Il presente contributo è frutto esclusivo delle opinioni personali dell’autore, che non impegnano in nessun modo l’Istituto di appartenenza.
La “delicata” convivenza tra sanzioni amministrative e sanzioni penali nel nostro ordinamento giuridico si arricchisce di un nuovo capitolo.
Con l’ordinanza n. 23232/2016, pubblicata il 15 novembre 2016, la Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 267 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) ha rinviato gli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per accertare la compatibilità delle previsioni del Testo Unico della Finanza (TUF) con la Direttiva sugli abusi di mercato: Direttiva 2014/54/UE (MAD).
La vertenza in questione riguarda un caso di utilizzo di informazioni privilegiate per l’acquisto e la vendita di titoli azionari, che ha condotto all’irrogazione – da parte della Consob – di sanzioni amministrative pecuniarie ed accessorie (ai sensi degli artt. 187-bis, co. 1 e 4, e 187-quater, co. 1, del TUF); sul versante penale, invece, era intervenuta una sentenza di assoluzione per il reato di cui all’art. 184 TUF.
Secondo il ricorrente, dunque, in base all’art. 4, prot. 7 CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), egli non poteva essere sottoposto a un nuovo procedimento per gli stessi fatti (idem factum relativamente alla materialità della condotta) : ciò, tenuto conto che le sanzioni applicate dalla Consob in sede amministrativa avevano, per la loro afflittività, valore penale, secondo i criteri della Corte EDU 8 giugno 1976 (c.d. sentenza Engel), richiamati dalla sentenza della stessa Corte EDU 4 marzo 2014 (c.d. sentenza Grande Stevens).
Deve premettersi che sia l’art. 4, prot. 7 CEDU che l’art. 50 della Carta di Nizza (Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) prevedono il divieto di essere perseguiti o condannati penalmente per un reato per il quale si sia stati già assolti o condannati a seguito di una sentenza definitiva.
In realtà, nessuna delle sentenze citate fa menzione dell’ipotesi in cui la sentenza del giudice nazionale abbia accertato, con efficacia di giudicato, l’insussistenza dell’illecito.
La Suprema Corte si interroga dunque sulla necessità o meno di valutare, in tale fattispecie, l’astratta effettività, dissuasività e proporzionalità delle sanzioni previste per l’illecito per cui è stata pronunciata la sentenza definitiva (di assoluzione).
In ottica europea, il cumulo di sanzioni non è espressamente vietato: la Direttiva MAD stabilisce che “Nell’applicare la normativa nazionale di recepimento della presente direttiva, gli Stati membri dovrebbero garantire che l’irrogazione di sanzioni penali per i reati ai sensi dalla presente direttiva e di sanzioni amministrative ai sensi del regolamento (UE) n. 596/2014 non violi il principio del ne bis in idem”. (Considerando n. 23). La medesima direttiva dovrebbe essere applicata nel rispetto dei principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tra cui è ricompreso quello di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato (Considerando n. 27).
Ci si trova dunque, a giudizio della Corte di Cassazione, nella necessità di valutare la normativa interna alla luce delle nuove previsioni della MAD, avendo presente che se la Corte di giustizia ritenesse che nella fattispecie il giudice italiano debba limitarsi meramente a prendere atto della duplicazione del procedimento, egli potrebbe senz’altro disapplicare la norma interna (art. 187-bis TUF), annullando la sanzione, in ossequio al principio del primato del diritto europeo.
Alla luce di quanto sopra, la Suprema Corte ha disposto, a norma dell’art. 267, comma 3 TFUE, il rinvio alla Corte di giustizia dell’Unione europea sulle seguenti questioni pregiudiziali interpretative:
“Se l’art. 50 della Carta del diritti fondamentali dell’Unione vada interpretato nel senso che in presenza di un accertamento definitivo dell’insussistenza della condotta che ha integrato l’illecito penale, sia precluso, senza necessità di procedere ad alcun ulteriore apprezzamento da parte del giudice nazionale, l’avvio o la prosecuzione per gli stessi fatti di un ulteriore procedimento che sia finalizzato all’irrogazione di sanzioni che per la loro natura e gravità siano da qualificarsi penali”;
“Se il giudice nazionale, nel valutare l’efficacia, proporzionalità e dissuasività delle sanzioni, ai fini del riscontro della violazione del principio del ne bis in idem di cui all’art. 50 della Carta del diritti fondamentali dell’Unione, debba tener conto dei limiti di pena posti dalla dir. 2014/57/UE”.