Con ordinanza del 29 giugno 2015, resa a seguito di un procedimento cautelare promosso da un’Associazione di consumatori, il Tribunale di Cuneo – confermando l’orientamento già espresso dal Tribunale di Milano nelle ordinanze del 3 aprile e 25 marzo 2015 (in questa Rivista, cfr. contenuti correlati) – ha ritenuto illegittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi a partire dall’1 gennaio 2014; per l’effetto, ha inibito all’istituto di credito di «dar corso a qualsiasi capitalizzazione degli interessi passivi sui contratti di conto corrente (già in essere o ancora da stipulare)».
Prima di ogni altra cosa, l’Ordinanza afferma la legittimazione delle associazioni dei consumatori ad agire al fine di inibire agli istituti di credito l’illegittima applicazione di clausole anatocistiche. E ciò, «sulla scorta della previsione dell’art. 2, comma 2, lett. e, Cod. Consumo, in combinato disposto con l’art. 139 del medesimo testo, laddove attribuisce alle associazioni di consumatori il diritto di agire ai sensi della norma successiva a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, individuati appunto dall’art. 2». In effetti, secondo l’Ordinanza, non vi è alcun limite alla possibilità che l’azione inibitoria nell’interesse dei consumatori abbia ad oggetto la tutela di uno dei diritti sanciti dall’art. 2. Quanto all’«interesse collettivo» di cui all’art. 139 Cod. Consumo, l’Ordinanza ritiene «ben individuabile, nell’ambito del genus consumatori-correntisti, un sottogruppo omogeneo, conforme e compatibile di consumatori-correntisti-debitori titolari di posizioni soggettive individuali ricadenti nel disposto del già citato art. 2 co. 2 Cdc, strumentalmente alla tutela delle quali agisce l’ente esponenziale». In ogni caso, prosegue l’Ordinanza, «sussiste un interesse superindividuale (nell’accezione che rileva al fine di individuare la legittimazione dell’ente rappresentativo) a che nella specifica, concreta e storica “vita” del contratto di conto corrente siano assicurate “equità, trasparenza e correttezza”».
L’Ordinanza si sofferma, poi, sul carattere immediatamente precettivo delle modifiche all’art. 120 T.U.B. A tale proposito, l’Ordinanza ribadisce come, dall’1 gennaio 2014, non deve più ritenersi consentita, nell’ambito dei rapporti bancari, alcuna prassi anatocistica. «Sotto tale aspetto», in effetti, «nessun rilievo può assumere l’adozione della norma regolamentare da parte del CICR, che non potrà che essere concretamente determinativa di modalità e criteri sulla produzione di interessi (e non di interessi sugli interessi, come era nella disciplina previgente), posto che se il divieto di anatocismo opera effettivamente, esso è destinato ad operare per effetto della disposizione primaria e non già in dipendenza di una disciplina attuativa demandata ad un organo governativo».
La modifica dell’art. 120 T.U.B. e del riferimento all’oggetto della stessa (: «non più modalità e criteri per la produzione di “interessi su interessi”, ma per la produzione “di interessi”») ha infatti determinato la caduta della fonte secondaria che regolava la produzione di interessi anatocistici. Ciò posto, l’emananda delibera CICR, non potrà, come è naturale, introdurre nuovamente il meccanismo di produzione degli interessi anatocistici nella contrattazione bancaria; il limite generale è costituito, in questo caso, dall’art. 1283 c.c., che è norma imperativa ed eccezionalmente fa salva la pratica anatocistica purché siano rispettate le condizioni dalla stessa norma stabilite. Aggiunge poi l’Ordinanza: «non si può non sottolineare che la disposizione, così come intesa, non necessita di alcuna delibera CICR per poter avere l’effetto voluto … mentre apparirebbe senza dubbio contrario all’interesse del legislatore di tale riforma che la disposizione, di favore per il correntista, possa essere privata degli effetti suoi propri, indefinitamente, in dipendenza di atteggiamenti dilatori o inerti dell’autorità governativa incaricata delle disposizioni di dettaglio».
Quanto alla portata dell’espressione «successive operazioni di capitalizzazione» del «nuovo» art. 120 T.U.B., l’Ordinanza chiarisce come la stessa vada intesa, stante la ratio della norma, non in senso tecnico, ma nel «significato di calcolo, conteggio, operazione di identificazione di una unità numerica contabile per frazione di tempo».
Il Tribunale si pronuncia, poi, sui dubbi di conformità del nuovo art. 120 T.U.B. all’ordinamento europeo e alla Costituzione. Con riferimento alla «libertà di impresa e concorrenza a livello comunitario», l’Ordinanza rileva che, «se in taluni stati membri dell’Unione la pratica anatocistica è ammessa, ve ne sono altri in cui è espressamente vietata o limitata … sicché nemmeno è coerente, almeno a questo momento, il riferimento a condizioni deteriori che affliggerebbero solo chi volesse esercitare imprese bancarie in Italia». Né, secondo il Tribunale, l’art. 120 T.U.B. è in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. Da un lato, infatti, non si può parlare di violazione del principio di uguaglianza (: tra «cliente – debitore» e «cliente – creditore»), considerato che «nel corso del rapporto, la distinzione tra cliente-creditore, cliente-debitore viene a perdersi a svantaggio del medesimo contraente-cliente»; dall’altro, perché non vi è alcun «trattamento deteriore del creditore Banca rispetto all’ordinario creditore», né alcuna «differenza di trattamento fra cliente-consumatore e cliente ordinario».
Da ultimo, l’Ordinanza afferma la sussistenza, nell’ipotesi in esame, del requisito di urgenza di cui all’art. 140, comma 8, Cod. Consumo: «la valutazione di effettività della tutela, in vista della quale, ove ricorrano giusti motivi di urgenza, essa possa essere chiesta anche utilizzando le forme del procedimento cautelare, va parametrata non tanto sul piano del tempo che è intercorso dal sorgere o manifestarsi della violazione al momento in cui la tutela viene chiesta dall’ente esponenziale, quanto dal momento in cui venga esercitata l’azione a quello normalmente necessario per la sua tutela». Nel caso di specie, l’inerzia nell’esercizio dell’azione inibitoria, protrattasi per diciotto mesi, è da ritenersi giustificata in ragione sia della formulazione non cristallina della norma, sia dell’opportunità di attendere l’esercizio della delibera attuativa CICR e l’interpretazione della norma da parte del ceto bancario.