La dichiarazione di cui all’art. 31 del Regolamento Consob. n. 11522/1998 applicabile ratione temporis, deve riguardare sia la conoscenza sia l’esperienza dell’operatore in materia di strumenti finanziari. Essa non costituisce “dichiarazione confessoria in quanto volta alla formulazione di un giudizio, e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo” (Cass. Civ. n. 12138/2009).
Richiamati i citati principi enucleati dalla Suprema Corte, la sentenza n. 1036/2016 del 21.6.2016 resa dalla Corte d’Appello di Torino, riafferma che l’onere di dimostrare la non veridicità della dichiarazione e la conoscenza da parte dell’intermediario di tale circostanza incombe sul cliente.
L’appellante ha dedotto che: –la società aveva una struttura di gestione estremamente semplificata di tipo familiare, circostanza questa della quale la Banca era assolutamente a conoscenza; – la società operava in un mercato territoriale limitato alla cinta torinese; – la società esercitava un’attività volta alla produzione e al commercio di articoli funebri, e lo statuto non prevedeva diverse attività di tipo finanziario; la società non aveva mai operato con la stessa banca nel mercato speculativo e men che meno in quello altamente rischioso dei derivati e, segnatamente, degli swap; – che la società non aveva in portafoglio titoli e strumenti finanziari a rischio capitale; – che il legale rappresentante della società era inesperto in materia e la banca era consapevole di ciò; – la banca era altresì consapevole che la società non aveva un ufficio dedicato al rischio finanziario né si avvaleva di consulente esterni.
La Corte di Appello di Torino ha ritenuto che parte appellante, nel giudizio di primo grado, avesse fornito la prova della non veridicità della dichiarazione ex art. 31 del Regolamento Consob n. 11522/1998 e della conoscenza da parte dell’intermediario dello scostamento della dichiarazione dalla effettiva realtà dei fatti.
D’altronde -osserva la sentenza in commento– “appare evidente che una società che presentava una elevata esposizione debitoria verso la banca per affidamenti in essere non disponesse di liquidità per operare in titoli o comunque per investire in strumenti finanziari somme di denaro, tanto è vero che l’operatività in swap fu possibile proprio perché la stessa non comportava l’immediata messa a disposizione da parte del cliente di alcuna somma di denaro ed evidentemente per ciò era stata proposta alla cliente”.
Viene meno, per i motivi esposti, la qualità di operatore qualificato in capo all’appellante. Dalla circostanza che la società appellante non avesse qualità di operatore qualificato, deriva che l’intermediario era tenuto al rispetto degli obblighi di cui all’art. 27, 28, 29 e 30 comma 1 del Regolamento Consob richiamato (e successive sue modifiche e integrazioni).
Osserva la Corte territoriale che l’asserita finalità di copertura del rischio, mirante alla riduzione del rischio finanziario legato all’andamento del tasso di interesse (a fronte degli affidamenti in essere della società appellante), non elimina di per sé la caratteristica di rischiosità del prodotto, stante la sua aleatorietà. Ciò è confermato anche dal documento sui rischi generali consegnato dalla Banca intermediaria che prevede che “gli strumenti finanziari derivati sono caratterizzati da una rischiosità molto elevata il cui apprezzamento da parte dell’investitore è ostacolato dalla loro complessità”; precisa inoltre che “una volta valutato il rischio dell’operazione, l’investitore e l’intermediario devono verificare se l’investimento è adeguato per l’investitore con particolare riferimento alla situazione patrimoniale, gli obiettivi di investimento e all’esperienza nel campo degli investimenti in strumenti finanziari derivati”.
La conclusione a cui giunge il Giudice del riesame è pertanto razionale e lineare.
I contratti derivati ed in particolare il contratto di swap e le sue successive rimodulazioni, a prescindere dal loro carattere assicurativo di copertura, risultano comunque inadeguati a mente dell’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522/1998 applicabile ratione temporis, non essendo stata rilevata una specifica propensione al rischio ed alcuna esperienza e conoscenza in capo alla Società appellante.
La violazione dell’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522/1998 evidenzia l’inadempimento da parte della banca intermediaria all’obbligo di “astensione” con conseguente sua responsabilità.
Il concetto di alea (più esattamente alea razionale così come richiamato in alcuni precedenti giurisprudenziali) assume rilievo nell’avveduto dibattito teorico che ne è derivato, ora sull’elemento causale, ora sull’oggetto stesso del contratto determinando la validità o meno del contratto.
Giurisprudenza anche recente (Corte d’Appello di Milano 18.9.2013 e Tribunale di Milano 9.3.2016) ha ritenuto che il concetto di alea razionale incida piuttosto sotto il differente piano degli obblighi informativi gravanti su una delle parti e operante già in forza dell’art. 21 TUF.
La sentenza in esame non entra nel merito del dibattito. La Corte d’Appello di Torino ritiene che i prodotti finanziari derivati negoziati, in quanto prodotti ad alto rischio e particolarmente complessi, avrebbero dovuto essere sottoposti alla valutazione di adeguatezza da parte della Banca e ciò “indipendentemente dalla finalità di copertura che nulla incide sulla necessità del rispetto del parametro di adeguatezza”.
Non la valutazione in ordine alla razionalità dell’alea, dunque, quanto piuttosto la mancata adeguata valutazione del parametro di “adeguatezza”, comporta l’inadempimento ad obblighi comportamentali con conseguente condanna della Banca intermediaria al risarcimento del danno patito dal cliente.