La vicenda processuale scaturisce da un’errata annotazione in conto corrente. La banca, a seguito di una vendita di titoli effettuata per conto del cliente, duplicava la scritturazione operata “a credito” di quest’ultimo. Successivamente, preso atto dell’errore, stornava la somma accreditata in eccesso.
La Cassazione afferma il principio di diritto secondo cui l’approvazione dell’estratto conto, conseguente al decorso del termine di cui all’art. 1832, comma 2°, c.c., non preclude la possibilità di esperire un’azione di ripetizione dell’indebito che sia diretta a contestare movimentazioni annotate in tale conto.
L’erroneo accredito di una somma in favore del cliente costituisce un’attribuzione patrimoniale priva di idonea causa di giustificazione, e configura dunque un indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 c.c. Tale attribuzione non è giustificata dall’annotazione operata dalla banca, il cui effetto è puramente contabile e non “costitutivo” di diritti. Inoltre, l’accredito privo di causa non si consolida per effetto della decadenza prevista dall’art. 1832, comma 2°, c.c. Per consolidata giurisprudenza, la decadenza ivi prevista non impedisce la formulazione di censure concernenti validità ed efficacia dei titoli giuridici “sottostanti” le annotazioni (cfr., ex multis, Cass. sez. I, 17 novembre 2016, n. 23421, Est. Nappi).