Con la sentenza n. 26131 del 30.12.2015 la Suprema Corte interviene in tema di fondi comuni d’investimento immobiliare, confermando i motivi con la quale la Corte d’appello aveva respinto il ricorso avverso il provvedimento sanzionatorio emesso dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 195 del TUF nei confronti del rappresentante legale di una SGR, e fissando così alcuni importanti principi di correttezza ed indipendenza nella gestione dei fondi, al fine di garantirne la sana e prudente gestione, il contenimento dei rischi e la stabilità patrimoniale.
In via preliminare, disattende la richiesta di sopravvenuta illegittimità del provvedimento sanzionatorio in relazione alle modifiche apportate dal d.lgs. 12.05.2015, n. 72 agli artt. 190, 190-bis e 194-quater del TUF, evidenziando che il nuovo quadro normativo sanzionatorio, che prevede, tra l’altro, che sia l’ente e non più l’esponente aziendale il soggetto primariamente responsabile delle violazioni, non può trovare applicazione nel caso di specie in considerazione della mancata emanazione delle disposizioni di attuazione dell’Autorità di vigilanza, alla cui approvazione viene subordinata l’operatività della nuova disciplina.
Nel merito, la Suprema Corte conferma le statuizioni del provvedimento sanzionatorio impugnato evidenziando la mancata attivazione da parte della SGR del sistema di controllo interno in materia di conflitto di interessi in occasione di un’operazione di compravendita immobiliare intervenuta tra un proprio fondo ed un società ad essa collegata.
In secondo luogo, viene statuito l’importante principio secondo il quale la pianificazione di investimenti immobiliari realizzati per il tramite di operazioni di acquisto di cosa futura o di contratti preliminari non concorrono a determinare la soglia dei due terzi del valore complessivo del fondo, prevista dall’art. 12-bis, co. 2, d.m. n. 228 del 1999 quale espressione del principio di concentrazione immobiliare degli investimenti del fondo, stante l’attuale non esistenza del bene (cosa futura) o la natura – obbligatoria anziché reale – del negozio (contratto preliminare).
In via generale, inoltre, la Suprema Corte rileva che il mancato rispetto dei regolamenti di gestione dei singoli fondi da parte della SGR, non costituisce soltanto violazione delle norme sull’organizzazione e del sistema di controllo interno, ma anche della normativa di vigilanza in materia di organizzazione della SGR, prevista dall’art. 190 del TUF, e finalizzata ad assicurare la sana e prudente gestione, il contenimento del rischio e la stabilità patrimoniale.
La Cassazione conferma altresì la sussistenza, nel caso di specie, di una sostanziale modifica delle strategie di investimento della SGR rispetto a quelle oggetto di autorizzazione, rilevando in particolare che in assenza di una formalizzata revisione delle linee strategiche, l’attività aziendale è stata prevalentemente orientata, anziché a fondi retail, verso l’attivazione di OICR riservati ad apporto di beni, connotati dalla sostanziale coincidenza tra conferenti e partecipanti, associata ad un integrale esautoramento delle prerogative gestorie della SGR.
Vengono censurate poi le modalità di valutazione da parte della SGR dei beni immobili di pertinenza dei fondi gestiti, rilevando che i rispettivi criteri debbano venire preventivamente determinati dalla stessa SGR, non potendo la valutazione essere rimessa semplicemente alla relazione di stima di esperti indipendenti. Al riguardo viene inoltre stabilito che non è ammissibile una valutazione del bene immobile basato sul criterio del prezzo di opzione, liberamente fissato in sede contrattuale, in quanto contrasta con le specifiche disposizioni di vigilanza che impongono che le valutazioni debbano essere effettuate in base al prezzo corrente del cespite.