In tema di sequestro preventivo finalizzato alla successiva confisca, è legittima la costituzione di un vincolo sulle somme versate dall’indagato al Fondo pensione durante la fase di accumulo del rapporto, non essendo applicabile, nella specie, la disciplina di cui all’art. 545 cpc. Gli strumenti finanziari riconducibili alla categoria dei fondi pensione costituiscono una categoria assimilabile alle assicurazioni sulla vita e, pertanto, in caso di reati tributari, le somme di denaro in essi confluite sono soggette – analogamente alle somme dovute dall’assicuratore al beneficiario di una polizza vita – all’ordinaria disciplina penalistica in materia di sequestro preventivo dei crediti finalizzato alla successiva confisca.
In relazione a reati tributari, è legittimo il sequestro preventivo delle somme versate dall’indagato ad un Fondo pensione durante la fase di accumulo del rapporto, non essendo applicabile, nella specie, la disciplina di cui all’art. 545 cpc. Invero, «gli strumenti finanziari riconducibili alla categoria dei fondi pensione costituiscono una categoria assimilabile alle assicurazioni sulla vita» e, pertanto, in caso di reati tributari, «le somme di denaro in essi confluite sono soggette all’ordinaria disciplina penalistica in materia di sequestro preventivo dei crediti finalizzato alla successiva confisca», analogamente alle somme dovute dall’assicuratore al beneficiario di una polizza vita.
È quanto, in sintesi, stabilito dalla sentenza n. 13660/2020, depositata lo scorso 6 maggio, con la quale la Terza sezione penale della Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di un provvedimento di sequestro preventivo avente ad oggetto il montante accumulato presso un fondo pensione gestito da un’impresa assicurativa dal ricorrente, interessato da un procedimento penale per il reato di cui all’art. 2 d.lgs. n. 74/2000 (“Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”).
Pur riconoscendo ai fondi pensione una finalità previdenziale, la Suprema Corte ha negato l’intangibilità delle somme di denaro versate in un Fondo pensione durante la fase di accumulo del rapporto – sostenuta dal ricorrente al fine di in base a quanto disposto dall’art. 11, comma 10, d.lgs. n. 252/2005 (recante “Disciplina delle forme pensionistiche complementari”)[1]- sul presupposto dell’inapplicabilità ai crediti vantati dall’aderente nei confronti dei medesimi dei limiti alla pignorabilità delle prestazioni pensionistiche previsti dall’art. 545 c.p.c. e, segnatamente, del divieto di impignorabilità assoluta del c.d. minimo vitale sancito dal settimo comma 7 di tale disposizione.
Invero, secondo la Corte, da un lato le somme di denaro che concorrono ad alimentare i fondi pensione non sarebbero immediatamente ricollegabili alla nozione di corrispettivo di rapporto lavorativo oggetto di accantonamento, potendo il soggetto interessato costituire la propria posizione individuale anche mediante il conferimento di somme di denaro non provenienti dallo svolgimento di attività lavorativa; dall’altro, la qualificazione dei fondi pensione come “forme pensionistiche complementari” dimostrerebbe che le prestazioni erogate dal fondo pensione sarebbero meramente “integrative”, e non “costitutive”, di quella quota del trattamento pensionistico espressamente soggetta a «garanzia di intangibilità sia sotto il profilo civile che penale».
Del resto, osserva la Corte, la possibile assimilazione degli «strumenti finanziari riconducibili alla categoria dei “fondi pensione” […] alle assicurazioni sulla vita, tanto con riferimento alla primigenia fase di accumulo della provvista monetaria quanto con riferimento alla successiva fase di erogazione della periodica prestazione pecuniaria», consentirebbe di affermare che anche «le somme di denaro in essi confluite sono soggette alla ordinaria disciplina penalistica in materia di sequestro preventivo dei crediti finalizzato alla successiva confisca»; ossia di estendere alle forme pensionistiche complementari princìpi analoghi a quelli affermati dalla medesima Corte in relazione al possibile sequestro delle somme dovute dall’assicuratore in base ad un contratto di assicurazione sulla vita, in forza dei quali il divieto di sottoposizione ad azione esecutiva e cautelare di cui all’art. 1923, comma 1°, c.c. attiene esclusivamente alla definizione della garanzia patrimoniale a fronte della responsabilità civile e non riguarda, invece, la disciplina della responsabilità penale, nel cui esclusivo ambito ricade il sequestro preventivo.
[1] L’art. 11, comma 10, d.lgs. n. 252/2005 così recita: “Ferma restando l’intangibilità delle posizioni individuali costituite presso le forme pensionistiche complementari nella fase di accumulo, le prestazioni pensionistiche in capitale e rendita, e le anticipazioni di cui al comma 7, lettera a), sono sottoposti agli stessi limiti di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità in vigore per le pensioni a carico degli istituti di previdenza obbligatoria previsti dall’articolo 128 del regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 aprile 1935, n. 1155, e dall’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1950, n. 180, e successive modificazioni. I crediti relativi alle somme oggetto di riscatto totale e parziale e le somme oggetto di anticipazione di cui al comma 7, lettere b) e c), non sono assoggettate ad alcun vincolo di cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità”.