In materia di usura, la penale contrattuale per la risoluzione anticipata del mutuo non può essere considerata ai fini del calcolo del Tasso Effettivo Globale, vista la “disomogeneità tra la penale e gli interessi e spese che concorrono all’individuazione del tasso soglia”.
L’eventuale superamento del tasso soglia per effetto del computo degli interessi moratori o della penale non comporta la nullità di tutte le clausole relative agli interessi, restando comunque salvi gli interessi corrispettivi.
La clausola “floor” non comporta un’indeterminatezza dell’oggetto del contratto di finanziamento e l’ordinamento non richiede che essa sia bilanciata da una corrispondente clausola “cap”.
L’applicazione del noto coefficiente 365/360 non determina alcuna indeterminatezza dei tassi applicati né la violazione dei principi di legge sulla maturazione, giorno per giorno, degli interessi (art.821, co.3, cod. civ.), risultando anzi conforme al disposto di cui al D.M. 104344/1998.
Così si è espresso il Tribunale di Ferrara, in persona della dott.ssa Caterina Arcani, con la sentenza n. 1131 del 16.12.2015, tratteggiando alcune linee guida sul controllo di usurarietà oggettiva ex l.108/96.
La vicenda processuale ha visto contrapposti un mutuatario (attore) e l’istituto di credito concedente un mutuo fondiario (convenuto), dolendosi il primo dell’usurarietà oggettiva del contratto, per effetto dell’incidenza del costo della penale da inadempimento sul Tasso Effettivo Globale, nonché dell’indeterminatezza dell’oggetto per l’operatività di una commissione occulta, generata della clausola c.d.floor che prevedeva un tasso minimo applicato al contratto.
Nella specie, il mutuatario-attore spiegava le proprie argomentazioni con riferimento alla clausola che prevedeva “in caso di inadempimento, oltre all’obbligo di restituire la somma ricevuta a titolo di mutuo, il pagamento di una penale commisurata al capitale residuo del mutuo al momento della richiesta di risoluzione del contratto”. Sosteneva, in particolare, che attraverso un calcolo simulato del tasso d’interesse che la banca avrebbe potuto applicare, nel caso in cui il mutuatario si fosse reso inadempiente sin dalla corresponsione della prima rata del finanziamento, si sarebbe generato un valore superiore al Tasso Soglia.
La banca, dal proprio canto, evidenziava la carenza di interesse ad agire del mutuatario rispetto alla domanda di accertamento dell’usurarietà del tasso di interesse, non essendosi verificata la circostanza su cui la dedotta violazione risultava fondata, ossia la particolare ipotesi di inadempimento fin dalla corresponsione della prima rata del finanziamento, escludendo nel merito la fondatezza di ogni addebito.
Proprio tale eccezione è stata alla base del rigetto della domanda del cliente, in quanto il Tribunale ha correttamente evidenziato come, risultando indimostrata, poiché di fatto mai verificatasi, la dedotta ipotesi di inadempimento, il mutuatario non avesse un concreto interesse ad agire.
Peraltro, anche ove la predetta circostanza si fosse verificata, “il superamento della soglia sarebbe derivato dalla ipotetica applicazione della penale per la risoluzione anticipata, la cui natura è ben diversa dall’obbligazione relativa al pagamento degli interessi, sulla cui misura deve misurarsi la soglia dell’usura” per cui nel caso il superamento del tasso soglia fosse stato effettivo, gli interessi corrispettivi lecitamente pattuiti non sarebbero stati investiti dalla sanzione della nullità ex art.1815, secondo comma, cc, essendo autonome le due pattuizioni.
Il Tribunale ha peraltro accolto, nel merito, la tesi per la quale, ai fini dell’applicazione della disciplina antiusura, deve operarsi un confronto dei soli dati omogenei (giuridicamente ed economicamente) per cui il relativo importo di una penale non potrà essere incluso tra le voci rilevanti ex lege 108/96, attesa la disomogeneità tra la penale de qua e le spese che concorrono alla individuazione del tasso soglia.
Altrettanto importante è poi il principio espresso in relazione alla clausola c.d. floor, che prevedeva un tasso minimo applicabile al contratto. Detta previsione – a dire del Tribunale – non intengra né una commissione occulta, né tantomeno richiede la analoga previsione contrattuale equilibratrice a favore del mutuatario con una clausola “cap”.
Ai fini della validita della clausola “floor” è infatti sufficiente la previsione della medesima in termini sufficientemente chiari, nel rispetto della trasparenza dei prodotti bancari e della libertà contrattuale delle parti, in quanto l’ordinamento non prescrive infatti che i contratti di mutuo prevedano, oltre a soglie minime di tasso corrispondenti soglie massime.
Nessuna indeterminatezza, dunque. Così come nessuna indeterminatezza poteva riscontrarsi con riferimento al criterio di calcolo adottato per l’indicizzazione del tasso d’interesse (ottenuta mediante equazione con Euribor moltiplicato per il coefficiente 365 ed avente come denominatore il coefficiente 360).
Tale legittima pattuizione, infatti, attiene ad una modalità di calcolo che integra i requisiti di determinatezza e/o determinabilità, né viola la disposizione di cui all’art.821 co.3 c.c., secondo la quale i frutti civili (interessi) maturano giornalmente ed è oltretutto conforme allo stesso coefficiente imposto dal Ministero del Tesoro, con Decreto Ministeriale del 23.12.1998 n.104344.
Ne è conseguita la soccombenza integrale del cliente-attore, con condanna al pagamento delle spese di lite.