Con sentenza del 12 maggio 2016 (n. 6001/2016), il Tribunale di Milano ha statuito che nel caso di contratti swap la previsione contrattuale di un margine di reddittività per l’intermediario è «legittima». Si tratta di un costo gravante sul cliente per la remunerazione dell’intermediario che ha costruito e messo a disposizione il derivato: esso «concorre a determinare il valore di scambio del derivato». E tuttavia, al pari di un qualunque altro “prezzo”, tale margine – ritiene il Tribunale – appartiene al novero degli elementi essenziali del contratto; lo stesso, in quanto tale, richiede che anche su di esso si formi la volontà negoziale del cliente: il margine non può dunque rimanere “occulto”.
Qualora l’intermediario non abbia esplicitato nel contratto tale costo(*), non giova invocare a difesa la limitazione dell’obbligo di informazione sui costi ai soli «clienti non professionali» (limitazione prevista dalla Direttiva MIFID). Trattasi di un’attuazione specifica dell’obbligo dell’intermediario di fornire tutte le informazioni necessarie al proprio cliente; ma questo obbligo è posto perché il cliente venga a prestare un consenso negoziale consapevole.
La formazione della volontà negoziale su tutti gli elementi essenziali del contratto attiene a un piano differente da quello della professionalità o meno del cliente: opera, cioè, sul piano della genesi del rapporto. Ciò posto, il Tribunale ribadisce che il consenso negoziale del cliente rispetto a tali elementi («ovviamente») è necessario – pena la nullità dell’operazione – a prescindere dalla qualificazione del cliente stesso, sia esso «non professionale» o «professionale».
(*) Nel caso di specie si trattava di un margine retributivo per il prodotto derivato predisposto dall’intermediario ed inserito nel contratto in via «implicita».