Il presente contributo è frutto esclusivo delle opinioni personali dell’autore, che non impegnano in nessun modo l’Istituto di appartenenza.
Con riferimento alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione, l’investitore deve allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito “con la specifica diligenza richiesta”.
L’art. 23 del Testo Unico della Finanza, sul piano della suddivisione degli oneri probatori, si pone in perfetta armonia e continuità con la regola generale stabilita dall’articolo 1218 c.c., che, in presenza dell’inadempimento, pone a carico del debitore la prova della sua non imputabilità.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 17138 del 17 agosto 2016 affronta nuovamente il tema della violazione degli obblighi informativi cui è tenuto l’intermediario: nel caso di specie erano stati venduti ad un cliente delle obbligazioni Parmalat, che avrebbero poi comportato notevoli perdite economiche all’investitore.
Nella sentenza in oggetto si sottolinea nuovamente che ai sensi dell’art. 23 del TUF, nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta. Alla luce del principio così formulato, una volta dedotto l’inadempimento consistente nella violazione degli obblighi informativi ai quali l’intermediario finanziario è tenuto, grava sul cliente investitore l’onere della prova del nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno, attraverso una analisi prognostica che si presta ad una prova da fornirsi sostanzialmente in via presuntiva.
Pertanto, viene confermata la decisione della Corte di Appello di Napoli, la quale aveva stabilito che l’investitore non aveva offerto alcun elemento, neppure presuntivo, dal quale desumere che, ove informato della rischiosità dell’investimento, egli sarebbe receduto da esso (prova che, nel caso di specie, avrebbe dovuto essere sufficientemente circostanziata, e tale da controbattere adeguatamente a quanto riferito in giudizio da un teste, il quale ha dichiarato che il cliente, lungi dall’acquistare inconsapevolmente obbligazioni Parmalat, della cui rischiosità era stato informato, aveva deliberatamente scelto quel titolo per il preciso intento di lucrare una redditività superiore a quella dei titoli di Stato).