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Note

Nullità del contratto autonomo di garanzia e danni da erronea segnalazione in centrale dei rischi. Ammissibilità del risarcimento in via equitativa.

12 Dicembre 2019

Federica Grasselli,  Dottore di Ricerca in “Diritto ed Impresa”, Università LUISS Guido Carli

Tribunale di Benevento, 23 aprile 2019, n. 728 – G.U. Flavio Cusani

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. Premessa. – 2. Sintesi dei fatti di causa. – 3. Quanto alla nullità del contratto autonomo di garanzia per invalidità del rapporto principale. – 4. Danni da erronea segnalazione in Centrale dei Rischi e determinazione del risarcimento in via equitativa. – 5. Le segnalazioni nella Centrale dei rischi e il rating. – 6. Conclusioni.

1. Premessa

La sentenza oggetto del presente commento appare meritevole di attenzione in quanto tratta due questioni di particolare interesse.

In primo luogo ha dichiarato che la garanzia prestata in favore della società opponente doveva ritenersi nulla, in quanto il rapporto principale era affetto da usura bancaria. A detta del Tribunale, ciò integra la c.d. exceptio doli idonea a paralizzare gli effetti della garanzia, anche nel caso in cui la garanzia prestata rappresenti un “contratto autonomo di garanzia”. Anche nel caso di contratto autonomo di garanzia, infatti, il garante è legittimato a opporre la nullità del contratto principale garantito per contrarietà a norme imperative, ovvero per illiceità della causa.

Il secondo aspetto particolarmente rilevante della sentenza in commento, è il riconoscimento effettuato da parte del Giudice del risarcimento del danno in via equitativa e forfettaria in caso di erronea segnalazione in Centrale rischi.

Il tema della determinazione del danno da erronea segnalazione in Centrale Rischi, difatti, risulta tutt’ora particolarmente attuale e ancora controverso[1].

E’ indubbio, infatti, che il soggetto erroneamente segnalato in Centrale rischi subisca, per le ragioni che verranno meglio esposte in seguito, un pregiudizio rilevante sia alla propria immagine, sia alla propria attività imprenditoriale e/o lavorativa, oltre ad una (pressoché certa) contrazione dell’accesso al credito.

Il problema di fondo, tuttavia, risulta spesso essere la concreta dimostrazione, e conseguente quantificazione, dell’effettivo danno subito.

La pronuncia oggetto del presente commento, fornisce pertanto l’occasione per analizzare la tematica relativa a quale sia la corretta modalità di determinazione del danno nel caso di erronea segnalazione in Centrale dei rischi, ovvero se si possa qualificare come forma di danno in “re ipsa” e se sia passibile di determinazione anche in via equitativa in tutte quelle situazioni in cui non sia possibile quantificare con certezza l’effettivo danno subito.

La possibilità di determinare il danno da erronea segnalazione in Centrale rischi in via equitativa è stata riconosciuta anche in passato dalla Corte di legittimità[2] la quale aveva affermato che l’erronea segnalazione presso la Centrale rischi è idonea di per sé a cagionare danni all’immagine e alla reputazione economica del soggetto indebitamente segnalato. Per tale ragione, ha affermato la Corte, “è corretto anche il ricorso alla liquidazione del danno con criteri equitativi, ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., ammissibile secondo la giurisprudenza di legittimità qualora l’attività istruttoria svolta non consenta di dare certezza alla misura del danno stesso, come avviene quando, essendone certa l’esistenza, risulti impossibile o estremamente difficoltoso provare la precisa durata del pregiudizio economico subito”.

2. Sintesi dei fatti di causa

Nel caso in esame la banca aveva ingiunto in via monitoria al debitore principale e ai fideiussori, il pagamento dello scoperto del conto corrente affidato.

La società, debitore principale, e i fideiussori avevano quindi formulato opposizione al decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, deducendo l’applicazione negli anni di interessi anatocistici in violazione dell’art. 1283 c.c.; l’applicazione di interessi passivi in misura ultra legale non correttamente pattuiti; oltre all’applicazione di commissioni in misura superiore al tasso soglia. Parte opponente produceva in giudizio Consulenza tecnica a sostegno delle proprie argomentazioni, da cui risultava un significativo controcredito a favore della società, a fronte dell’epurazione dal conto corrente degli addebiti ritenuti illegittimi.

La Consulenza tecnica d’ufficio espletata e le successive relazioni, hanno ravvisato l’effettivo superamento delle soglie di usura sul conto corrente oggetto di causa in 31 trimestri su 67. A fronte dell’epurazione dal conto corrente degli addebiti illegittimi, è stato pertanto riconosciuto in capo alla società opponente, un controcredito pari a oltre 80.000 euro.

Il Giudice, ravvisando la fattispecie delittuosa di cui all’art. 644 c.p., ha quindi disposto la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 331 c.p.p. facendo puntuale applicazione dell’ultimo comma della suddetta disposizione, ovvero che se nel “procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero”.

3. Quanto alla nullità del contratto autonomo di garanzia per invalidità del rapporto principale

Nel caso in esame il Giudice ha riaffermato un principio fondamentale, ovvero che non può sussistere valida e legittima garanzia ove il debito principale sia affetto da nullità per violazione di norme imperative o per illiceità della causa.

Nel caso di specie è emerso tramite le risultanze della Consulenza tecnica di parte e l’espletamento della CTU contabile, che la banca aveva applicato nel tempo interessi usurari al contratto di apertura di conto corrente bancario, violando la disposizione di cui all’art. 644 c.p. inquinando, in tal modo, il saldo del suddetto conto corrente di addebiti illegittimi, il quale, una volta depurato da tali addebiti, è risultato a credito del correntista come sopra esposto.

La sussistenza della fattispecie usuraria integra indubbiamente la violazione di norme imperative per illiceità della causa, in quanto non può ritenersi meritevole di tutela un rapporto in cui gli addebiti siano viziati dal superamento delle soglie di usura tempo per tempo vigenti.

Tale eventualità, come correttamente ribadito dall’Organo Giudicante, integra l’exceptio doli che secondo i principi che governano il contratto autonomo di garanzia è una delle eccezioni idonee a paralizzare la garanzia a prima richiesta.

Appare importante aver sancito tale principio in relazione al contratto autonomo di garanzia in quanto quest’ultimo, a differenza della fideiussione caratterizzata dal vincolo di accessorietà al rapporto principale, che consente al garante di opporre tutte le eccezioni che potrebbe opporre il debitore principale, è considerato un contratto contraddistinto dalla c.d. “astrattezza” e autonomia rispetto al rapporto sottostante. Pertanto, mentre la fideiussione può ritenersi valida purché il rapporto principale garantito non sia affetto da invalidità[3], maggiori dubbi interpretativi sono sorti in relazione al contratto autonomo di garanzia, a fronte, appunto, del carattere “astratto” che contraddistingue il rapporto medesimo. A fronte della c.d. “astrattezza” il creditore potrebbe richiedere l’escussione della garanzia a prima richiesta, ovvero senza che il garante possa opporre eccezioni, avendo quest’ultimo solo la facoltà di rivalersi in un secondo momento sul debitore principale il quale potrebbe agire poi in ripetizione verso il creditore.

Trattasi di istituito derivante dal diritto tedesco, c.d. “Garantievertrag”, coniato per garantire la stabilità dei traffici, conferendo al creditore un forte strumento a tutela delle proprie ragioni.

Essendo stato coniato come efficace strumento per la protezione del credito, è tuttavia passibile di integrare forme di abuso a danno dei garanti. Per tale ragione il principio di generale inopponibilità da parte del garante delle eccezioni relative al rapporto principale deve necessariamente incontrare deroghe significative.

Una di tali deroghe si configura nel caso di escussione fraudolenta o abusiva del garante ad opera del creditore, a fronte del quale il garante può opporre al creditore la c.d. exceptio doli generalis, fondata sui principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto, consacrati all’art. 1375 cod. civ. Integra l’exceptio doli, certamente, il caso in cui sia venutomeno il debito garantito per pregressa estinzione dell’obbligazione principale per adempimento o per altra causale.

Una seconda deroga è costituita dall’ipotesi in cui il contratto principale sia affetto da nullità per contrarietà a norme imperative o per illiceità della causa poiché, in tal caso, il contratto di garanzia tenderebbe ad assicurare il risultato vietato dall’ordinamento giuridico, rappresentando una causa illecita che ne determina la nullità ai sensi dell’art. 1418 cod. civ. Si tratta, in particolare, di un’ipotesi di nullità derivata del contratto di garanzia[4].

Come affermato recentemente dalla Corte di legittimità “l’impermeabilità del contratto autonomo di garanzia alle eccezioni di merito del garante trova un limite, oltre che nel caso in cui sia proponibile la cd. exceptio doli generalis seu presentis, basata sull’evidenza certa del venir meno del debito garantito per pregressa estinzione dell’obbligazione principale per adempimento o per altra causale, in queste altre ipotesi: quando le eccezioni attengano alla validità dello stesso contratto di garanzia; quando esse ineriscano al rapporto tra garante e beneficiario; quando il garante faccia valere l’inesistenza del rapporto garantito; quando, infine, la nullità del contratto-base dipenda da contrarietà a norme imperative o illiceità della causa ed attraverso il contratto di garanzia si tenda ad assicurare il risultato che l’ordinamento vieta (Cass. Sez. U. 18 febbraio 2010, n. 3947, in motivazione, ove i richiami a Cass. 7 marzo 2002, n. 3326, Cass. 14 dicembre 2007, n. 26262 e Cass. 3 marzo 2009, n. 5044). Infatti, come sottolineato dalla cit. Cass. Sez. Un. 18 febbraio 2010, n. 3947, l’accessorietà dell’obbligazione autonoma di garanzia rispetto al rapporto debitorio principale assume un carattere elastico, di semplice collegamento e coordinamento tra obbligazioni, ma non viene del tutto a mancare: e ciò sarebbe dimostrato, oltre che dal meccanismo di riequilibrio delle diverse posizioni contrattuali attraverso il sistema delle rivalse, proprio dalla rilevanza delle ipotesi in cui il garante è esonerato dal pagamento per ragioni che riguardano comunque il rapporto sottostante.”[5]

La Corte, in tale sede, ha affrontato il problema del rapporto principale affetto da clausole anatocistiche, affermando che in tal caso il rapporto garantito era da ritenersi nullo per violazione di norme imperative e, di conseguenza, “il garante autonomo debba ritenersi pienamente legittimato a sollevare, nei confronti della banca, l’eccezione di nullità della clausola anatocistica, allorquando essa non si fondi, come nella specie, su di un uso normativo (e non ricorrano, ovviamente, le altre condizioni legittimanti di cui all’art. 1283). Va evidenziato, del resto, che, se si ammettesse la soluzione contraria, si finirebbe per consentire al creditore di ottenere, per il tramite del garante, un risultato che l’ordinamento vieta”.

Il tema della nullità del rapporto garantito si è presentato anche all’attenzione del Tribunale di Benevento oggetto del presente scritto. Il Tribunale ha ritenuto correttamente posta l’exceptio doli invocata dagli opponenti a fronte della condotta usuraria della banca, dichiarando nulla anche la garanzia prestata. Soluzione che pare certamente condivisibile, in quanto non sarebbe in linea con principi cardine del nostro ordinamento il fatto che il garante debba adempiere a prima richiesta, se il rapporto oggetto di garanzia è affetto da nullità.

4. Danni da erronea segnalazione in Centrale dei Rischi e determinazione del risarcimento in via equitativa

Un ulteriore aspetto della sentenza che merita di essere evidenziato riguarda il riconoscimento da parte del Giudice del risarcimento danni in misura equitativa e forfettaria (nel caso di specie liquidato in un importo pari a 10.000 euro, oltre a interessi legali dalla data della domanda giudiziale fino all’effettivo soddisfo) in favore della società opponente per l’illegittima segnalazione in Centrale dei rischi avvenuta a danno di quest’ultima, a fronte del presunto debito verso la Banca, poi risultato essere affetto da addebiti usurari.

Alla luce delle valutazioni del Giudice, pertanto, non solo la società è risultata essere creditrice verso la banca, e di conseguenza la segnalazione era da ritenersi illegittima, bensì ha ravvisato la sussistenza di un danno meritevole di risarcimento per la suddetta erronea segnalazione.

Al fine di affrontare compiutamente il tema relativo alla quantificazione del danno da errata segnalazione in Centrale dei rischi, appare opportuno preliminarmente comprendere cosa sia la Centrale dei rischi e la funzione per cui è stata costituita.

La Centrale dei rischi è un sistema informativo istituito presso la Banca d’Italia con delibera CICR (Comitato interministeriale per il credito e il risparmio) del 16.5.1962.

Funzione originaria della Centrale dei Rischi era quella di accentrare le informazioni relative agli affidamenti concessi da ciascun intermediario ai singoli clienti, fossero essi persone fisiche o giuridiche, al fine di cercare di arginare la c.d. pratica del «cumulo dei fidi», ovvero il rischio che un soggetto già beneficiario di altre linee di credito da parte di una o più banche potesse ottenere ulteriori finanziamenti, rischiando di raggiungere un livello di indebitamento superiore a quello che la sua stessa situazione economica e patrimoniale poteva consentire.

Nel tempo la Centrale Rischi ha in realtà assunto la primaria funzione di valutazione e gestione del rischio finanziario insito nella concessione di un finanziamento[6], consentendo di ridurre le asimmetrie informative e di evitare anche la c.d. «selezione avversa», ovvero, l’applicazione di tassi di interesse indifferenziati tra i soggetti affidati, in quanto l’intermediario non dispone di informazioni utili per poter diversificare i profili di rischio della clientela[7].

Il servizio di centralizzazione dei rischi, disciplinato dalla delibera CICR del 29.3.1994[8] e dalle Istruzioni per gli intermediari creditizi emanate dalla Banca d’Italia[9], si sviluppa attraverso un sistema di segnalazioni periodiche intercorrenti tra i singoli intermediari e la Centrale rischi. Ogni intermediario, infatti, è tenuto a segnalare mensilmente alla Centrale dei rischi i crediti di importo superiore ad un dato ammontare accordati ad ogni singolo soggetto. Le informazioni ricevute vengono aggregate dalla Centrale in modo da comporre la c.d. «posizione globale di rischio» di ogni nominativo. Più precisamente, l’ammontare complessivo di tutti gli affidamenti concessi a ciascun soggetto, viene comunicato a tutti gli operatori attraverso un flusso informativo di ritorno personalizzato[10]. Attraverso questo sistema di “doppie segnalazioni”, gli intermediari hanno la possibilità di effettuare una valutazione in relazione alla capacità di indebitamento e al c.d. “merito creditizio” della clientela sia ex ante, cioè prima di concludere un contratto di finanziamento con un dato soggetto, sia ex post, nel corso del rapporto già in essere[11].

Per “merito creditizio” si intende la capacità del soggetto richiedente prestito di far fronte ai propri impegni economici. Ovvero la solvibilità del medesimo, che deve essere valutata all’atto di concessione del credito stesso, per determinare l’opportunità dell’erogazione e le condizioni economiche da applicare. Maggiore è il merito creditizio e le prospettive di solvibilità del soggetto, più favorevoli saranno le condizioni economiche prospettate al richiedente, e viceversa.

Fortemente connesso al tema del merito creditizio, risulta essere il concetto di “rischio di credito”[12], che nell’ambito di un’operazione creditizia identifica l’ipotesi in cui il debitore (cliente) non adempia in tutto o in parte ai propri obblighi di rimborso del capitale e degli interessi pattuiti contrattualmente, rappresentato dalla perdita inattesa più o meno ingente per la banca[13].

E’ innegabile che i soggetti segnalati siano esposti a considerevoli pregiudizi a causa della segnalazione, in quanto essi potrebbero incontrare rilevanti restrizioni nell’accesso al credito. Nel contempo, lo stesso sistema creditizio potrebbe risultarne danneggiato, in quanto il mancato accesso al credito può condizionare la politica bancaria e creditizia di altri intermediari operanti nel settore. Per tali ragioni, è fondamentale che gli intermediari valutino accuratamente la situazione di un soggetto prima di procedere a segnalazioni potenzialmente pregiudizievoli per il nominativo[14].

Nel sistema informativo gestito dalla Banca d’Italia, le posizioni di rischio dei clienti sono classificate in sezioni diverse, a seconda delle caratteristiche che rivestono[15], cui corrispondono diverse tipologie di segnalazioni[16].

La segnalazione che risulta essere maggiormente pregiudizievole per il destinatario della medesima è, appunto, la c.d. «segnalazione a sofferenza».

La Circolare n. 139 del 1991 della Banca d’Italia[17] considera la dicitura a «sofferenza» una particolare categoria di censimento riconducibile alla «esposizione per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dalla banca[18]. Ancora, si legge nella Circolare che l’apposizione a sofferenza «implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito».

Attualmente la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie ritengono che ai fini dell’apposizione a sofferenza di un nominativo l’intermediario debba svolgere un’indagine ed una valutazione concreta e complessiva della situazione finanziaria del cliente[19]. Vale a dire accertare in capo a quest’ultimo l’effettiva sussistenza di una situazione patrimoniale deficitaria, non potendo limitarsi a prendere atto del singolo inadempimento del debitore. La stessa circ. n. 139 impone espressamente all’intermediario l’onere di valutazione in senso ampio della posizione del cliente, in ossequio ai canoni di diligenza professionale, sia nel rispetto dei principi generali di correttezza e buona fede contrattuale[20]. La stessa Autorità di Vigilanza ha chiarito che l’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente a fronte di un singolo evento (come ad es. ritardi o la contestazione del credito da parte del debitore)[21].

In merito ai presupposti per procedere ad una segnalazione a sofferenza, il più recente orientamento, ormai divenuto prevalente, ritiene di ancorare il presupposto di legittimità della segnalazione a sofferenza alla valutazione di elementi oggettivi. Detti elementi sono relativi alla complessiva situazione patrimoniale ed economico-finanziaria del cliente, invece che sul singolo rapporto banca-cliente[22]. Inoltre, è ormai riconosciuta una nozione di «insolvenza» più ampia rispetto alla fattispecie di cui all’art. 5 l. fall. Trattandosi di una “insolvenza” levior, «così da concepire lo stato di insolvenza, e le situazioni ad esso equiparabili, in termini di valutazione negativa di una situazione patrimoniale deficitaria, senza fare riferimento ad una situazione di definitiva irrecuperabilità (…) essendosi rilevato da più di un autore che altrimenti gli intermediari si troverebbero nell’impossibilità di attivarsi in tempo utile per cautelare la propria posizione».[23]

In altre parole, il presupposto minimo per procedere alla segnalazione non risiederebbe nell’oggettiva difficoltà per l’intermediario di recuperare lo specifico credito, bensì nel complessivo stato di difficoltà patrimoniale e finanziaria in cui versi il cliente che, secondo un giudizio prognostico della banca, sia da ritenersi non momentaneo, dagli sviluppi incerti, ma non necessariamente irreversibile[24].

Per le ragioni esposte, la segnalazione in Centrale rischi, soprattutto se è una segnalazione a “sofferenza”, attribuisce al soggetto segnalato la qualifica di “soggetto scarsamente affidabile”. Pertanto, è fondamentale che la suddetta segnalazione avvenga nel rispetto dei requisiti dalla normativa di Vigilanza, in quanto la segnalazione determina un innegabile danno per il soggetto segnalato, che facilmente si vedrà ridurre (o totalmente impedire) l’accesso al credito. Nei casi in cui l’accesso al credito verrà concesso, sarà certamente a condizioni meno vantaggiose per il richiedente.

Si precisa, inoltre, che la segnalazione dovrebbe essere aggiornata nel caso in cui il credito oggetto della segnalazione venga sottoposto al giudizio di un’Autorità terza rispetto alle parti, la dicitura corretta da apporre in Centrale Rischi è “credito contestato”. Per credito contestato, difatti, si intende un credito vantato dalla banca segnalante che risulta essere oggetto di contenzioso, nella determinazione dell’an e/o del quantum del credito stesso[25]. Pertanto, in caso di contestazione del credito avanti all’Autorità giudiziaria, interpretata in senso ampio dalle stesse disposizioni di Vigilanza, l’Intermediario non sarebbe più legittimato ad indicare la dicitura a “sofferenza” o “past due”[26]. Il ritardo ingiustificato nell’aggiornare la segnalazione nella banca dati può certamente peggiorare il merito creditizio del cliente, e pregiudicare future concessioni di credito e le condizioni di quelle già in essere.

5. Le segnalazioni nella Centrale dei rischi e il rating

Si sottolinea inoltre che l’importanza dei dati iscritti in Centrale rischi ai fini della concessione del credito è ulteriormente aumentata con l’avvento di «Basilea II»[27].

In merito a «Basilea II»[28], ciò che rileva ai fini della presente trattazione è l’introduzione del c.d. giudizio di «rating», il quale, astrattamente, può assumere svariati significati applicativi. Nell’accezione che qui interessa potrebbe essere definito come il giudizio sul profilo di rischio di un soggetto richiedente il fido, sul merito e sull’affidabilità dello stesso a garantire, a scadenza, la restituzione del capitale ricevuto; valutazione espressa attraverso una stringa alfanumerica scelta tra quelle che costituiscono la c.d. «scala di rating»[29]. Una volta determinato, il rating diviene patrimonio informativo della banca quale indicatore del merito della controparte, che consente di valutare il rischio di credito fornendo una stima sulla probabilità di default di quest’ultima e dell’eventuale perdita cui la banca potrebbe andare incontro.

Ciò che rileva ai fini del presente elaborato è che tra gli elementi[30] presi in esame in fase di attribuzione del rating si possono ricomprendere anche (e soprattutto) i dati andamentali provenienti dalla Centrale rischi al fine di valutare la regolarità degli apporti creditizi in essere ed eventuali sconfinamenti e segnalazioni a sofferenza del cliente.

Tra i sistemi di valutazione del merito creditizio, il sistema bancario utilizza, sia prima dell’erogazione del fido, sia nella successiva fase di monitoraggio, proprio le informazioni fornite dalla Centrale dei rischi[31].

A seconda del rating che gli intermediari attribuiscono a un soggetto in ossequio agli indirizzi forniti da «Basilea II», questi può ottenere più o meno facilmente il credito richiesto oppure ottenerlo ma a condizioni meno favorevoli[32].

Alla luce di quanto esposto, non si può certo negare che nella prassi bancaria la segnalazione in Centrale dei Rischi abbia un effetto dirompente, risultando essere una sorta di «prova presuntiva della inaffidabilità e della precarietà della situazione patrimoniale del soggetto segnalato»[33], pregiudicando notevolmente le concrete possibilità per quest’ultimo di accedere nuovamente al credito[34].

La Banca d’Italia, in forza del proprio potere-dovere di vigilanza, ha attuato conformi Istruzioni di Vigilanza: «al fine di conoscere la valutazione degli affidati da parte del sistema bancario le banche utilizzano, anche nella successiva fase di monitoraggio, le informazioni fornite dalla Centrale dei Rischi»[35]. Pertanto, pare abbastanza intuitivo comprendere che i dati andamentali forniti dalla Centrale dei rischi nel c.d. «flusso di ritorno» possono pesantemente influire sulle valutazioni effettuate dagli altri intermediari, in quanto questi ultimi sono tenuti, per espressa previsione della Banca d’Italia, ad avere contezza di tali informazioni nella valutazione del merito creditizio di un dato richiedente, sia al momento della domanda, ossia ab origine, sia nel corso di tutto il rapporto con quest’ultimo.

Oltre ai danni appena descritti in merito alla concessione del credito, l’illegittima segnalazione può comportare ulteriori pregiudizi di natura patrimoniale, quali, a titolo esemplificativo, la revoca di un fido; l’impossibilità di esercitare il diritto d’impresa, ove l’interessato fosse un imprenditore, o l’impossibilità di ampliare l’attività, con innegabili vantaggi concorrenziali per le altre imprese operanti nello stesso settore[36]. Inoltre, la segnalazione potrebbe innescare un vero e proprio «effetto domino» per chi esercita un’attività di impresa, poiché in una situazione di difficoltà economica la revoca o la mancata concessione di un fido potrebbe aggravare la crisi finanziaria della società stessa, rischiando di portarla al default, con conseguente perdita di posti di lavoro.

Parimenti, potrebbe concretizzarsi anche una perdita di chances per l’imprenditore a causa della perdita di un importante affare per la mancanza di liquidità sufficiente o per l’impossibilità di effettuare nuovi investimenti, come per il privato che si trovi impossibilitato a realizzare i propri progetti personali.

Oltre a queste considerazioni di ordine principalmente, ma non esclusivamente, patrimoniale, è certamente innegabile che il soggetto illegittimamente segnalato subisca anche pregiudizi di ordine non patrimoniale a fronte della lesione della propria immagine, nonché della propria reputazione personale e/o professionale.

La Corte di legittimità, proprio in tema di illegittima segnalazione in Centrale rischi, ha affermato che, qualora si verifichi la lesione dell’immagine dell’ente, questa è risarcibile in termini di danno non patrimoniale costituito dalla diminuzione della considerazione dell’ente stesso, sia sotto il profilo dell’incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell’agire delle persone fisiche che ricoprono la funzione di organi della persona giuridica[37].

In merito alla risarcibilità del danno all’immagine e alla reputazione del soggetto indebitamente segnalato, si ricorda, come anticipato, quanto statuito da Corte di Cass. n. 12626/2010, la quale ha affermato che l’illegittima segnalazione costituisce già di per sé comportamento pregiudizievole per l’attività economica della società, in quanto lesiva della reputazione e dell’immagine di quest’ultima poiché «il discredito che deriva da siffatta segnalazione è tale da ingenerare una presunzione di scarso affidamento dell’impresa e da connotare come rischiosi gli affidamenti già concessi; con inevitabile perturbazione dei suoi rapporti economici, e una perdita di tipo analogo a quello indicato dall’art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o dalla privazione di un valore del soggetto e del suo patrimonio alla quale il risarcimento deve essere commisurato». Pertanto, secondo la Corte di legittimità, l’erronea segnalazione in Centrale rischi è astrattamente suscettibile di ledere diritti fondamentali del debitore[38], in maniera del tutto analoga alle conseguenze derivanti da illegittimo protesto cambiario. In merito a quest’ultimo punto, la Corte, difatti, richiamando espressamente alcuni precedenti in materia[39], ha affermato che «sussiste il danno da lesione dell’immagine sociale della persona che si vede ingiustamente inserita nel cartello dei cittadini insolventi ed è quindi contraddittorio ed erroneo, dopo aver affermato la responsabilità per il protesto, negare la liquidazione equitativa del danno da lesione dell’immagine sociale e professionale, la quale di per sé costituisce danno reale che deve essere risarcito – senza la necessità per il danneggiato di fornire la prova della sua esistenza – sia a titolo di responsabilità contrattuale per inadempimento che di responsabilità extracontrattuale, in modo satisfattivo ed equitativo se la peculiare figura del danno lo richiede». In altre parole, la Suprema Corte, ha equiparato gli effetti derivanti dall’erronea segnalazione in Centrale rischi ai pregiudizi scaturenti dall’illegittimo protesto cambiario, il quale è considerato idoneo a cagionare uno “shock” per il soggetto indebitamente colpito[40], ritenendo il primo non meno meritevole di tutela rispetto a quest’ultimo.

Nonostante la segnalazione determini un danno pressoché certo al soggetto segnalato, la più recente giurisprudenza tende ad escludere il riconoscimento di un danno in re ipsa, a fronte dell’illegittima segnalazione in Centrale rischi, richiedendo la prova dell’effettivo pregiudizio subito.

Si ricorda sul punto quanto recentemente statuito dalla Corte di legittimità con l’ordinanza n. 207 del 2019[41], secondo cui: «In caso di illecito trattamento dei dati personali per illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi, il danno, sia patrimoniale che non patrimoniale, non può essere considerato “in re ipsa” per il fatto stesso dello svolgimento dell’attività pericolosa. Anche nel quadro di applicazione dell’art. 2050 c.c., il danno, e in particolare la “perdita”, deve essere sempre allegato e provato da parte dell’interessato.” (Cass. 25/1/2017, n. 193)».

Ciò su cui la giurisprudenza appare maggiormente concorde, è la possibilità di ammettere la risarcibilità del danno in via equitativa[42], ai sensi degli artt. 1226 e 2056 c.c., considerandola forma di liquidazione legittima qualora l’attività istruttoria svolta non consenta di definire con certezza l’effettiva misura del danno subito, a causa di difficoltà oggettive nella determinazione dell’ammontare complessivo del pregiudizio[43].

Dello stesso avviso è stata l’ordinanza della Cassazione n. 207/2019, che ha ribadito la possibilità di dimostrare il danno anche solo tramite presunzioni semplici e di ricorrere al risarcimento secondo equità (cfr. anche Cass. 5/3/2015, n. 4443).

Tale difficoltà dimostrativa è del resto molto diffusa nel contenzioso attuale, nonostante sia ammissibile il ricorso a presunzioni che possono fornire utili riscontri circa l’esistenza di un danno in capo al soggetto segnalato a sofferenza[44].

È molto frequente, difatti, che i soggetti interessati non riescano a fornire prova effettiva dei danni subiti, soprattutto di ordine non patrimoniale, a fronte della difficoltà intrinseca di dimostrare la consistenza di un pregiudizio di difficile determinazione, come la categoria dei danni non strettamente economici. Pertanto, come già evidenziato in dottrina in merito a Cass. n. 7958/2009, sentenza nota per aver riconosciuto come presupposto della segnalazione in Centrale Rischi un’insolvenza “levior” rispetto all’insolvenza fallimentare, la liquidazione in via equitativa spesso è l’unica risposta che l’ordinamento può dare ai soggetti lesi da un’illegittima segnalazione[45].

Inoltre, appare altresì logico affermare che più a lungo persiste la segnalazione, maggiore è il danno che ne scaturisce al soggetto segnalato.

Pertanto, nei casi in cui è possibile dimostrare che la segnalazione ha determinato la perdita di un importante affare, ovvero la perdita di chances, la mancata concessione di una specifica linea di credito richiesta ad altra banca ecc., sarà possibile fornire la prova di un danno “specifico” e puntualmente determinabile. Nei casi in cui, come spesso accade, non è possibile fornire una prova specifica che sia idonea a quantificare il danno effettivamente subito, appare pertanto determinante il ricorso a prove presuntive e a criteri equitativi.

6. Conclusioni

Oltre a quanto esposto in tema di contratto autonomo di garanzia, la sentenza in commento appare pregevole in quanto si annovera tra le pronunce che ammettono una determinazione del danno da erronea segnalazione in Centrale dei Rischi in via forfettaria ed equitativa. Tale modalità di determinazione del danno soccorre nei casi in qui la quantificazione specifica del pregiudizio, come conseguenza “immediata e diretta” della segnalazione, può risultare complessa o di difficile determinazione per le ragioni esposte. Se si ravvisa la lesione della sfera giuridica del soggetto, in questo caso della società (o della persona) segnalata indebitamente in Centrale rischi, negare un risarcimento in quanto il danno risulta difficilmente quantificabile, potrebbe integrare un vuoto di tutela, soprattutto alla luce di tutte le considerazioni svolte in merito all’impatto e alle conseguenze che la segnalazione in Centrale rischi può determinare.

Non va poi dimenticato anche l’impatto determinante delle segnalazioni nella Centrale rischi relativamente all’attribuzione del rating al cliente affidato nel sistema bancario, per tutte le ragioni esposte.

Il risarcimento del danno secondo equità non significa reintegrazione in assenza di prova, ma soltanto che – sotto il mero profilo della determinazione del suo ammontare – si utilizzino criteri equitativi.

I Giudici attraverso la determinazione in via equitativa del danno, possono supplire a tale limite probatorio ed evitare che si possa verificare un vuoto di tutela per persone e imprese segnalate quotidianamente in Centrale rischi con effetti, potenzialmente, dirompenti.

 

 


[1] S. V. da ultimo Corte di Cassazione, Sez. I Civ., 8 gennaio 2019, n. 207, in questa rivista.

[2] Cassazione civile, sezione I, 24 maggio 2010, n. 12626, in www.personaedanno.it.

[3] Si richiama sul punto l’art. 1939 c.c. Tale norma nel sancire la validità della fideiussione stessa esprime chiaramente che non può ritenersi valida se non è valida l’obbligazione principale e, pertanto, non potrebbe ragionevolmente ritenersi valida una fideiussione se il rapporto principale fosse affetto da usura.

[4] V. Cass. civ., sez. I, sentenza 14/12/2007 n° 26262, in www.altalex.com.

[5] Corte di Cassazione, sez. I civile – ord. 10 gennaio 2018, n. 371, in www.neldiritto.it.

[6] Per approfondimenti in merito alla Centrale Rischi, v. E. Granata, U. Morera, P. Canapa, A. Cascioli eA. Carretta, La nuova centrale dei rischi, Roma, 1996, passim.

[7] S. Lopreiato, Centrale dei rischi private, segnalazione erronea e responsabilità della banca (nota a Trib. Milano, 18.8.2005), in Banca borsa tit. cred., 2007, II, 451 ss.

[8] Delibera assunta ai sensi degli artt. 53, 67, 107, d.lg. n. 385/1993 (t.u.b.), i quali conferiscono al CICR il potere di emanare disposizioni aventi ad oggetto il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni nei confronti delle Banche, delle società finanziarie e degli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale (art. 107 t.u.b.).

[9] Si veda Circolare n. 139 del’11 febbraio 1991 – Centrale dei rischi. Istruzioni per gli intermediari creditizi, e successivi aggiornamenti, 15° aggiornamento, in www.bancaditalia.it.

[10] La «posizione globale di rischio» è tesa ad evitare che al fine di evitare che i clienti chiedessero la concessione di credito a più banche per importi parcellizzati, invece che ad un singolo intermediario per un unico ammontare complessivo, cercando di eludere i controlli patrimoniali e finanziari previsti in sede di istruttoria di fido, v. U. Morera, Il fido bancario, cit., p.111 ss.

[11] Sul punto, cfr. V. Papagni, L’illegittima segnalazione alla centrale rischi presso Bankitalia e la relativa liquidazione del danno con criteri equitativi, nota a Cass., 24.5.2010, n. 12626, in Dir. e giustizia, 2010, 292.

[12] Il rischio di credito può essere suddiviso in due componenti: “rischio d’insolvenza” e rischio di migrazione. Il “rischio di insolvenza” rappresenta la possibilità che una controparte affidata, nei confronti della quale esiste un’esposizione creditizia, divenga insolvente. In questo caso la perdita economica per il creditore corrisponde alla differenza fra il valore del credito e quanto è effettivamente recuperato. Il “rischio di migrazione” riguarda il deterioramento del merito creditizio di una controparte che in generale non dà luogo a una perdita economica immediata per la banca. Il rischio di credito identifica una fattispecie collegata ad una variazione in attesa del merito creditizio, giacché le variazioni attese sono già scontate dalla banca al momento della decisione di affidamento ed “integrate” nella determinazione del tasso attivo, (Occorre poi considerare l’estensione del concetto di esposizione creditizia. Al proposito, l’esposizione è generalmente intesa come l’ammontare del prestito al momento dell’insolvenza.

[13] Le banche dovranno provvedere a vincolare parte del capitale a fronte dei rischi connessi alle attività svolte e queste dipenderanno anche dal rischio di credito relativo alle imprese affidate.

[14] Sul punto cfr. F. Gangemi, Segnalazione alla Centrale rischi e privacy: profili di responsabilità in capo alla Banca d’Italia (nota a Cass., 1.4.2009, n. 7958), inGiur. it., 2009, 2156.

[15] Le sezioni sono le seguenti: crediti per cassa, crediti di firma, garanzie ricevute, derivati finanziari, garanti, sezione informativa, sofferenze. Si segnala che nell’ambito delle rispettive sezioni esistono suddivisioni per categoria. A titolo esemplificativo, si riportano le tre categorie che rappresentano la sezione dei Crediti per cassa: Rischi autoliquidanti, Rischi a scadenza, Rischi a revoca.

[16] Fino poco tempo fa, alle segnalazioni corrispondeva un codice, ad es. il codice “830” era relativo a rapporti non contestati, crediti scaduti o sconfinati da più di 90 giorni; il codice “831” era relativo a rapporti non contestati, crediti scaduti o sconfinati da più di 180 giorni; il codice 93 indicava crediti impagati. I codici 830 e 831 erano quindi relativi al c.d. past due, trattasi di una nuova tipologia di default introdotta da Basilea II, tesa ad indicare crediti scaduti o sconfinati per oltre 90 gg consecutivi (fino a dicembre 2011 erano 180 gg. Solo recentemente le segnalazioni sono indicate per esteso.

[17] Circ. 11.2.1991, n. 139, Cap. II, Sez. II, par. 1.5, in www.bancaditalia.it, ai sensi della quale la segnalazione a sofferenza non è più dovuta quando: viene a cessare lo stato di insolvenza o la situazione ad esso equiparabile; il credito viene rimborsato dal debitore o da terzi, anche a seguito di accordo transattivo liberatorio, di concordato preventivo o di concordato fallimentare remissorio; rimborsi parziali del credito comportano la riduzione dell’importo segnalato; il credito viene ceduto a terzi; gli organi competenti dell’intermediario con specifica delibera abbiano preso atto della non recuperabilità del credito ovvero rinunciato ad avviare o proseguire gli atti di recupero, per motivi di convenienza economica in relazione all’ammontare del credito. Ancora: «il pagamento del debito e/o la cessazione dello stato di insolvenza o della situazione ad esso equiparabile non comportano la cancellazione delle segnalazioni a sofferenza relative alle rilevazioni pregresse». Si segnala, per completezza espositiva, che il 14° aggiornamento della circ. n. 139, cit., del 29.4.2011, in www.bancaditalia.it, prevede che la segnalazione a sofferenza non è più dovuta anche nei casi in cui il credito è interamente prescritto (ex art. 2934 c.c.); nonché nei casi in cui il credito è stato oggetto di esdebitazione (ex art. 142 l. fall.).

[18] Si prescinde, pertanto, dall’esistenza di eventuali garanzie (reali e personali) poste a presidio dei crediti (sono escluse le posizioni la cui situazione di anomalia sia riconducibile a profili attinenti al «rischio-paese»).

[19] In dottrina v. U. Morera, La centralizzazione dei rischi di credito: profili giuridici, in Dir. banca e mercato fin., 1996, 464 ss.; G. Scognamiglio, Sulla segnalazione a sofferenza nella Centrale dei rischi della Banca d’Italia, in Banca borsa tit. cred., 1999, I, 303 ss. In giurisprudenza cfr. Trib. Roma, (ord.) 5.8.1998, ivi, 1999, II, 452 ss., che è stata una delle prime a confutare l’orientamento in questione; più di recente v. Cass., 12.10.2007, n. 21428, in Rep. Foro it., 2007, Banca, credito e risparmio, 132.

[20] Cfr. F. Pacileo, «Sofferenze bancarie»: presupposti di legittimità della segnalazione alla Centrale dei rischi della banca d’Italia (nota a Cass., 1.4.2009, n. 7958),inGiur. comm., 2010, II, 67.

[21] Sempre ai sensi della Circolare predetta sussiste poi un dovere informativo in capo all’intermediario che proceda alla iscrizione in Centrale rischi dal momento che questi è tenuto ad informare per iscritto il cliente e gli eventuali coobbligati (quali garanti e soci illimitatamente responsabili) la prima volta che lo segnali a sofferenza. Inoltre, se la classificazione a sofferenza è nei confronti di un consumatore, tale informativa deve essere preventiva, ai sensi dell’art. 125, terzo comma, T.U.B. Art. 125 TUB, co. 3: “I finanziatori informano preventivamente il consumatore la prima volta che segnalano a una banca dati le informazioni negative previste dalla relativa disciplina. L’informativa è resa unitamente all’invio di solleciti, altre comunicazioni, o in via autonoma”.

[22] La Suprema Corte, con la sentenza della Cass. Civ., Sez. I, 1° aprile 2009, n. 7958, in, tra le altre fonti, Obblig. e Contr., nov. 2011, 737 e ss.;in www.dirittobancario, e www.ilcaso.it.La Corte nel cassare la decisione di primo grado, ha affermato che l’intermediario deve prima effettuare una valutazione della complessiva situazione patrimoniale del cliente, non potendo limitarsi a considerare solo lo specifico o gli specifici rapporti tra banca e soggetto segnalato. Inoltre, la Corte di legittimità ha precisato che le Istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia di cui alla circ. n. 139 inducono a privilegiare una nozione d’insolvenza levior rispetto al concetto d’insolvenza fallimentare, da intendersi come una grave e non transitoria difficoltà economica, la quale costituisce il presupposto di legittimità per procedere alla segnalazione del nominativo in Centrale rischi. Conf. Cass. Civ., sez. I, 24 maggio 2010, n. 12626, Obblig. e Contr., nov. 2011, 741 e ss., e in www.personaedanno; Cass. Civ., sez. I, 9 luglio 2014, n. 15609, in www.ilcaso.it. S.V. anche in Dottrina A. Dolmetta, Il “credito in sofferenza” nelle Istruzioni di vigilanza sulla Centrale dei rischi, in Banca Borsa tit. cred., fasc. 5, 2004, p. 533 ss..

[23] Cfr. Cass., 12.10.2007, n. 21428, cit; Cass. 29 gennaio 2015, n. 1725, in Foro it. 2015, I, c. 3981.

[24] Così, Cass., 12.10.2007, n. 21428, cit.; Trib. Pescara, (ord.) 22.12.2006, in Foro it., 2007, I, 2615 ss.; Trib. Milano, 3.3.2006, in Banca borsa tit. cred., 2007, II, 651 ss.; Trib. Brindisi, (ord.) 2.9.2004, in Dir. banca e mercato fin., 2005, 89 ss. (che invero assimila lo stato d’insolvenza alla fattispecie di cui all’art. 5 l. fall. e le «situazioni sostanzialmente equiparabili» al presupposto di cui all’art. 187 l. fall.); Trib. Catania, 5.12.2003, in Banca borsa tit. cred., 2004, II, 555 ss.; Trib. Brindisi, 20.7.1999, in Giust. civ., 2000, I, 555 ss., con nota di A. Schermi, Segnalazione di credito «in sofferenza» alla Centrale Rischi della Banca d’Italia e provvedimento d’urgenza; Trib. Potenza, (ord.) 4.5.2001, in Giur. comm., 2003, II, 210 ss. In dottrina v. anche A. Fabrizio-Salvatore, Segnalazione illegittima alla Centrale rischi e danno risarcibile (nota a Trib. Bari, 24.1.2008), inDanno e resp., 2008, 881; A. Mondani, Conoscenza dello stato d’insolvenza e segnalazione alla Centrale Rischi (nota a Cass., 13.10.2005, n. 19894), in Banca borsa tit. cred., 2008, II, 25 ss.

[25] Nello specifico, le istruzioni di Vigilanza della Banca d’Italia, (15° aggiornamento), sono in proposito estremamente chiare, in quanto specificano testualmente che «Si considera contestato” qualsiasi rapporto oggetto di segnalazione (finanziamenti, garanzie, cessioni, etc) per il quale sia stata adita un’Autorità terza rispetto alle parti (Autorità giudiziaria, Garante della privacy, Mediatore ex d.lgs. 28/2010 o altra preposta alla risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela). L’esistenza della contestazione deve essere indicata a far tempo dalla rilevazione relativa alla data in cui l’intermediario riceve formale comunicazione della pendenza in via giudiziale o stragiudiziale. La qualifica di rapporto contestato non è più dovuta dalla rilevazione successiva alla data di conclusione del procedimento». Cfr. Istruzioni di Vigilanza per gli intermediari creditizi, 15° aggiornamento, in www.bancaditalia.it. E’ bene comunque ricordare che l’obbligo di segnalare correttamente il credito “in contestazione” è stato introdotto con il 13° aggiornamento della Circolare della Banca d’Italia 11.2.1991 n. 139, datato 4.3.2010, anche se la Giurisprudenza più illuminata l’aveva già iniziato ad affermato tale principio.

[26] Per “past due” si intende la tipologia di default legata a i crediti scaduti o sconfinamenti prolungati per oltre 90 giorni (in precedenza erano 180 giorni). La Banca d’Italia ha recepito tali indicazioni di «Basilea II» imponendo alle banche di ritenere in default i clienti con i predetti sconfinamenti prolungati nel tempo. Nella sostanza ha equiparato tali situazioni addirittura alle c.d. “sofferenze”, considerando il past due quale indizio che il soggetto in questione (azienda o privato) ha difficoltà finanziarie che, se non risolte, costituiscono il preludio di un eventuale default, cioè alla successiva classificazione ad Incaglio e/o a Sofferenza.

[27] Il termine «Basilea II» identifica l’accordo raggiunto dal Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria, finalizzato all’aggiornamento della normativa internazionale relativa all’adeguatezza patrimoniale delle banche e delle imprese di investimento rispetto al precedente accordo sul capitale del 1988 (c.d. «Basilea 1»). Tale processo di riforma venne avviato nel 1999 per convergere nelle direttive europee 2006/48/CE e 2006/49/CE, recepite a livello domestico con il d.l. 22.12.2006, n. 297. In merito al procedimento di adozione di «Basilea 2» cfr. Capriglione, Commentario al Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, I, Padova, 2001, 404 ss.; Sciuto, Organizzazione e merito di credito delle società a responsabilità limitata alla luce di «Basilea 2», in Banca borsa tit. cred., 2007, I, 702 ss.; F. Metelli, Basilea 2 – Il nuovo processo del credito alle imprese, cit., 3 ss.

[28] A fronte dell’avvenuto recepimento di «Basilea 2» la Banca d’Italia ha emanato le «Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche», che hanno attuato il nuovo quadro normativo (circ. 27.12.2006, n. 263, in www.bancaditalia.it.).

[29] È difatti prevista una «scala di rating»: ogni banca può adottare una propria scala ma tendenzialmente «AAA» rappresenta la massima affidabilità creditizia; man mano che ci si avvicina a «D» il merito creditizio si riduce in quanto «D» indica «default». Sul punto v. E. Facile e A. Giacomelli, op. cit., 71 ss.

[30] Tra i dati esaminati nel giudizio di rating si ricordano anche, a titolo esemplificativo: bilanci; visure camerali; le caratteristiche economico-patrimoniali della controparte; il settore economico in cui la società opera e il posizionamento competitivo; le caratteristiche “qualitative” dell’azienda come la governance e la struttura commerciale; dati congiunturali e previsionali sul settore economico e l’area geografica in cui opera l’azienda; eventuali protesti, bollettini ufficiali delle camere di commercio, tribunali e conservatorie. Cfr. E. Facile e A. Giacomelli, op. cit., 71 ss., 211 ss.

[31] Cfr. Banca d’Italia, Istruzioni di Vigilanza per le banche», circolare 21.4.1999, n. 229, Titolo IV, Capitolo 11, 8.

[32] Sulla definizione di rating s.v. Facile e Giacomelli, op. cit., 11 e ss.

[33] Così Bolognini, Erronea apposizione di un credito in sofferenza: possibile configurazione di una responsabilità civile anche in capo alla Banca d’Italia (nota a Cass., 1.4.2009, n. 7958), inResp. civ. e prev., 2010,1114.

[34] Cfr. Tola, Aspetti problematici delle segnalazioni alla Centrale dei rischi [nota a Trib. Cagliari, (ord.) 25.10.2000], in Banca borsa tit. cred., 2002, II, 464 ss.; G. Scognamiglio, op. cit., 303.

[35] Cfr. Banca d’Italia, Istruzioni di Vigilanza per le banche, circ. 21.4.1999, n. 229, Tit. IV, Cap. 11, 8, in www.bancaditalia.it,ove si legge altresì che «nella fase istruttoria, le banche acquistano tutta la documentazione necessaria per effettuare un’adeguata valutazione del merito creditizio del prenditore, sotto il profilo patrimoniale e reddituale, e una corretta remunerazione del rischio assunto. La documentazione deve… permettere l’individuazione delle caratteristiche tecniche e della qualità del prenditore, anche alla luce del complesso delle relazioni con lo stesso intrattenute. Nel caso di affidamenti ad imprese, ad esempio, sono acquisiti i bilanci (anche consolidati, se disponibili) nonché ogni altra informazione utile per valutare la situazione attuale e prospettica dell’azienda».

[36] Cfr. Tola, op. cit., 465; A. Scarpello, L’illecito da informazione economica e le nuove frontiere della responsabilità civile, in Resp. civ. e prev., 1998, 507 ss.

[37] Cfr. Cass. 4.6.2007, n. 12929, cit., ove si legge: «Con riferimento al primo aspetto, se non si può dire, per ovvie ragioni, che una persona giuridica od un ente collettivo abbiano considerazione di sé, si può senz’altro dire che, operando essi tramite persone fisiche, quelle che ne costituiscono gli organi, sembra innegabile che l’agire di questi soggetti e, quindi, per loro tramite della persona giuridica o dell’ente, risenta della considerazione che della posizione della persona giuridica o dell’ente essi hanno, nel senso che quanto più alta è tale considerazione tale agire ne risente positivamente e, quindi, attraverso il meccanismo di imputazione del rapporto organico, ne risente l’agire dell’ente. Ne discende che è configurabile, quale conseguenza di un fatto lesivo dell’immagine della persona giuridica o dell’ente collettivo, la diminuzione della considerazione che attraverso i suoi organi è riferibile alla persona giuridica o all’ente e tale diminuzione, concretandosi in una incidenza negativa sull’agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell’ente collettivo», e ancora «in presenza di una lesione all’immagine dell’ente, chi riveste la titolarità di un suo organo ha la consapevolezza di dover agire per superare la negatività espressa da tale lesione. Egli avrà, pertanto, un “pensiero” in più nel prestare la sua opera e, quindi, quest’ultima e, quindi, l’agire dell’ente non potrà che risentirne in termini di efficacia, onde ‑ a prescindere da eventuali riflessi economici ‑ tale conseguenza integra di per sé un danno non patrimoniale, senza che occorra, come fa la più recente giurisprudenza in tema di equa riparazione, ricondurre tale danno alla nozione di danno morale in senso soggettivo, atteso che il danno che viene in rilievo concerne l’obbiettivo mutamento delle condizioni dell’agire dell’ente e non il sentire delle persone attraverso le quali l’ente agisce e meno che mai un non configurabile “sentire” dell’ente». Con riferimento al secondo profilo, un danno non patrimoniale «è identificabile di norma nella lesione dell’immagine di tali enti ‑ ed è anzi d’ancora maggiore percezione la sua configurabilità ‑ anche sotto il profilo della diminuzione della considerazione che essi hanno genericamente fra i consociati. Ciò, ancora una volta indipendentemente da eventuali conseguenze economiche. Invero, la diminuita reputazione dell’ente presso i consociati o presso una certa platea dì consociati, per la lesione della sua immagine, è un danno-conseguenza che non si identifica nella lesione in sé», ed entrambi possono essere provati con ricorso a presunzioni.

[38] Cfr. Liace, La responsabilità civile della banca per erronea segnalazione alla Centrale dei Rischi [nota a Trib. Catania, (ord.) 2.4.2003], inGiur. di Merito, 2004, 509.

[39] La Suprema Corte ha richiamato le seguenti sentenze: Cass., 18.4.2007, n. 9233, in Banca borsa tit. cred., 2009, II, 551; Cass., 28.6.2006, n. 14977, in Resp. civ. e prev., 2007, 545, con nota di C. Scognamiglio, Protesto illegittimo e danno in re ipsa, dove si può leggere che il protesto cambiario, conferendo pubblicità ipso facto all’insolvenza del debitore, non è destinato ad assumere rilevanza solo in un’ottica commerciale-imprenditoriale, ma si risolve in una più complessa vicenda, di indubitabile discredito, tanto personale quanto patrimoniale, così che, ove illegittimamente sollevato e privo di una conseguente, efficace rettifica, deve ritenersi idoneo a provocare un danno patrimoniale anche sotto il profilo della lesione dell’onore e della reputazione del protestato come persona, a prescindere dai suoi eventuali interessi commerciali: con la conseguenza che, qualora l’illegittimo protesto venga riconosciuto lesivo di diritti della persona, come quelli sopraindicati, il danno, da ritenersi in re ipsa, andrà senz’altro risarcito, non incombendo sul danneggiato l’onere di fornire la prova della sua esistenza; nonché Cass., 5.11.1998, n. 11103, in Giust. civ. mass., 1998, 2269.

[40] Cfr. Papagni, op. cit., 292 ss.

[41] Corte di Cassazione, Sez. I Civ., 8 gennaio 2019, n. 207, cit. nel caso di specie la segnalazione non era avvenuta presso la Centrale dei Rischi ma presso la CRIF, “Centrale rischi di intermediazione finanziaria”.

[42] Trib. Venezia, 17.6.2009, n. 1701, in www.altalex.com. In termini parzialmente difformi, Cass. 4.6.2007, n. 12929, cit., secondo la quale «deve respingersi l’individuazione del danno nel c.d. danno-evento rappresentato dal fatto in sé della stessa lesione. Va condivisa, invece, l’idea che anche in questo caso il danno si debba identificare sempre in un danno conseguenza, cioè in accadimento ricollegatesi alla lesione della situazione protetta sulla base di un nesso di causalità», dimostrabile anche attraverso il ricorso a presunzioni. La Corte, difatti, continua affermando «che poi tale danno‑conseguenza debba nella concretezza del caso presumersi di norma esistente, sulla base di una massima di esperienza per cui la lesione dell’immagine della persona giuridica o dell’ente si riverbera sul loro agire, perché percepita dalle persone fisiche che agiscono come loro organi, non toglie che di danno-conseguenza si tratti». Dello stesso avviso anche Cass., 4.6.2007, n. 12929, cit., ove si legge: «Riconosciuta la configurabilità di un danno non patrimoniale all’immagine della persona giuridica o dell’ente collettivo nei due sensi ipotizzati, si osserva che esso, come ogni danno non patrimoniale, dovrà essere liquidato in via equitativa, avendosi riguardo a tutte le circostanze del caso concreto».

[43] Come si era verificato nel caso oggetto di causa della citata sent. della Cass. del 24.5.2010, n. 12626., in cui «anche la prova testimoniale offerta dai ricorrenti ribadiva la sussistenza di danni materiali e immateriali derivanti dall’illegittima segnalazione, ivi compresi in particolare quelli all’immagine ed al buon nome imprenditoriale e commerciale della società, ma non offriva, per la sua genericità, elementi ulteriori validi a documentarne l’entità, tanto meno in misura superiore a quella liquidata dalla sentenza impugnata. E ciò pure con riguardo all’ultimo capitolo di prova relativo al mancato finanziamento… per la realizzazione di un porto turistico, non autosufficiente a far conoscere sia pure in modo sommario la relativa vicenda ed il suo esito, nonché l’utile e/o le perdite che ne sarebbero conseguiti per la società Imarfa ove non fosse sopravvenuta la segnalazione alla Centrale Rischi».

[44] Come si era verificato nel caso oggetto di causa, in cui «anche la prova testimoniale offerta dai ricorrenti ribadiva la sussistenza di danni materiali e immateriali derivanti dall’illegittima segnalazione, ivi compresi in particolare quelli all’immagine ed al buon nome imprenditoriale e commerciale della società, ma non offriva, per la sua genericità, elementi ulteriori validi a documentarne l’entità, tanto meno in misura superiore a quella liquidata dalla sentenza impugnata. E ciò pure con riguardo all’ultimo capitolo di prova relativo al mancato finanziamento… per la realizzazione di un porto turistico, non autosufficiente a far conoscere sia pure in modo sommario la relativa vicenda ed il suo esito, nonché l’utile e/o le perdite che ne sarebbero conseguiti per la società Imarfa ove non fosse sopravvenuta la segnalazione alla Centrale Rischi», così Cass., 24.5.2010, n. 12626.

[45] Gangemi, Segnalazione alla Centrale rischi e privacy: profili di responsabilità in capo alla Banca d’Italia (nota a Cass., 1.4.2009, n. 7958), inGiur. it., 2009, 2161 «la natura del danno subito è il più delle volte caratterizzata dalla non patrimonialità, considerata la natura degli interessi coinvolti e la difficoltà di provare la loro consistenza economica. La sua liquidazione, sulla scorta dell’impostazione adottata dalla giurisprudenza in tema di danno morale, è affidata al giudice del merito, il quale è chiamato a valutare le sofferenze patite dall’interessato secondo un criterio equitativo, stimando un ristoro pecuniario che risulti adeguato alla lesione».

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