In una recente pronuncia del Tribunale di Mantova (sentenza n. 251 del 5.3.2015) è stata data applicazione all’art. 96 cod. proc. civ., in conseguenza del rigetto delle domande proposte da parte degli investitori nei confronti della Banca ed alla luce del comportamento anche processuale che le parti avevano tenuto nel corso del giudizio (oltre alla condanna al pagamento delle spese di lite).
In particolare, il Giudice di prime cure ha così motivato la condanna comminata assumendo che “occorre però valutare il dettato del nuovo III comma dell’art. 96 cpc, introdotto dall’art. 45 comma XII della legge 18 giugno 2009 n. 69 e quindi applicabile alla presente procedura, ove si è previsto che: “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. La norma appare finalizzata a svincolare la condanna ivi prevista dalla necessaria prova degli elementi oggettivi e soggettivi prevista dall’originario testo dell’art. 96 cpc [nota: Non a caso è stata contestualmente eliminata la previsione di cui all’art. 385/4 cpc che prevedeva analogo meccanismo limitatamente ai giudizi di Cassazione]. Nel caso specifico risulta evidente che i convenuti sono stati costretti a contrastare un’iniziativa del tutto ingiustificata e che ricorrono quindi i presupposti per l’applicazione della nuova previsione, tenuto conto che la condanna può essere irrogata anche d’ufficio e la somma essere equitativamente determinata”.
Per comprendere appieno le motivazioni assunte dal Giudice di primo grado, occorre chiarire che l’oggetto del giudizio investiva la pretesa nullità, annullabilità, risoluzione, responsabilità contrattuale, precontrattuale ed extracontrattuale derivante da presunte perdite che i clienti lamentavano con riguardo alla negoziazione di strumenti finanziari derivati quotati sui mercati regolamentati.
Dopo aver disconosciuto la sottoscrizione e conformità delle copie dei documenti contrattuali rispetto agli originali, nutrendo “dubbi” sulla genuinità dei contratti, la difesa di parte attrice ha ritirato – in seguito al deposito della documentazione in originale – ogni contestazione in merito, assumendo la nullità dei contratti per assenza della sottoscrizione del dipendente della Banca, ovvero per la mancanza di “data certa”. In motivazione il Giudice ha ritento che “Il documento 3 appare compilato in ogni sua parte e sottoscritto sia dagli attori che da un funzionario bancario nella penultima e ultima pagina. Sono quindi del tutto infondate le censure che vorrebbero rilevare nullità nel mancato deposito di una accettazione della banca. Infondate le censure sulla data, atteso che il documento proviene dalla parte e non è stato disconosciuto, neppure sotto il profilo della presunta difformità dall’originale, con il ché è del tutto sfornita di prova la circostanza secondo cui sarebbe stato formato successivamente. Del tutto infondata è quindi ogni richiesta di una prova certa della data del documento e ancor più di un timbro postale ad accertarlo, requisito non previsto da alcuna norma, così come la pretesa di nullificare la firma della banca perché illeggibile ancorché posta su un timbro dell’Istituto di credito” e “quanto infine al contratto di conto corrente, oltre a valere quanto già detto sopra, è sufficiente richiamare la giurisprudenza sempre più diffusa in ordine alla sufficienza della firma del cliente nonché il riferimento operato da parte convenuta a Cass. Civ sez. I n. 4564/12”.
Proseguendo nelle valutazioni delle domande proposte da parte dai clienti, viene in evidenza che, “Quand’anche poi – contrariamente alle motivazioni suindicate – si ipotizzasse l’omissione, da parte dell’intermediario, dell’adempimento agli obblighi informativi, deve confermarsi come il tipo di responsabilità, secondo prevalente giurisprudenza e dottrina, abbia natura aquiliana, rendendosi così rilevante l’eccezione di prescrizione tempestivamente formulata dai convenuti e tenuto conto che sono trascorsi più di cinque anni (art. 2947 cc) tra la sottoscrizione del contratto quadro e la raccomandata interruttiva della prescrizione 30/6/2009. Altrettanto prescritta sarebbe poi la prospettata azione d’annullamento”
Dal punto di vista probatorio, inoltre, alcuna delle contestazioni in ordine alla pretesa non adeguatezza degli investimenti si rinveniva all’esito dell’esame degli elementi probatori, nonché in ordine alla pretesa invalidità degli ordini di investimento in conseguenza di “conflitti di interessi” o “offerta fuori sede”.
Infine, nella sentenza in esame viene (correttamente) data evidenza che “Per quanto riguarda la presunta “reticenza” della banca a fornire le informazioni richieste non possono condividersi le tesi attoree volte a stabilire una specie di obbligo generale della banca a produrre tutti i documenti atti a provare i fatti contro se stessa. L’art. 119 del tub ha precisi limiti e non può costituire il presupposto per ottenere copia di contratti che i clienti hanno dichiarato per iscritto di avere ricevuto in copia e avevano l’onere di conservare. Analogamente non può ricavarsi dal complesso delle norme sugli investimenti finanziari un generale obbligo dell’intermediario di fornire tutta la documentazione richiesta”.
La conclusione cui giunge il Tribunale adito è quello per cui, oltre alla condanna al pagamento delle spese legali, deve conseguire la condanna degli attori al pagamento di un importo equitativamente determinato, in ragione della condotta processuale assunta e, soprattutto, dalla mala fede connaturata all’azione proposta.