divisa prescelta, potesse subire decrementi o incrementi, riducendo o aumentando di conseguenza il controvalore del debito residuo, dovute al cambio della valuta scelta dalla stessa parte mutuataria; allo stesso modo, aveva escluso l’esistenza di un obbligo di rendiconto in capo alla banca mutuante, in quanto tale obbligo non era previsto nelle clausole negoziali di cui ai contratti di mutuo fondiario.

Con il ricorso in Cassazione, la mutuataria censura principalmente l’interpretazione delle clausole contrattuali della decisione impugnata evidenziando che tale decisione si sarebbe erroneamente concentrata sul profilo dell’individuazione del contraente sul quale doveva ricadere il rischio legato alla valuta prescelta, mentre il profilo rilevante era quello:

  • di individuare quali fossero gli obblighi discendenti dal contratto concretamente posto in essere tra le parti
  • di stabilire se tali obblighi fossero stati effettivamente rispettati dalla banca mutuante, poiché la mutuataria aveva dedotto in giudizio l’inadempimento dell’obbligo assunto dalla banca mutuante di acquistare valuta estera per costituire la provvista della somma data a mutuo.

La Cassazione, confermando la sentenza della Corte territoriale, ricorda che l’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione delle regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, C.p.c., anche nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, C.p.c.

Il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. C.c., è tenuto, pertanto, a precisare in che modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati, oppure se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti; la censura non può infatti risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata.

Tale onere, secondo la Corte, discende “dalla fondamentale considerazione per cui l’interpretazione accolta nella decisione impugnata non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra“.

Nel caso di specie, pertanto, per quanto il ricorrente mutuatario abbia cercato di dimostrare in modo argomentato il carattere erroneo dell’interpretazione adottata dalla decisione impugnata, per la Cassazione la motivazione di cui alla decisione impugnata non si caratterizzi per assoluta illogicità e contrasto con i canoni di interpretazione dei contratti, risultando, invece, tale interpretazione comunque plausibile: conseguentemente, il motivo di ricorso si limita unicamente a contrapporre una scelta interpretativa ad un’altra e risulta, conseguentemente, infondato.

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