Massima:
Le clausole dei contratti bancari che disciplinano le condizioni economiche sono nulle, se non contengono l’indicazione di un criterio che consente di determinare ex ante in maniera univoca ad entrambi i contraenti l’oggetto della prestazione, irrilevante essendo che gli scostamenti dei risultati dei calcoli consentiti da una clausola che non contiene un criterio univoco siano minimi.
Commento del comitato scientifico:
Dopo molte pronunce del Tribunale di Udine e della Corte d’Appello di Trieste, la Corte di cassazione giunge ad occuparsi delle clausole, inserite nei contratti di leasing, che prevedono una doppia indicizzazione, al tasso di interesse (nel caso, indice Libor) e al tasso di cambio (nel caso, euro/franco svizzero).
La questione di diritto trattata non è quella della natura – derivativa – della clausola, bensì quella, trasversale a qualsiasi clausola contrattuale, derivativa o non, della necessaria determinabilità del suo oggetto.
Sul punto, la Corte di cassazione elargisce un principio perentorio, quanto indiscutibile (ed ormai acquisito alla comune sensibilità dei giuristi che si occupano di diritto finanziario): perché sia valida, occorre che una clausola indichi i criteri che consentano non solo al predisponente, ma anche all’aderente, non ad un solo contraente, ma anche all’altro, di individuare in maniera univoca l’esatto contenuto della prestazione.
Se oggetto di una clausola è una prestazione pecuniaria, il criterio per individuare con esattezza gli importi che da essa discendono deve essere scritto nella clausola. Univoco, non equivoco.
Non è un principio nuovo, non è declinato, nella sentenza, come un’applicazione del principio di trasparenza: è l’applicazione piana della regola civilistica scritta nell’art. 1346 cod. civ.
Ovvio corollario, non è rilevante se l’equivocità della clausola conduce a scostamenti nei risultati dei calcoli, che si traducono in differenze di importi esigue (moltiplicati per il numero dei clienti del predisponente, quelle differenze esigue non son più) e, come suggerisce una comune regola di esperienza, la stessa circostanza che lungo l’esecuzione del contratto la stessa predisponente abbia commesso errori di calcolo, nell’applicazione della clausola, rappresenta una conferma della circostanza che la clausola non è idonea a consentire calcoli univoci.
La nullità per indeterminabilità della clausola, il cui oggetto dipende dall’indice Libor, si estende alla clausola, il cui oggetto dipende dal cambio euro/franco svizzero; e forse più che di estensione della nullità si tratta di autonoma nullità dell’una e dell’altra, perché se l’oggetto di una clausola dipende dall’oggetto di un’altra, e questo secondo oggetto è indeterminabile, significa che è indeterminabile l’oggetto del primo.