Con sentenza del 04 febbraio 2013, n. 2402, il Tribunale di Roma definisce una vertenza in materia di intermediazione finanziaria soffermandosi sui profili connessi agli obblighi di forma scritta prescritti, a pena di nullità, dall’art. 23 del d.lgs. 58/1998 (TUF) per il c.d. contratto quadro relativo alla prestazione dei servizi di investimento.
Nel caso di specie, in calce ai suddetti contratti quadro, risultava essere stata apposta, oltre alla firma del cliente investitore, solo quella del promotore finanziario, come tale priva del potere di rappresentanza della banca e, conseguentemente, priva del potere di accettare la proposta contrattuale indirizzata dai clienti alla stessa banca.
Il Tribunale, richiamando l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, evidenzia come, con riferimento ai contratti per i quali è prevista la forma scritta ad substantiam, occorre la sottoscrizione di tutte le parti che hanno stipulato il contratto e, in tema di prove documentali, la produzione in giudizio di una scrittura privata ad opera della parte che non l’abbia sottoscritta costituisce equipollente della mancata sottoscrizione contestuale, e pertanto perfeziona, sul piano sostanziale o su quello probatorio, il contratto in essa contenuto, solo se il contraente che non lo abbia sottoscritto produca il documento al fine di farne valere gli effetti contro l’altro contraente sottoscrittore o manifesti comunque a questi con un proprio atto scritto la volontà di avvalersi del contratto.
Sulla base di tali principi il Tribunale ha ritenuto che la domanda proposta dall’investitore di declaratoria della nullità dei contratti quadro di intermediazione e delle operazioni di sottoscrizione degli strumenti finanziari dinanzi indicati per difetto di conclusione, in forma scritta, dei predetti contratti quadro, dovesse essere intesa quale revoca implicita del consenso prestato alla stipula del contratto quadro.
Ne consegue, nel caso di specie, la nullità dei contratti quadro recanti la sottoscrizione dei soli clienti.