In materia di anatocismo bancario, deve ritenersi conforme alle vigenti disposizioni di legge il comportamento dell’istituto che abbia conservato – a seguito della riforma dell’art. 120 T.U.B. – la previsione di clausole anatocistiche nei propri moduli contrattuali e fogli informativi.
Lo ha affermato il Tribunale di Bologna (Giudice dott.ssa Anna Maria Drudi), con ordinanza del 9 dicembre 2015, respingendo il ricorso promosso da un’associazione dei consumatori, ex artt. 37 e 140, comma 8, D.Lgs. 206/2005 (Cod. Cons.), che contestava il mancato adeguamento della Banca convenuta alle disposizioni di cui al “nuovo” art. 120 T.U.B., sul presupposto dell’immediata vigenza del divieto tout court di anatocismo che la norma in questione avrebbe introdotto.
Invero, la citata normativa, come risultante dalle modifiche introdotte con l’art. 1, comma 629, legge 27 dicembre 2013, al comma 2 così testualmente prescrive:
“2. Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:
a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”.
Nonostante il dato letterale richiami espressamente la necessità di un intervento del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio, all’indomani della riforma alcune pronunce giurisprudenziali (tra tutte, le note ordinanze del Tribunale di Milano dell’aprile 2015 – cfr. contenuti correlati) avevano sancito l’immediata precettività del tendenziale divieto di anatocismo prescritto dalla norma, “gettando” nell’incertezza l’intero sistema bancario, per l’obiettiva difficoltà di adeguare la documentazione contrattuale ed i sistemi contabili, in assenza di un intervento normativo di dettaglio, nonché per il possibile conflitto tra la disciplina nazionale italiana e quella degli altri paesi membri dell’Unione, con effetti imponderabili sul funzionamento del libero mercato dei capitali.
Il Tribunale di Bologna torna ad evidenziare la “pacificamente infelice” formulazione della nuova disposizione, che alla lettera b) “fa riferimento a “interessi periodicamente capitalizzati” e alle “successive operazioni di capitalizzazione” e, dunque, ad una terminologia tecnica in materia bancaria che univocamente identifica l’operazione di sommatoria ad un capitale dell’interesse fruttato dal medesimo, sicché l’indicazione normativa sembrerebbe comunque permettere quanto meno una prima operazione di capitalizzazione”.
Dall’altro lato, la stessa giurisprudenza favorevole all’immediata operatività del nuovo art. 120 T.U.B. è costretta ad ammettere un “errore” del legislatore e a porre in essere un’attività di sostituzione terminologica (“conteggio” anziché “capitalizzazione”) che sembrerebbe autorizzata dal rilievo per cui lo stesso legislatore, a dimostrazione della “consapevolezza” della distinzione fra i due termini, ha usato il primo (“CONTEGGIO”) solo sub lett. a).
All’incertezza applicativa-interpretativa, si aggiunge la seguente considerazione:
“è lo stesso art. 120 TUB che rimanda ad una delibera CICR le modalità ed i criteri per la produzione di interessi, sia pure con i limiti posti da essa normativa primaria, in stretta aderenza al disposto di cui all’art. 161, 5° comma, TUB (non modificato), in forza del quale “Le disposizioni emanate dalle autorità creditizie ai sensi di norme abrogate o sostituite continuano a essere applicate fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati ai sensi del presente decreto legislativo”, con ciò sancendo che in tale materia l’iter legislativo non può essere definito/completato se non all’esito dell’emanazione anche della normativa secondaria”.
La necessità di attendere l’intervento del CICR emerge poi – secondo il Tribunale – da una constatazione in termini di certezza giuridica e di applicazione uniforme della nuova disciplina secondo regole precise per tutti (istituti bancari ed utenti), che appare coerente con un mercato aperto ad istituti bancari di altri Stati membri dell’UE e con la circostanza che anche la precedente regolamentazione era stata subordinata alla previa emanazione della delibera CICR del 2000.
D’altronde, “ritenere che “la mancanza della delibera CICR comporta unicamente che allo stato gli intermediari sono liberi di adottare qualunque modalità operativa e contabile…” (Trib. Milano 9.7.15 e Trib. Roma cit.) comporta non solo, del tutto impropriamente, demandare ai singoli istituti bancari la definizione, pur temporanea, della normativa secondaria di competenza del CICR, ma – attesa la pluralità delle soluzioni ipotizzabili in punto, fra gli altri, a perimetro di applicazione del divieto nonché a periodicità del conteggio e al tempo di pagamento degli interessi – generare, in uno con evidenti disparità di trattamento, anche quel così elevato e conseguente contenzioso, che senz’altro il disposto generale di cui all’art. 161 cit. è destinato a prevenire”.
Il Giudice emiliano non manca di sottolineare, infine, che il divieto introdotto dal legislatore non può che intendersi come divieto “regolamentato”, a fronte di una propria scelta e non di una pratica illecita in assoluto, laddove ordinariamente applicata in pressoché tutti gli stati membri europei.
In conclusione – rigettando le doglianze dell’associazione consumeristica – il Tribunale ha optato per la (più prudente e più aderente alle logiche di certezza ed uniformità nell’applicazione del diritto) inapplicabilità dell’art. 120 T.U.B. – nuova formulazione – in assenza dell’intervento normativo di dettaglio da parte del CICR.