Con sentenza n. 47421 del 21 dicembre 2011, la II^ sezione Penale della Corte di Cassazione ha pronunciato l’inammissibilità di un sequestro preventivo richiesto dall’ente investitore a norma del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 53, fino alla concorrenza delle somme che la banca avrebbe fraudolentemente ricavato con la stipula di operazioni finanziarie mediante contratti derivati finalizzate alla ristrutturazione dell’indebitamento dello stesso Ente.
Come evidenzia la Corte, nell’ipotesi di truffa contrattuale il reato si consuma non già quando il soggetto passivo assume, per effetto di artifici o raggiri, l’obbligazione della datio di un bene economico, ma nel momento in cui si realizza l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del raggirato.
Principio, questo, prosegue la Corte, dal quale si è tratto come corollario che, qualora l’oggetto materiale del reato sia costituito da titoli di credito, il momento della sua consumazione è quello della acquisizione da parte dell’autore del reato, della relativa valuta, attraverso la loro riscossione o utilizzazione, poichè solo per mezzo di queste si concreta il vantaggio patrimoniale dell’agente e nel contempo diviene definitiva la potenziale lesione del patrimonio della persona offesa.
Tale vantaggio per la banca, e correlativo svantaggio per l’investitore, non può rinvenirsi, come fatto dall’ente in sede di ricorso per sequestro,nel concetto mark to market, definito come il costo sostenuto dall’ente per il completamento dell’operazione derivata, ovvero come il valore del contratto ad una certa data e pari al valore attuale dei differenziali che le parti si scambieranno fino alla scadenza della struttura, per tale riconducibile.
Secondo la Corte, infatti, tale valore non esprima affatto un valore concreto ed attuale, ma esclusivamente una proiezione finanziaria basata sul valore teorico di mercato in caso di risoluzione anticipata.
Il valore del mark to market, prosegue la Corte, è influenzato da una serie di fattori ed è quindi sistematicamente aggiustato in funzione dell’andamento dei mercati finanziari, dovendosi poi attrarre nell’ambito dei relativi parametri di determinazione anche l’up to front erogato e l’utile per la banca.
Per poter stabilire se quel dato rappresenti o meno un vantaggio o un danno dell’investitore contraente occorre quindi procedere ad una disamina a posteriori, allorchè, cioè, il contratto abbia raggiunto la sua normale scadenza.