Chiusa una serie di rapporti di conto corrente, il cliente contesta la pretesa della Banca relativa alla debenza di una determinata somma a titolo di interessi, in quanto connessa a clausole nulle per indeterminatezza dell’oggetto, anatocismo, indebita postergazione delle somme e illegittima applicazione della commissione di massimo scoperto.
Accolta già nei primi due gradi di giudizio, la pretesa del cliente è da stimarsi fondata anche secondo la Cassazione.
In particolare, la clausola del contratto fissava il tasso d’interesse variabile, senza indicare peraltro la maggiorazione nel caso di superamento del fido, «sulla previsione di un tasso minimo del 24% fino al 21.10.1986 e un tasso minimo del 18.5% per il periodo successivo». Così conformata, la pattuizione non rispetta i requisiti di determinatezza o determinabilità dell’oggetto ex art. 1346 c.c. ed è quindi nulla, posto che la relatio non è riferita ad un fattore esterno, ma alla mera discrezionalità di una delle parti del contratto.
Peraltro una simile violazione, sul piano rimediale, non può trovare la propria sanzione nell’applicazione del saggio d’interessi parametrato ai buoni ordinari del tesoro ex art. 117, 7 comma T.u.b., posto che tale disposizione da un lato riguarda testualmente le sole violazioni del 4 e 5 comma; dall’altro costituisce, per struttura sua propria, il correttivo del principio «della nullità a vantaggio» ex art. 127,2 T.u.b. legata alla violazione delle disposizioni di trasparenza. Per contro, la nullità per indeterminatezza dell’oggetto ex art. 1346 c.c. è nullità di ordine generale, soggetta quindi sul piano disciplinare alle norme di diritto comune.