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Giurisprudenza

Swap: il ribasso dei tassi con svantaggi per il cliente non esclude l’aleatorietà bilaterale del contratto e la sua funzione assicurativa

28 Luglio 2015

Corte d’Appello dell’Aquila, 24 luglio 2015, n. 6792

Di cosa si parla in questo articolo

Con l’ordinanza in oggetto, la Corte d’Appello ha dichiarato l’inammissibilità ex art. 348 bis e 348 ter c.p.c. dell’appello proposto da una società che aveva stipulato nel 2007 con l’Istituto di credito convenuto un contratto di Interest Rate Swap, con funzione di copertura dal rischio del rialzo del tasso di interesse di un contratto di mutuo a tasso variabile intercorso tra le medesime parti.

L’appellante, come già in primo grado, pur proponendo un’azione di risarcimento per responsabilità pre-contrattuale conseguente alla violazione da parte della Banca degli obblighi informativi previsti dalla normativa di settore, ha lamentato il difetto di causa dell’IRS, sostenendo che difettasse loscopo assicurativo dello stesso.

La Corte ha ritenuto la doglianza palesemente infondata, trattandosi di “contratto aleatorio per entrambe le parti (aleatorietà bilaterale), avendo la funzione di assicurare il rischio derivante per la società (…) la quale aveva stipulato con la stessa banca un contratto di mutuo dell’importo di €340.000,00 a tasso d’interesse cd variabile, dall’eccessivo rialzo di detto tasso d’interesse, prevedendo, in relazione a parte della somma mutuata e per un certo periodo di tempo, un tasso fisso predeterminato e, a seconda che il tasso variabile pattuito nel contratto di mutuo fosse inferiore o superiore a detto tasso fisso, il pagamento della differenza a carico del cliente (…) ovvero a carico della banca (…)”. Sottolinea la Corte come il ribasso dei tassi d’interessi a fronte di imprevedibili vicende economiche – che ha determinato che l’IRS si rivelasse svantaggioso per il cliente, “non vale certo ad escludere l’aleatorietà bilaterale del contratto “swap” e la sua funzione assicurativa, meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 cc”.

Parimenti infondata è stata ritenuta dalla Corte la doglianza della società appellante per cui il legale rappresentante della stessa non sarebbe operatore qualificato nonostante la dichiarazione rilasciata dal medesimo ex art. 31 del regolamento Consob 11522/1998.

La Corte d’Appello richiama la giurisprudenza della Suprema Corte alla quale si era già conformato il Tribunale di Lanciano che aveva emesso la sentenza impugnata per cui “in tema di contratti di intermediazione mobiliare, ai fini dell’appartenenza del soggetto che stipula il contratto con l’intermediario alla categoria degli operatori qualificati, è sufficiente l’espressa dichiarazione per iscritto da parte dello stesso (…) di disporre di competenza ed esperienza richieste in materia di operazioni in valori mobiliari (…) la quale esonera l’intermediario dall’obbligo di ulteriori verifiche, in mancanza di elementi contrari emergenti dalla documentazione già in suo possesso; pertanto, salvo allegazioni contrarie in ordine alla discordanza tra contenuto della dichiarazione e situazione reale, tale dichiarazione può costituire argomento di prova che il giudice può porre alla base della propria decisione (…) restando a carico di chi detta discordanza intenda dedurre l’onere di provare circostanze specifiche dalle quali desumere la mancanza di detti requisiti e la conoscenza da parte dell’intermediario delle circostanze medesime o almeno la loro agevole conoscibilità in base ad elementi obiettivi di riscontro”.

Tale onere, nel caso di specie, non è stato assolto dalla società investitrice, la quale non solo non ha provato ma neppure ha dedotto circostanze atte a mostrare la mancanza dei requisiti del suo legale rappresentante quale operatore qualificato.

Per quanto esposto la Corte ha ritenuto che “l’impugnazione non ha ragionevole probabilità di essere accolta sicché va dichiarata inammissibile”, con conseguente condanna dell’appellante non solo al pagamento delle spese processuali, ma altresì di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione stessa in applicazione dell’art. 1 comma 17 della l. 228/2012.

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