In caso di conto corrente cointestato tra coniugi, a fronte della morte di uno dei cointestatari, il prelievo totale da parte dell’altro, finalizzato ad estinguere le rate del finanziamento fondiario concesso ad entrambi i coniugi, non è atto di per sé idoneo ad integrare l’accettazione tacita dell’eredità.
A tal fine è necessaria la prova che il pagamento sia stato effettuato con denaro prelevato dall’asse ereditario, mentre, nel caso in cui il chiamato adempia al debito ereditario con denaro proprio, quest’ultimo non può ritenersi per ciò stesso che abbia accettato l’eredità.
Come ricorda la Cassazione, infatti, nel conto corrente bancario intestato a più persone, i rapporti interni tra correntisti, anche aventi facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, sono regolati non dall’art. 1854 cod. civ., riguardante i rapporti con la banca, bensì dal secondo comma dell’art. 1298 cod. civ., in virtù del quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente; ne consegue che, ove il saldo attivo risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, si deve escludere che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare diritti sul saldo.
Laddove, quindi, il cointestatario chiamato all’eredità venga citato in giudizio in qualità di erede, va data prova della provenienza dei versamenti che hanno condotto al saldo, al netto dei prelevamenti, nell’ambito di un’azione di accertamento della qualità di erede in cui l’onere probatorio dell’accettazione è a carico di chi agisce in giudizio contro il chiamato.