Rigettate in toto – perché infondate – le censure mosse alla decisione della Corte d’Appello di Trieste da parte del ricorrente ingiunto da un noto istituto di credito per il pagamento della somma oggetto di un contratto di finanziamento.
All’origine dell’articolato percorso giudiziale si pone un’opposizione a decreto ingiuntivo mediante il quale l’ingiunto spiegava opposizione eccependo la propria carenza di legittimazione passiva e formulava incidentalmente querela di falso per l’accertamento dell’abusivo riempimento del modulo contrattuale.
In tal senso, questi sosteneva che il modulo di finanziamento fosse stato compilato in un momento successivo alla sottoscrizione avvenuta in bianco in occasione della stipulazione di un contratto di franchising.
Ne deduceva pertanto un completamento abusivo in assenza di un accordo di riempimento e cioè senza la preventiva conoscenza da parte del ricorrente di alcuni importanti elementi apposti solo in seguito sul modulo (i.e. i tassi d’interesse del finanziamento, l’indicazione del bene o del servizio cui era diretto il finanziamento, l’importo delle singole rate e la scadenza della prima rata di rimborso).
Soccombente in primo grado, l’ingiunto incontrava il rigetto anche del giudice di seconde cure in base al consolidato principio (ex multis Cass. 5245/2006) secondo cui la proposizione della querela di falso è necessaria tutte le volte in cui il riempimento risulti avvenuto “absque pactis” e non anche nell’ipotesi in cui il riempimento abbia avuto luogo “contra pacta”.
Nel primo caso, infatti, il documento esce dalla sfera di controllo del sottoscrittore completo e definitivo, sicché l’interpolazione del testo investe il modo di essere oggettivo dell’atto, tanto da realizzare una vera e propria falsità materiale; nel secondo caso, invece, tale provenienza non può essere esclusa, in quanto attraverso il patto di riempimento il sottoscrittore fa preventivamente proprio il risultato espressivo prodotto dalla formula che sarà adottata dal riempitore. Pertanto, la sola circostanza che il modulo non fosse stato riempito in ogni sua parte al momento della sottoscrizione non appariva sufficiente ai fini dell’accertamento della falsità, essendo innanzitutto necessario fornire la prova che il successivo riempimento fosse avvenuto senza o al di fuori di un accordo di riempimento.
Prova che nel caso di specie non poteva essere ricavata né dalle deduzioni dell’appellante (i.e. assenza di indicazione del soggetto finanziatore, mancata consegna di copia del documento ovvero mancata conoscenza delle condizioni generali di contratto riportate sul retro del modulo), né dalla circostanza che il patto di riempimento non avesse rivestito la forma scritta; osservando a quest’ultimo riguardo la Corte d’Appello come l’accordo di riempimento sia in ipotesi assimilabile al mandato e non alla procura, potendo quindi assumere anche forma verbale secondo il consolidato principio giurisprudenziale per cui non è richiesta la forma scritta per un mandato senza rappresentanza in quanto atto non produttivo di effetto reale (Cass. 20051/2013; id. 21806/2016). A tal riguardo, la Suprema Corte confermava la correttezza degli argomenti della corte giuliana in considerazione del fatto che – anche ove ritenuto desumibile dagli elementi dedotti in giudizio dall’appellante che il foglio fosse stato parzialmente riempito in un momento successivo alla sottoscrizione – in assenza di prova circa un riempimento avvenuto “absque pactis” e, dunque, abusivamente la doglianza andava rigettata.