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Giurisprudenza

Locazione finanziaria: verso il superamento della dicotomia leasing traslativo e di godimento

19 Marzo 2015

La Scala Studio Legale | Avv. Francesco Concio

Tribunale di Bologna, 18 febbraio 2015

Di cosa si parla in questo articolo

Una delle principali questioni, che hanno sempre infuocato le aule giudiziarie investite delle problematiche sulla locazione finanziaria, è l’ormai nota distinzione tra leasing traslativo e di godimento.

La ragione, come noto, non risiede più tanto nell’identificazione di precisi indici di rilevamento dell’una o dell’altra connotazione propria del c.d. leasing finanziario – nell’ambito del quale opera la classica bipartizione il cui segno di confine era già stato tracciato dalle Sezioni Unite nel lontano 1993 -, quanto più nell’idea di poter ritenere ormai superata tale distinzione, in ragione di un diverso inquadramento sistematico della problematica.

In questa direzione, un primissimo indirizzo interpretativo aveva messo a fuoco una diversa angolazione della quaestio iuris, ribattezzando il perimetro di indagine della problematica intorno alla disciplina applicabile all’una o all’altra fattispecie contrattuale.

In buona sostanza, preconizzando quello che sarebbe stato il successivo intervento del Legislatore in tema di riforma della legge fallimentare (cfr. art. 72 quater L.Fall.), già a partire dagli anni novanta una giovanissima giurisprudenza aveva ridisegnato la tradizionale distinzione tra leasing traslativo e leasing di godimento, muovendo dal presupposto dell’inapplicabilità dell’art. 1526 c.c. con la figura del leasing traslativo, stante l’impossibilità di distinguere duediverse sottocategorie contrattuali nell’ambito del c.d. leasing finanziario, in ragione della natura unitaria del contratto con prevalente causa di finanziamento (cfr.Trib. Milano, 03.09.1992 e 07.09.1992, in Riv. It. Leasing 1994, 870; Trib. Milano, 23.03.2000, in Giurisprudenza Milanese 2000 e Trib. Milano, 01.04. 2004, in Banca Borsa e Tit. di credito, 2006, I, 54. Nello stesso senso, cfr. anche Trib. Monza, 19.09.2002, in Il Fallimento, 2003, 6, 6593, e Trib. Monza, 07.12.2004, in Il Fallimento, 2005, 10, 1174).

Nel corso dell’ultimo decennio, tuttavia, la rilettura sistematica offerta da una parte lungimirante della giurisprudenza, ha dovuto scontrarsi più volte con l’orientamento antagonista, che, nell’offrire un’interpretazione atomistica della problematica, ha continuato a sostenere implacabilmente l’applicabilità in via analogica dell’art. 1526 cod. civ..

Logico corollario di tale scontro è un indirizzo interpretativo ondivago, che giornalmente calca le scene di un contenzioso giudiziale in cui, nonostante tutto, le Corti dimostrano in buona parte di aver superato le iniziali rigidità di una lettura dualista della problematica.

E’ in questi termini, infatti, che si è espresso il Tribunale di Bologna in una recentissima sentenza del 18.02.2015: «In realtà, è ormai in via di completo superamento, quantomeno nella giurisprudenza di merito, la suddetta distinzione tra i due tipi di leasing, invece, un’unica tipologia del contratto di leasing, del quale si sottolinea la funzione prevalentemente finanziaria, ben diversa rispetto alla vendita con riserva della proprietà (Trib. Milano, 22.11.2007, in “Banca, Borsa e titoli di credito”, 2008; Trib. Monza, 7 dicembre 2004, in Fall., n. 10/2005, pag. 1174; Trib. Monza, Sez. IV, 24.09.2005; Trib. Milano, 5.11.2002, in Giurisprudenza Milanese, 2004), con la conseguenza che la disciplina pattizia viene ad assumere prevalenza sull’art. 1526 c.c., costituendo la locazione finanziaria una distinta tipologia contrattuale caratterizzata dalla causa di finanziamento (Trib. Treviso, 19.01.2012)».

Proseguendo in tal senso, nel ricordare il contesto nel quale la giurisprudenza di legittimità ha elaborato la figura del leasing traslativo, il Tribunale petroniano si è inoltre soffermato su ulteriori punti di indagine, senza dimenticare che il richiamato indirizzo interpretativo è sorto in un periodo in cui i contratti uniformi predisposti dalla società di locazione finanziaria prevedevano normalmente che, nel caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, quest’ultimo, oltre a restituire il bene locato, dovesse pagare a titolo di penale ex art. 1382 c.c., sia le rate scadute, sia le rate a scadere, che il c.d. prezzo di riscatto.

In tale contesto, precisa altresì il Giudice adito, «l’effetto di tali pattuizioni appariva iniquo e comportante per la società concedente un arricchimento ingiustificato rispetto alla sua originaria prospettiva di profitto (prevista nel caso di sviluppo fisiologico del rapporto contrattuale), alla quale veniva aggiunto il vantaggio economico del valore residuo del bene restituito dall’utilizzatore, proprio al fine di ovviare a tale squilibrio contrattuale la Suprema Corte, tenuto conto della natura atipica del contratto di leasing, aveva introdotto la figura del leasing traslativo, applicando ad essa analogicamente l’art. 1526 c.c. previsto per la vendita con riserva di proprietà (considerata norma imperativa con “valore di principio generale di tutela di interessi omogenei” e “di strumento di controllo dell’autonomia negoziale delle parti”), figura contrattuale ritenuta affine per l’asserita comune funzione prevalente di scambio».

Ragion per cui, poiché «la fattispecie del leasing traslativo nasce come correttivo riportante all’equità un contratto, il leasing, normalmente soggetto ad altra disciplina», come prima conseguenza «è onere di colui che pretende di avvalersi della norma di cui all’art. 1526 c.c. a fronte di un contratto di leasing dimostrare la sussistenza dei presupposti di fatto che possano giustificare il suddetto inquadramento».

Il che, ha concluso il Tribunale felsineo, nel caso di specie è escludersi poiché «tale prova non è stata fornita».

Dunque, pur non potendosi parlare di un arresto definitivo, possiamo senz’altro affermare che è in via di completo superamento, quantomeno in quest’ottica di idee, la tradizionale distinzione tra leasing traslativo e di godimento.

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