In tema di recesso dalla società di capitali, l’espressione “diritti di partecipazione” di cui all’art. 2437 c.c., lett. g), per quanto nell’ambito di una interpretazione restrittiva della norma tesa a non incrementare a dismisura le cause legittimanti l’exit, comprende in ogni caso i diritti patrimoniali implicati dal diritto di partecipazione, e tra questi quello afferente la percentuale dell’utile distribuibile in base allo statuto; ne consegue che la modifica di una clausola statutaria direttamente attinente alla distribuzione dell’utile, che influenzi in negativo i diritti patrimoniali dei soci prevedendo l’abbattimento della percentuale ammissibile di distribuzione dell’utile di esercizio in considerazione dell’aumento della percentuale da destinare a riserva, giustifica il diritto di recesso dei soci di minoranza.
La sentenza in epigrafe presenta elementi di notevole interesse in tema di diritto di recesso dei soci dissenzienti rispetto all’approvazione di una delibera modificativa dello statuto – assunta nel contesto di una fusione per incorporazione e dunque dell’adozione di nuove disposizioni statutarie – che destini parte degli utili di esercizio ad una apposita riserva di patrimonio netto. Il novellato testo statutario aveva significativamente elevato i limiti della riserva legale, del tetto di accantonamento e del limite di riserva statutaria straordinaria, limitando così la possibilità di distribuire dividendi ai soci. Nel merito, la banca incorporante ricorreva sollevando la violazione e falsa applicazione dell’art. 2437, comma primo, lett. g), c.c.: le argomentazioni allegate asserivano la necessità di interpretare la disposizione in senso restrittivo, onde assicurare che il diritto di exit corrispondesse ad un pregiudizio concreto ed attuale – non dunque ad una mera aspettativa – dei diritti di partecipazione dei soci. In altri termini, la posizione della ricorrente rilevava l’assenza di un reale danno subito dai recedenti, giacché esso sarebbe stato ampiamente compensato dall’aumento di valore patrimoniale derivante dalla minore distribuzione.
Al riguardo, l’art. 2437, lett. g), c.c. attribuisce invero diritto di recesso in dipendenza di modificazioni statutarie “concernenti i diritti di voto o di partecipazione”. L’interpretazione ampiamente prevalente di tale disposizione, tuttavia, è nel senso che non ogni e qualsiasi modifica statutaria che alteri in senso peggiorativo la posizione amministrativa o patrimoniale dei soci dia luogo a recesso, ma che il recesso possa derivare da questa disposizione solo ed esclusivamente in casi di delibere che peggiorino in via diretta e generale specifiche prerogative attribuite ad una determinata categoria azionaria (F. Chiappetta, Nuova disciplina del recesso di società di capitali: profili interpretativi e applicativi, in Riv. soc., 2005, 487; V. Calandra Buonaura, Il recesso del socio di società di capitali, in Giur. comm., 2005, I, 291 e Osservazioni di Borsa Italiana, in Riv. Soc., 2002, 1579, ove si legge: «un’interpretazione estensiva di tale disposizione rischierebbe di paralizzare importanti operazioni societarie poste in essere da società quotate, esponendole al ricatto di minoranze organizzate»).
La questione si presta però ad una duplice chiave interpretativa.
Sotto il profilo oggettivo, il recesso spetta (solo) in relazione ad una deliberazione che incida direttamente, modificandoli, sui diritti di voto e di partecipazione di determinate azioni.
Sotto il profilo soggettivo, esso è esercitabile dai soggetti titolari di tali azioni che non concorrano nell’assemblea cui sono legittimati a partecipare all’espressione della volontà collettiva assembleare necessaria affinché la modificazione sia efficace (F. Chiappetta, Nuova disciplina del recesso di società di capitali: profili interpretativi e applicativi, in Riv. soc., 2005, 487 e D. Galletti, Commento sub art. 2437, in Il nuovo diritto delle società a cura di Maffei Alberti, Padova, 2005, p. 1509).
In precedenza, solo in una circostanza (Cass. 1 giugno 2017, n. 13875, in Banca borsa, 2018, II, 143 ss., con nota di Ghionni Crivelli Visconti; in Giur. it., 2018, 652 ss., con nota di Rosso; in Riv. dir. soc., 2018, 85 ss., n. con nota di Mercuri; in Società, 2018, 13 ss., con nota di Zamperetti; in Vita not., 2017, 1433, con nota di Nigro; in Notariato, 2017, 445 ss., con nota di Terranova; in Riv. not., 2017, 793) i giudici della Cassazione si erano soffermati su quali fossero le “modificazioni” idonee ad attivare il diritto di recesso dei soci che non abbiano concorso ad una delibera e sul significato dell’espressione “diritti di voto o di partecipazione” di cui all’art. 2437, comma primo, lett. g), c.c.
Al contrario, la lettura dell’articolo in questione era stata più volte affrontata nella giurisprudenza di merito (App. Brescia, 2 luglio 2014, in Giur. comm., 2017, II, 156 ss., con nota di Fornasari; in Giur. comm., 2015, II, 1053 ss., con nota di Ventoruzzo, in Riv. dott. comm., 2015, 244 ss., con nota di Brighenti; Trib. Roma., 21 gennaio 2013, in Foro pad., 2013, I, 469 ss., con nota di Napoletano; Trib. Roma, 30 aprile 2014, in Giur. comm., 2015, 864 ss., con nota di Fauceglia; Trib. Milano, 31 luglio 2015, n. 9189, in Giur. comm., 2017, II, 169 ss., con nota di Ventoruzzo; in Giur. it., 2015, 2398 ss., con nota di Pollastro; in Riv. dott. comm., 2016, 305 ss., con nota di Pin) e in dottrina (M. Ventoruzzo, I criteri di valutazione delle azioni in caso di recesso del socio, in Riv. soc., 2005, I, 325 ss. e P. Piscitello, Recesso organizzativo e diritti patrimoniali del socio uscente nelle s.p.a., Torino, 2017, 75).
Essendo gli elementi fattuali del caso già delineati, benché sinteticamente, nella decisione della Corte di Cassazione, pare rilevante soffermarsi sul nodo squisitamente giuridico.
La Corte si è infatti espressa su un punto ampiamente dibattuto, ossia sul fatto che il legislatore intenda riferire l’espressione “diritti di partecipazione” ai soli diritti patrimoniali del socio (così Cass., 1 giugno 2017, n. 13875, ove i giudici distinguono ulteriormente anche tra modifiche “dirette” e “indirette”, secondo una argomentazione commentata in senso critico in M. Ventoruzzo, Modifiche di diritto, indirette e di fatto del diritto di voto e recesso nelle s.p.a., in Giur. comm., 2015, II, 1059 ss.; G.P. La Sala, Principio capitalistico e voto non proporzionale nella società per azioni, Torino, 2011, 215 e P. Piscitello, Commento sub art. 2437 c.c., in Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, a cura di P. Abbadessa e G.B. Portale, Milano, 2016, 2502) o anche a quelli amministrativi, che si estendono, inter alia, alla richiesta di convocazione o di rinvio dell’assemblea, come pure al diritto di impugnativa delle delibere assembleari(in tal senso, M. Ventoruzzo, Recesso e valore della partecipazione nelle società di capitali, Milano, 2012, 22 ss.; M. Ventoruzzo, Modifiche di diritto, indirette e di fatto del diritto di voto e recesso nelle s.p.a., in Giur. comm., 2015, II, 1059 ss.; A. Paciello, Commento sub art. 2437 c.c., in Società di capitali. Commentario, a cura di G. Niccolini, A. Stagno d’Alcontres, Napoli, 2014, 1114; A. Abu Awwad, I “diritti di voto e di partecipazione” fra recesso e assemblee speciali, in Banca borsa, 2009, 312 ss.).
I giudici, nella decisione in esame, hanno infatti precisato che i diritti di partecipazione debbono essere riferiti ai soli diritti di natura economica, adottando così una interpretazione restrittiva, che comprende però i diritti patrimoniali derivanti da tale partecipazione. Tra questi certamente deve ritenersi incluso il diritto alla distribuzione degli utili statutariamente previsto.
Tale conclusione non implica però una perfetta sovrapposizione rispetto al decisum dell’unico precedente di legittimità: la Corte nel caso in esame ha infatti sottolineato che tale interpretazione mira ad evitare che qualsivoglia modificazione statutaria, per propria natura destinata a incidere sulla posizione del socio, divenga poi, di fatto, presupposto per l’esercizio del diritto di recesso.
Con riferimento alla disciplina speciale, la Corte ha precisato come non si applichi alla fattispecie di cui all’art. 56 TUB, che prevede come le modifiche degli statuti delle società bancarie debbano rispettare i principi di sana e prudente gestione, di matrice comunitaria (G. Carletti, Commentario sub art. 56 TUB, in Commentario breve al Testo Unico Bancario, a cura di R. Costi e F. Vella, Padova, 2019, 279 ss., spec. a 283 e F. Maimeri, Commentario sub art. 56 TUB, in Commentario al Testo Unico delle Leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di F. Capriglione, Padova, 2018, 675). La ragione è legata al fatto che, ai fini dell’esercizio del diritto di recesso da parte del socio, rileva unicamente che la deliberazione danneggi potenzialmente il diritto di partecipazione del medesimo, senza che rilevi l’osservanza di regole di governance e di “saggia amministrazione” (F. Maimeri, Commentario sub art. 56 TUB, in Commentario al Testo Unico delle Leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di F. Capriglione, Padova, 2018, 675). Per competenza occorre sottolineare come la norma primaria rappresentata dall’art. 28, comma 2-ter, TUB quale introdotto con il d.L. 3/2015 convertito in L. 33/2015 prevede che nelle banche popolari «il diritto al rimborso delle azioni nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione […] è limitato secondo quanto previsto dalla Banca d’Italia, anche in deroga a norme di legge laddove ciò è necessario ad assicurare la compatibilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca».
La pronuncia in epigrafe afferma dunque un rilevante principio di diritto: l’espressione “diritti di partecipazione” di cui all’art. 2437, lett. g), c.c. comprende i diritti patrimoniali, tra cui il diritto alla percentuale dell’utile distribuibile statutariamente pattuita. Conseguentemente, la Corte ha rigettato il ricorso della società bancaria e riconosciuto il diritto di recesso dei soci di minoranza in relazione alla modifica della clausola statutaria direttamente «attinente alla distribuzione dell’utile di esercizio, che influenzi in negativo i diritti patrimoniali dei soci prevedendo l’abbattimento della percentuale ammissibile di distribuzione dell’utile di esercizio in considerazione dell’aumento della percentuale da destinare a riserva».