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Note

Le Sezioni Unite si pronunciano sul requisito di forma di cui all’art. 23 TUF: non è necessaria la sottoscrizione dell’intermediario finanziario

22 Febbraio 2018

Giorgio Mattarella, Dottorando di ricerca presso l’Università degli Studi di Palermo

Cassazione Civile, Sez. Un., 16 gennaio 2018, n. 898 – Pres. Rordorf, Rel. Di Virgilio

Di cosa si parla in questo articolo

Premessa

Com’è noto, con ordinanza n. 10447 del 27 aprile 2017, commentata anche in questa rivista [1], la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione aveva rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione di massima: “se, a norma dell’art. 23 d.lgs. n. 58 del 1998, il requisito della forma scritta del contratto di investimento esiga, accanto a quella dell’investitore, anche la sottoscrizione ad substantiam dell’intermediario”.

La questione, che si pone anche per l’analoga disposizione di cui all’art. 117 d.lgs. n.385 del 1993, è stata risolta stabilendo che “è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell’intermediario, il cui consenso si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti”.

La soluzione adottata dalla Suprema Corte con la sentenza n. 898/2018 è condivisibile in termini di giustizia sostanziale [2], anche se la motivazione fornita non convince del tutto.

Il caso sottoposto alla Suprema Corte ed il quadro normativo

Nel caso di specie, i ricorrenti intendevano far valere in modo selettivo la nullità di due operazioni di investimento deducendo la mancanza di un valido contratto quadro, in quanto sottoscritto solo dagli investitori e non anche dall’intermediario, negando altresì rilevanza alla produzione in giudizio di un modulo contrattuale, sottoscritto dai clienti, con il quale gli stessi dichiaravano di avere ricevuto un esemplare del contratto sottoscritto dai rappresentanti dell’intermediario.

La Corte d’appello di Milano [3], in accoglimento delle predette doglianze, aveva dichiarato in modo selettivo la nullità del contratto quadro e delle due operazioni di investimento, condannando altresì l’istituto di credito alla restituzione delle somme investite.

Occorre premettere dei brevi cenni in merito al quadro normativo di riferimento.

L’art. 23, primo comma del TUF stabilisce per i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento il duplice onere di redazione per iscritto e di consegna al cliente di un “esemplare”, sanzionando con la nullità l’inosservanza della forma prescritta. Il terzo comma prevede poi che solo il cliente possa agire per la nullità.

Previsioni analoghe sono contenute negli artt. 117 e 127 TUB, in relazione ai quali, tuttavia, parte della dottrina distingue tra la mancata redazione per iscritto del contratto e la mancata consegna di un esemplare al cliente, ritenendo che quest’ultima inosservanza legittimi il cliente ad intimare alla banca la consegna e ad agire per il risarcimento dei danni, trattandosi di un’obbligazione attinente alla fase esecutiva del rapporto [4].

Viene in rilievo, infine, l’art. 30 del reg. Consob n.11522 del 1998, sostituito dall’art. 37 del reg. n. 16190 del 2007 ma applicabileratione temporis al caso scrutinato dalle Sezioni Unite, che impone la redazione per iscritto del contratto e la consegna di una (mera) “copia” all’investitore [5].

L’ordinanza di rimessione e la pronuncia delle Sezioni Unite

L’istituto di credito aveva impugnato la sentenza di merito per violazione e falsa applicazione delle disposizioni appena citate, ritenendo che la Corte d’appello avesse errato nel giudicare superflua la sottoscrizione del contratto quadro da parte della banca.

Ad avviso della Prima Sezione della Suprema Corte, tale motivo di ricorso pone la questione della necessità ad substantiam anche della sottoscrizione dell’istituto di credito (accanto a quella dell’investitore) al fine della valida conclusione del contratto di gestione su base individuale di portafogli di investimento, di cui all’art. 24 d.lgs. n. 58/1998; essa, comunque, si pone in generale per tutti i contratti di prestazione di servizi di investimento e i contratti bancari, per i quali l’art. 117 TUB prescrive gli stessi requisiti formali [6] .

La risoluzione della questione è foriera di rilevanti conseguenze: la necessità della sottoscrizione dell’intermediario implica come corollario che, in sua assenza, il cliente bancario possa agire per far dichiarare la nullità degli interessi ultralegali, delle commissioni e spese addebitategli nel corso del rapporto, con effetti restitutori in proprio favore; parimenti, l’investitore finanziario potrebbe far valere la nullità del contratto quadro privo della sottoscrizione della banca e per l’effetto ottenere la dichiarazione di nullità degli ordini di investimento attuativi del primo, con effetti restitutori o risarcitori a proprio vantaggio.

Nella prassi del settore bancario il contratto quadro viene sottoscritto dal cliente e consegnato alla banca, la quale gli consegna un documento identico firmato da un delegato, di modo che ciascuna parte abbia la disponibilità del contratto originale sottoscritto dalla controparte.

Le Sezioni Unite, non inutilmente, rammentano innanzi tutto che, per costante giurisprudenza, il requisito di forma scritta a pena di nullità si riferisce ai contratti quadro e non alle singole operazioni di investimento (meramente attuative del primo e partecipanti della relativa causa), salva diversa volontà delle parti espressa nel contratto.

Il contratto quadro, contenente la regolamentazione dei servizi dell’intermediario, infatti, è stato assimilato al mandato dalle stesse Sezioni Unite nelle note pronunce del 2007, relative alle conseguenze della violazione degli obblighi di comportamento degli intermediari [7].

Ne consegue che i singoli ordini di acquisto potrebbero essere impartiti anche in forma orale se il contratto non dovesse disporre diversamente, come si desume, peraltro, dall’art. 37, comma 2, lett. c), reg. Consob 16290/2007, il quale prescrive che spetta al contratto stipulato con il cliente l’indicazione delle modalità con le quali lo stesso può impartire ordini e istruzioni [8].

Dopo aver perimetrato la questione, la Suprema Corte passa in rassegna i due orientamenti contrapposti: l’uno, espresso in particolare da Cass. n. 5919/2016, e l’altro, cui aderisce l’ordinanza di rimessione.

Ad avviso dell’orientamento più recente [9], l’art. 23 cit. prevede una forma bilaterale ad substantiam e la produzione in giudizio del contratto quadro, da parte della banca che non lo ha sottoscritto, è idoneo equipollente della sua sottoscrizione, comportando tuttavia il perfezionamento del contratto solo ex nunc (il contratto formale, infatti, si perfeziona solo in quanto le dichiarazioni di volontà siano state formalizzate), con conseguente nullità insanabile degli ordini di acquisto di strumenti finanziari precedentemente impartiti, ai sensi dell’art. 1423 c.c. [10]

Tale orientamento, comunque, ritiene soddisfatto il requisito formale anche in presenza di sottoscrizioni delle parti contenute in documenti distinti ma aventi un collegamento tale da evidenziare la formazione dell’accordo.

Si nega, inoltre, la possibilità di desumere la conclusione del contratto dalla dichiarazione, resa dall’investitore nel documento mancante della sottoscrizione dell’istituto, che “un esemplare del presente contratto ci è stato da voi consegnato sottoscritto dal soggetto abilitato a rappresentarVi”.

Tale documentazione, infatti, non manifesta direttamente la volontà contrattuale della banca, ma si limita a rappresentare l’esecuzione di obblighi derivanti dal contratto, il cui perfezionamento si intende provare, con una sorta di inversione logica in quanto si desume il prius (la stipula del contratto) dal posterius (consegna di un esemplare del contratto); trattasi, in ogni caso, di comportamenti attuativi, inidonei a dar luogo alla stipula di un contratto formale.

Le Sezioni Unite, ragionando in maniera analoga all’ordinanza di rimessione, si interrogano sulla ratio del requisito formale di cui all’art. 23 TUF, ritenendo che esso sia volto a soddisfare l’interesse del cliente alla conoscenza dei servizi cui si obbliga l’intermediario e alla costante verifica nel corso del rapporto del rispetto delle modalità esecutive del contratto quadro.

Com’è noto, si tratta di un vincolo formale volto a colmare il gap di conoscenze dei prodotti finanziari tra l’intermediario e il cliente, nell’ambito del c.d. neoformalismo, il cui rispetto è posto integralmente a carico della parte “forte” del rapporto per compensare il suo potere di determinare unilateralmente le condizioni dell’affare, e la cui inosservanza legittima solo il consumatore ad agire per la far dichiarare la nullità, rendendolo così arbitro della sorte del contratto [11].

Il fatto che l’assolvimento degli oneri formali gravi esclusivamente sull’intermediario ha portato la dottrina ad evidenziare il carattere asimmetrico del vestimentum (a differenza del formalismo di struttura di cui all’art. 1350 c.c.), proprio perché volto a riequilibrare un rapporto anch’esso asimmetrico pur se in senso inverso [12].

Ad avviso della stessa dottrina, inoltre, l’asimmetricità formale è confermata dalla possibilità di derogare agli oneri formali solo in senso favorevole al cliente, come espressamente previsto dall’art. 127 TUB [13]: le regole di forma sono inderogabili solo da un lato, mentre l’aderente potrebbe validamente opporre alla banca anche un accordo orale ove per lui più favorevole.

In questa prospettiva teleologica del requisito formale (che si può rinvenire anche in Cass. Sez. Un. 18214/2015 [14]), le Sezioni Unite ritengono arduo sostenere che la sottoscrizione del delegato della banca sia necessaria ai fini della validità del contratto quadro, in quanto nel caso di specie si tratta di una forma funzione e non, invece, di una forma struttura classica, il cui rispetto imporrebbe, invero, anche la sottoscrizione della banca.

Tale passaggio presenta alcune criticità, come si evidenzierà a breve, poiché le Sezioni Unite ritengono che il consenso della banca possa anche risultare a mezzo di comportamenti concludenti, pur vertendosi in una materia governata da un formalismo marcato, ulteriormente accentuato dalla recente attuazione della Direttiva MiFID II con il d.lgs. n. 129 del 2017, modificativo del TUF [15].

Tali comportamenti si concretano, in particolare, nella predisposizione delle condizioni generali di contratto, nella consegna del documento all’investitore e nell’avvenuta esecuzione degli ordini di acquisto da quest’ultimo impartiti.

Proseguendo nel proprio ragionamento, la Suprema Corte osserva che la sottoscrizione del contratto, quale elemento strutturale, assolve normalmente a due funzioni ai sensi dell’art. 2702 c.c., l’una probatoria della formazione del consenso delle parti, l’altra di imputazione del contenuto del contratto al sottoscrittore.

Nel Codice civile, dunque, queste due funzioni si collegherebbero al combinato disposto degli artt. 1350 e 1418 c.c., i quali elencano rispettivamente i contratti da stipulare in forma scritta e gli elementi strutturali del contratto, tra i quali, appunto, la forma scritta quando richiesta ad substantiam.

Da tale premessa, dunque, la Suprema Corte deduce la superfluità della sottoscrizione dell’intermediario, in quanto il requisito formale di cui all’art 23 TUF non dovrebbe intendersi in senso strutturale (e bilaterale) bensì in senso funzionale (ed unilaterale), e, una volta raggiunto lo scopo normativo con la sottoscrizione del cliente sul modulo contrattuale, la firma della banca non svolgerebbe alcuna funzione.

In altre parole, ad avviso della Corte di Cassazione vi è una (inedita) commistione tra il principio di libertà della forma e il formalismo negoziale.

Tale conclusione, inoltre, sarebbe giustificata dalla natura sanzionatoria della nullità (è azionabile solo dal cliente) per l’inosservanza del requisito di forma scritta e di consegna, nonché dal rispetto del principio di proporzionalità [16], che sarebbe leso dall’accoglimento dell’opposta tesi: come già accennato, infatti, la caducazione del contratto quadro e degli ordini di acquisto successivi comporta l’assoggettamento della banca alle azioni di ripetizione delle somme indebitamente ricevute, ex art. 2033 c.c., i cui termini di prescrizione decorrono dal momento dei singoli pagamenti [17].

La Suprema Corte conclude il proprio iter motivazionale affermando che la soluzione prospettata è l’unica idonea a garantire il contemperamento degli interessi contrapposti e ad evitare comportamenti opportunistici consistenti nell’uso selettivo della nullità da parte del cliente, deciso a caducare solo le operazioni di investimento svantaggiose pur a fronte della duratura e proficua esecuzione del contratto.

In definitiva, le Sezioni Unite hanno adottato un’interpretazione restrittiva e teleologica del requisito formale di cui all’art. 23 TUF, circoscrivendo testualmente “l’ambito della tutela privilegiata nei limiti in cui viene davvero coinvolto l’interesse protetto dalla nullità” [18].

Considerazioni critiche: una possibile alternativa all’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite

La pronuncia resa dalle Sezioni Unite presta il fianco ad alcune osservazioni, pur essendo pervenuta ad una soluzione encomiabile in punto di giustizia sostanziale, censurando l’orientamento di quella parte della giurisprudenza favorevole all’uso selettivo della nullità che [19], di fatto, avallava l’abuso del diritto da parte degli investitori.

Come evidenziato da una parte della dottrina [20], nei contratti asimmetrici la forma funzione, in quanto posta a protezione del consumatore, si dovrebbe sommare alla tradizionale forma struttura del Codice civile: in altri termini, il neoformalismo esige, appunto, più formalismo rispetto alle contrattazioni inter pares.

In tali ultime fattispecie, infatti, la forma vincolata deve caratterizzare gli elementi essenziali del contratto che identificano il tipo di operazione, ovvero l’oggetto e la causa; nei settori caratterizzati dal formalismo negoziale, invece, i contratti devono contenere una serie di elementi anche non essenziali, la cui previsione impone di ritenere che anch’essi debbano rivestire la forma scritta [21].

A titolo esemplificativo, nei contratti bancari deve essere indicato il tasso di interesse ed ogni altro prezzo e condizione praticati (art. 117, comma 4 TUB), mentre nei contratti di credito al consumo devono essere indicati i 21 elementi di cui al provvedimento Banca d’Italia 9 febbraio 2011, ex art. 125 TUB.

Sembrano deporre in tal senso, peraltro, il dato normativo codicistico e la legislazione di settore.

Dal combinato disposto degli artt. 1350 e 2702 c.c., invero, si evince che il requisito strutturale della forma scritta è soddisfatto dall’adozione di un atto pubblico o di una scrittura privata; quest’ultima, pur non avendo i requisiti formali dell’atto pubblico, richiede comunque la sottoscrizione delle dichiarazioni ad opera delle parti.

Tale dottrina, dunque, evidenzia l’assenza di ragioni plausibili per derogare nel settore dei contratti di investimento ai requisiti formali minimi di cui al Codice civile: anzi, la ratio protettiva del settore finanziario sembrerebbe deporre per la soluzione opposta, ovvero per la necessità anche della sottoscrizione della banca.

L’art. 23 TUF, peraltro, non distingue tra la sottoscrizione del cliente e quella dell’intermediario e richiede la consegna di un esemplare del contratto al cliente (a differenza del Reg. Consob 2007 [22], che si riferisce ad una copia), da redigersi, pertanto, in doppio originale sottoscritto da entrambe le parti.

L’esigenza di prevenzione di comportamenti opportunistici degli investitori, insomma, potrebbe astrattamente essere soddisfatta con altri strumenti giuridici, senza bisogno di stravolgere il requisito di forma in questione.

Tale esigenza, comunque, è stata espressa da una parte della dottrina che ha trattato il tema del formalismo negoziale e sembra risolta in altra maniera [23].

La tutela del consumatore, infatti, non è assoluta ma si esplica solo nella misura in cui esso sia effettivamente la parte debole del rapporto; la sua protezione, quindi, incontra il limite della buona fede e dell’abuso del diritto, il quale vieta l’esercizio di facoltà astrattamente consentite dall’ordinamento per perseguire fini diversi da quelli normativamente fissati e produttivi di un vantaggio sproporzionato.

Il rimedio predisposto dall’ordinamento a fronte di un comportamento abusivo (mutevole a seconda delle fattispecie concrete) è atipico proprio per adattarsi alle esigenze concrete: può aversi, dunque, una tutela risarcitoria, inibitoria o in via di eccezione (exceptio doli), volta ad ottenere la denegatio actionis.

A fronte dell’uso selettivo della nullità, dunque, potrebbe costituire un adeguato rimedio l’exceptio doli da parte della banca, volta ad ottenere il rigetto dell’azione di nullità proposta nei confronti di alcuni ordini di investimento, nella consapevolezza da parte del cliente, sin dalla stipulazione, della mancanza della sottoscrizione della controparte, taciuta durante tutto il corso del rapporto.

Tale soluzione, probabilmente più logica (trattandosi del rimedio ordinario per contrastare comportamenti abusivi), avrebbe il vantaggio di adattarsi alle peculiarità della fattispecie concreta, lasciando al giudice la valutazione della sussistenza in concreto di comportamenti abusivi dell’investitore, e di non stravolgere il requisito di forma di cui all’art. 23 TUF.

Al contrario, ritenere superflua la sottoscrizione della banca potrebbe porre dei problemi di certezza dei traffici giuridici, posto che, al fine di verificare la formazione del consenso alla stipulazione, occorrerebbe di volta in volta interpretare i comportamenti concludenti posti in essere dall’intermediario finanziario.

Il richiamo ai comportamenti concludenti dell’intermediario, inoltre, desta qualche perplessità in un settore governato dal formalismo negoziale: in particolare, lo schema di cui all’art. 1327 c.c. non è

è applicabile ai contratti formali, nei quali l’accettazione deve essere manifestata nella forma vincolata.

Anche autorevole dottrina [24], peraltro, sembra opinare diversamente rispetto alle Sezioni Unite, laddove afferma che, nel caso in cui il titolare di un prodotto finanziario decida in mala fede di impugnarlo per un vizio genetico di forma, a fronte di una improvvisa congiuntura negativa del mercato, tale azione dovrebbe essere dichiarata inammissibile in accoglimento di un’eccezione di carenza di un legittimo interesse ad agire (unzulassige Rechtsausubung) . A conferma di tale assunto, si evidenzia un parallelismo tra la fattispecie di cui si discorre e quella dell’abuso del locatore che abbia imposto al conduttore la forma verbale del contratto di locazione, disciplinata dall’art. 13, 5° comma, l. 431/1998.

In tale fattispecie, infatti, l’avvenuta esecuzione del contratto osta ad una declaratoria di nullità ex art. 1, comma 4°, eccepita dal responsabile della condotta abusiva che voglia sottrarsi alle obbligazioni derivanti dal contratto non più conveniente, mentre la nullità è assoluta (quindi eccepibile anche dal locatore) quando difetti la prova dell’abuso o esso non ricorra.

Si conferma, dunque, la mutevolezza dell’actio nullitatis, pur volta alla tutela della parte debole del rapporto, in quanto tale rimedio varia in ragione dell’interesse concreto allegato da chi eccepisce la nullità del contratto [25].

In conclusione, occorrerebbe, forse, ripensare il formalismo negoziale, potenzialmente foriero di due diverse conseguenze.

Da un lato, infatti, l’ipertrofia normativa di obblighi posti a capo dei professionisti (banche e altri intermediari) rischia concretamente di capovolgere le posizioni di forza tra le parti, potendo legittimare i clienti ad invocare in mala fede vizi di forma non influenti, in concreto, sulla corretta esecuzione delle obbligazioni contrattuali.

Dall’altro lato, l’eccesso informativo cui è esposto il cliente può anche rivelarsi dannoso, impedendogli di assimilare correttamente tutte le informazioni ricevute: di tale esigenza sembra essere consapevole il legislatore europeo, che con il Regolamento n. 1286/2014, in applicazione dal 1° Gennaio 2018, ha introdotto il KID (Key Information Document), di natura precontrattuale, contenente solo le informazioni chiave relative al prodotto finanziario per consentire all’investitore al dettaglio di assumere decisioni consapevoli e informate [26].

L’eccessivo formalismo, in definitiva, può anche ritorcersi a danno del cliente e indurre il professionista a fornire in forma scritta informazioni ulteriori rispetto a quelle prescritte dalla legge, al solo fine di evitare futuri addebiti di responsabilità. Non v’è chi non veda, pur trattandosi di settori diversi, l’analogia con il fenomeno della medicina difensiva, ove il medico prescriva ogni tipo di esame strumentale non nell’interesse del paziente, ma per evitare l’esposizione a possibili azioni risarcitorie.

 


[1] V.CUSUMANO, Nullità del contratto quadro privo della sottoscrizione della banca: rimessa la questione alle Sezioni Unite, in Riv.dir.banc., dirittobancario.it, 2017; M. MORESCO, Forma informativa, sottoscrizione della parte protetta e abuso del diritto, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 1, 2018.

[2] In questa Rivista, sezione Giurisprudenza.

[3] Si afferma, in particolare, che “la specifica sanzione della nullità è infatti testualmente prevista dalla disposizione normativa di riferimento (art. 23 TUF) e risponde anche a finalità di tutela dell’interesse generale, ravvisabile nella regolarità dei mercati e nella stabilità del sistema finanziario. Quanto alla facoltà di limitare la propria domanda anche ove la stessa possa essere formulata in termini più ampi, deve osservarsi, per un verso, che detta facoltà risulta legittima ed esercitabile…in relazione ai principi dell’autonomia privata, dell’interesse ad agire e dispositivo… per altro verso, che lo stesso carattere relativo di tale nullità esclude che l’investitore possa essere tenuto a dolersi anche di operazioni eseguite in buona fede e produttive di un utile” (Corte d’Appello di Milano, 27 marzo 2013, n. 1361, in IlCaso.it)

[4] In tal senso, F. CAPRIGLIONE, Commentario al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, Tomo III, Cedam, 2012 p. 1689.

[5] Si noti la differente terminologia rispetto all’art. 23 TUF, che si riferisce, come già osservato, invece ad un “esemplare” del contratto

[6] Si prevede infatti che “i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti (comma 1); nel caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo “(comma 3). Tale disposizione va letta in connessione con l’art. 127, 2° comma, TUB, ove si prevede che “le nullità previste dal presente titolo operano soltanto a vantaggio del cliente e possono essere rilevate d’ufficio dal giudice”.

[7] Cass. civ., Sez. Un., 19 Dicembre 2007, nn. 26724 e 26725, sulla distinzione tra regole di comportamento e regole di validità.

[8] In dottrina, L. MODICA, in Vincoli di forma e disciplina del contratto, Giuffrè, Milano, 2008,p.291, afferma che il carattere informale degli ordini è giustificato dalla loro natura di atti unilaterali esecutivi di un contratto di mandato ad acquistare o vendere strumenti finanziari, assimilabile alle istruzioni di cui all’art. 1711 c.c. Essi, pertanto, sarebbero privi di una propria causa, costituendo dei meri negozi attuazione che partecipano della causa del contratto da cui scaturiscono.

[9] Cass. civ., 24 Marzo 2016, n. 5919, Cass. civ., 11 Aprile 2016, n.7068, Cass. civ., 27 Aprile 2016, nn. 8395 e 8396, Cass. civ., 3 Gennaio 2017, n. 37.

[10] Sul divieto di convalida del contratto nullo, vedi S. PAGLIANTINI, Autonomia privata e divieto di convalida del contratto nullo, Giappichelli, Torino, 2007.

[11] In tal senso, V. ROPPO, Il contratto, Trattato di Diritto Privato, Giuffrè, Milano, 2011, p. 789.

[12] L. MODICA, Vincoli di forma e disciplina del contratto, cit., pp.214-215

[13] Sulla nullità di protezione ivi prevista, v. U. MALVAGNA, Le Sezioni Unite e la nullità di protezione ex art. 127 TUB, in Riv. dir. Banc., dirittobancario.it, 2, 2015.

[14] L. MODICA, Cass. Sezioni Unite 18214/2015: i giudici di legittimità sulla «interpretazione assiologicamente orientata» delle nullità per vizio di forma, in Dir. civ. cont., www.dirittocivilecontemporaneo.com, 28 dicembre 2015.

[15] Si veda anche l’avviso Consob n. 23539 del 18 Dicembre 2017.

[16] Sul principio di proporzionalità si sono recentemente espresse le stesse Sezioni Unite ai fini della valutazione della compatibilità col nostro ordinamento dei danni punitivi (Cass. Sez. Un. 5 Luglio 2017, n. 16601).

[17] Sul dies a quo del termine di prescrizione dell’azione recuperatoria degli interessi indebitamente riscossi nei contratti di conto corrente, vedi Cass., Sez. Un., 2 Dicembre 2010, n.24418

[18] p. 16

[19] Cfr. ad es. Cass. civ., sez. I, 27 Aprile 2016, n.8395

[20] M.GIROLAMI, Doppia firma e doppio esemplare nei contratti finanziari: i dubbi della Suprema Corte, in IlCaso.it, p. 4.

[21] V.ROPPO, Il contratto, Trattato di diritto privato, cit., pp. 211-213

[22] Per M. GIROLAMI, Doppia firma e doppio esemplare nei contratti finanziari: i dubbi della Suprema Corte, cit., p.4, il diverso tenore letterale implica che la norma regolamentare vada interpretata conformemente alla norma di legge di cui costituisce attuazione.

[23] S. PAGLIANTINI, Forma e formalismo nel diritto europeo dei contratti, Jura, Edizioni Ets, 2009,p. 40: “bisogna rifuggire…dalla tentazione di intendere in modo troppo “contraignant” il formalismo informativo: altrimenti il rischio di un bouleversement dello scopo protettivo – col consumatore, divenuto “partie” forte del contratto, garantito ov’anche palesemente di mala fede-diviene tangibile”

[24] S. PAGLIANTINI, Autonomia privata e divieto di convalida del contratto nullo, Giappichelli, Torino, 2007, pp. 216-217

[25] S. PAGLIANTINI, Autonomia privata e divieto di convalida del contratto nullo, cit., p. 219. Lo stesso Autore, in Forma e formalismo nel diritto europeo dei contratti, cit., p. 39, ritiene che il principio del nemo venire contra factum proprium rappresenti un filtro selettivo di ogni concreto interesse all’azione.

[26] Art. 5 Reg. UE 1286/2014: “Prima che un PRIIP venga messo a disposizione degli investitori al dettaglio, l’ideatore di PRIIP redige, per tale prodotto, un documento contenente le informazioni chiave conformemente ai requisiti stabiliti dal presente regolamento e pubblica il documento sul suo sito internet;

Art. 6: 1. Le informazioni che figurano nel documento contenente le informazioni chiave costituiscono informazioni precontrattuali. Esse sono accurate, corrette, chiare e non fuorvianti. Le informazioni chiave contenute nel documento sono coerenti con ogni altro documento contrattuale vincolante, con le corrispondenti parti dei documenti di offerta e con i termini e le condizioni del PRIIP;

4. Il documento contenente le informazioni chiave è redatto sotto forma di documento breve, in maniera concisa, consiste al massimo di tre facciate di formato A4 quando stampate, agevola la comparabilità, e presenta le seguenti caratteristiche: a) è presentato e strutturato in modo da agevolarne la lettura, in caratteri di dimensione leggibile;

b) si concentra sulle principali informazioni di cui hanno bisogno gli investitori al dettaglio;

c) è formulato con chiarezza e scritto in un linguaggio e uno stile tali da facilitare la comprensione delle informazioni.

In particolare è necessario utilizzare un linguaggio chiaro, sintetico e comprensibile.

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