1. L’ordinanza in esame in primo luogo cassa con rinvio la sentenza resa dalla Corte di Appello Dell’Aquila, che non ha chiarito le ragioni per le quali la ricostruzione contabile del CTU, in assenza dei contratti di conto corrente e di diversi estratti-conto relativi a trimestri intermedi, possa ritenersi attendibile.
La Suprema Corte prende l’avvio dalla premessa che, ove sia il correntista ad agire giudizialmente per l’accertamento del saldo del conto corrente e la ripetizione delle somme indebitamente riscosse dall’istituto di credito, essendo attore in giudizio, debba farsi carico della produzione dell’intera serie degli estratti conto, necessaria ad assolvere all’onere di provare sia gli avvenuti pagamenti che la mancanza di causa debendi (Cass. 9201/2015; Cass. 20693/2016; Cass. 24948/2017; Cass. 21597/2013).
In secondo luogo la Corte di Cassazione richiama il recente orientamento che ha portato a ritenere l’assenza di estratti conto per periodi limitati non foriera, sic et simpliciter, del rigetto della domanda tutte le volte nelle quali le lacune siano integrabili con ricorso ad altre prove documentali o argomenti di prova desunti dalla condotta tenuta dal correntista o dalla banca, quali ammissioni e non contestazioni (Cass. 31187/2018-9526/2019 e 11543/2019). In quest’ultimo caso, la Suprema Corte afferma comunque la necessità della precisazione delle ragioni per le quali la ricostruzione del conto possa ritenersi attendibile e, dunque, l’indicazione dei criteri di cui il Giudice si sia avvalso per integrare le carenze documentali pur rilevate – non potendosi utilizzare criteri presuntivi ed approssimativi (Cass. 9365/2018) -.
Per tale ragione, viene cassata, con rinvio ad altra Sezione, la sentenza della Corte di Appello che si sia limitata ad affermare che la mancanza di estratti conto non inficia la ricostruzione effettuata dal CTU, senza però avere chiarito perché la stessa, benché contestata specificamente dalla banca, possa ritenersi attendibile nella determinazione dei saldi a credito dei correntisti.
2. Per ciò che concerne poi il tema della prescrizione, l’ordinanza in commento esclude la necessità della indicazione, da parte della banca convenuta, delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte (Cass. S.U. 15895/2019) ed afferma che la prescrizione matura sempre dalla data del pagamento, qualora il conto risulti in passivo e non sia stata concessa un’apertura di credito, oppure qualora le rimesse siano destinate a ridurre un saldo negativo eccedente i limiti dell’accreditamento.
Poste tali premesse, la Suprema Corte afferma che, eccepita dalla banca la prescrizione per decorso del termine decennale dal pagamento, è onere del correntista provare l’esistenza di un contratto di apertura di credito funzionale a qualificare la rimessa come produttiva di un mero effetto ripristinatorio della disponibilità accordata: e da ciò ricava la ragione della cassazione con rinvio della sentenza della Corte territoriale che aveva erroneamente addebitato all’Istituto di credito l’onere di individuare le rimesse aventi natura solutoria ed erroneamente attribuita una natura in linea di massima ripristinatoria alle rimesse su conto corrente bancario.