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Giurisprudenza

Opzione put e patto leonino

3 Dicembre 2018

Edoardo Cossu, associate Chiomenti, dipartimento societario

Cassazione Civile, Sez. I, 4 luglio 2018, n. 17498 – Pres. Schirò, Rel. Nazzicone

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

L’applicabilità del divieto del patto leonino ex art. 2265 cod. civ. alle cc.dd. “partecipazioni a scopo di finanziamento” (ovvero anche “finanziamenti in forma partecipativa”) con patto di retrocessione è stata ampiamente indagata in dottrina e in giurisprudenza.

In particolare, nella prassi si riscontra frequentemente il ricorso a operazioni di finanziamento tramite la partecipazione del finanziatore al capitale di rischio delle imprese finanziate, che attribuiscono al socio “finanziatore” il diritto di rivendere (c.d. opzione put) le azioni al socio “imprenditore” a un prezzo non inferiore a quello dell’investimento iniziale, a prescindere dal valore reale delle azioni al tempo di esercizio dell’opzione stessa. In tal caso, posto che l’opzione put attribuita al socio finanziatore comporterebbe un’esenzione di quest’ultimo dalla partecipazione ai risultati (attivi e passivi) della gestione sociale, la giurisprudenza ha elaborato diversi principi al fine di delineare i confini dell’operatività del divieto di cui all’art. 2265 cod. civ.

Il presente contributo esamina, pertanto, la ratio dell’art. 2265 cod. civ. e il relativo ambito di applicazione, nonché le tesi dottrinali e giurisprudenziali in argomento, tra cui, da ultimo, la recente ordinanza n. 17498 del 4 luglio 2018 emanata dalla sezione I della Corte di Cassazione.

2. La ratio dell’art. 2265 cod. civ. e l’ambito di applicazione

L’art. 2265 cod. civ. commina la nullità del patto “con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite” (c.d. “patto leonino”). La dottrina[1]ha espresso diversi orientamenti rispetto alla ratio di tale istituto.

Un primo orientamento bipartiva la ratio dell’art. 2265 cod. civ., in quanto distingueva (i) il patto di esclusione dalla partecipazione agli utili, nullo per mancanza di causa poiché la finalità del contratto di società ex art. 2247 cod. civ. sarebbe la divisione degli utili, e (ii) il patto di esclusione dalla partecipazione alle perdite, nullo per illiceità della causa poiché sarebbe violato il divieto di convenzioni usuraie.

Tale orientamento è stato progressivamente superato a favore della tesi che individua una ratio unitaria dell’art. 2265 cod. civ., rintracciabile in un principio di ordine pubblico ed economico volto a garantire la corretta conduzione della società nell’interesse di quest’ultima, dei terzi creditori e della collettività. In particolare, il divieto mira a impedire che un socio possa recitare la parte del “leone”, e cioè possa influenzare la gestione dell’impresa pur non sopportando il rischio economico delle decisioni adottate dalla società, considerato che il rischio imprenditoriale rappresenta “il miglior incentivo all’esercizio avveduto e corretto dei poteri amministrativi[2].

L’assenza di una correlazione tra gestione e rischio di impresa determinerebbe, pertanto, che il socio “leone” sia “deresponsabilizzato” nell’ambito delle decisioni di carattere gestorio[3], “anzi, potrebbe addirittura portarlo all’assunzione di decisioni scriteriate, forte della certezza di godere solo del profitto eventualmente ottenuto, senza – per contro – rischiare alcunché”[4], compromettendo di conseguenza il buon funzionamento della società per “una sostanziale indifferenza del singolo socio ai risultati della gestione sociale”[5].

Ciò posto, nonostante il divieto di cui all’art. 2265 cod. civ. – contenuto nel Libro quinto, Titolo V, Capo II del codice civile – sia previsto con riferimento alle società di persone senza alcun rimando alle società di capitali, è ormai pacifico[6]che la norma sia applicabile a tutte le imprese organizzate in forma societaria, ivi incluse le società di capitali, “in quanto [l’art. 2265 cod. civ.]attiene alle condizioni del tipo “contratto di società”” ai sensi dell’art. 2247 cod. civ.[7].

Tuttavia, considerate le differenze che intercorrono tra le società di persone (il socio è generalmente amministratore della società) e le società di capitali (il socio influisce sulla gestione mediante il voto in assemblea, seppure nei limiti della somma o del bene conferito), il divieto può essere applicabile a quest’ultime solo con i necessari adattamenti[8].

3. Opzione put e divieto del patto leonino

Alla luce di quanto precede, l’applicazione del divieto del patto leonino è stato oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali con riferimento alle c.d. “partecipazioni a scopo di finanziamento”, intese come le operazioni di finanziamento tramite la diretta partecipazione al capitale di rischio delle imprese, volte a perseguire diversi obiettivi: (i) sostegno finanziario nella fase di avvio (start-up) a piccole e medie imprese; (ii) investimenti nello sviluppo di nuovi prodotti o tecnologie; (iii) finanziamento di programmi pluriennali e ammodernamento dell’azienda; (iv) finanziamenti funzionali a risanare piccole e medie imprese in crisi[9].

In particolare, queste operazioni di finanziamento consistono nella sottoscrizione di un patto tra il finanziatore (generalmente società finanziarie o istituti di credito) e i soci “imprenditori”, con cui il primo si impegna ad acquistare una partecipazione della società, ovvero a sottoscrivere un aumento di capitale, mentre il secondo riconosce al finanziatore il diritto di vendere tali azioni ad un prezzo predefinito (opzioneput), maggiorato degli interessi come remunerazione del proprio investimento. Si riscontrano, quindi, due diversi interessi delle parti: (i) il finanziatore non ha alcun interesse imprenditoriale, ma mira a conseguire il ritorno economico del proprio finanziamento; (ii) i soci “imprenditori”, invece, vogliono reperire i fondi necessari per perseguire un interesse imprenditoriale.

In tale contesto, il socio finanziatore sarebbe esente dal partecipare ai risultati (attivi e passivi) della società, in quanto quest’ultimo può vendere le azioni ad un prezzo precedentemente determinato a prescindere dal valore reale delle azioni al momento dell’esercizio dell’opzioneput¸ con il rischio che assuma un atteggiamento di sostanziale indifferenza rispetto alla corretta gestione della società[10].

Tanto premesso, il tema della possibile invalidità – per violazione del divieto di patto leonino, in virtù della ratio sopra evidenziata – dell’opzione put avente ad oggetto una partecipazione sociale è stato oggetto di diverse pronunzie giurisprudenziali che hanno delineato molteplici condizioni e limiti di validità di un siffatto tipo di opzione.

Secondo il costante insegnamento della giurisprudenza – che trova nella sentenza n. 8927/1994 della Corte di Cassazione il proprio punto di riferimento – la violazione del divieto di patto leonino si configura qualora il socio sia escluso da “ogni” partecipazione agli utili o alle perdite, e cioè in caso di esclusione “assoluta e costante” dalla partecipazione al rischio imprenditoriale[11].

Sono quindi considerate affette da nullità per violazione del divieto di patto leonino le clausole che (i) attribuiscono ad un socio il diritto di esercitare l’opzione put in qualsiasi momento, a semplice richiesta, e per l’intera durata della società partecipata oppure per tutto il tempo in cui il socio rimanga a far parte della compagine sociale (c.d. carattere della “costanza”)[12], ad un prezzo pari all’investimento iniziale effettuato, maggiorato di interessi e (ii) qualsiasi altro versamento a patrimonio netto eventualmente effettuato dal socio medesimo, così da rendere integralmente insensibile l’investimento dell’opzionario all’andamento della società partecipata (c.d. carattere dell’“assolutezza”)[13].

Al contrario, non sono considerate nulle le opzioni di vendita che non riguardino l’intera partecipazione detenuta dall’opzionario ovvero siano condizionate al verificarsi di determinati eventi[14]o, ancora, che possano essere esercitate solo in un limitato arco temporale prestabilito. A tale riguardo, è stata negata la violazione del divieto di patto leonino nel caso in cui “l’opzione di riacquisto era esercitabile solo entro un certo termine, [poiché]l’eventuale mancato esercizio della facoltà avrebbe per il prosieguo implicato la partecipazione del [socio]alle perdite, con corrispondente esclusione del venir meno del carattere assoluto e costante dell’esclusione dal rischio di impresa[15]. Secondo un orientamento giurisprudenziale, infatti, la concessione di un’opzione put per una limitata finestra temporale “non pare affatto risolversi in una definitiva esclusione da ogni possibilità di perdita (come in operazioni di mero finanziamento), venendo piuttosto a configurarsi come riconoscimento di un adeguato spatium deliberandiin ordine alla opportunità o meno di proseguire nella collaborazione societaria […]”[16].

È stato inoltre ritenuto che non integri la fattispecie del patto leonino l’opzione di vendita di partecipazioni sociali attribuita a un socio che sia escluso integralmente dalla gestione della società. Secondo la giurisprudenza, infatti, “il divieto di patto leonino deve essere valutato in senso sostanziale, quindi con riferimento all’effettiva lesione del principio a tutela del quale è posto. Pertanto, attesane la ratio, consistente nello scopo di evitare una dissociazione tra rischio sociale e potere di gestione, la nullità degli accordi parasociali per violazione dell’art. 2265 c.c. non sussiste nell’ipotesi in cui all’esonero dalla partecipazione alle perdite corrisponde la sostanziale esclusione del socio esonerato dalla gestione della società[17].

Ciò posto, non violerebbe il divieto di patto leonino l’accordo che prevede, accanto all’opzione di vendita di un socio, la reciproca opzione di acquisto dell’altro socio, al medesimo prezzo e nello stesso periodo dell’opzione put[18]. Secondo un orientamento, infatti, l’attribuzione di correlati diritti di opzione put/call stimolerebbe“comportamenti virtuosi da parte di entrambi i soci, ciascuno avente interesse a non subire l’opzione prevista per l’altro socio a condizioni uguali e contrarie[19].

In aggiunta, secondo l’orientamento prevalente[20]il divieto di patto leonino riguarda non solo le clausole statutarie, ma anche le pattuizioni parasociali o comunque contrattuali che perseguano la finalità di eludere il divieto, essendo tali patti negozi in frode alla legge (ex art. 1344 cod. civ.) e, come tali, nulli.

Tuttavia, il divieto di patto leonino non colpisce i patti parasociali o le altre previsioni contrattuali che, pur comportando un’esclusione di uno o più soci da utili o perdite, non perseguano unicamente il fine di aggirare l’art. 2265 cod. civ., ma siano funzionali alla realizzazione di interessi che – nel complesso delle intese negoziali – siano nella sostanza meritevoli di tutela[21]. In tal senso la giurisprudenza[22]tende ad ammettere la validità di tali accordi purché non siano connotati dai caratteri della costanza e dell’assolutezza dell’esclusione da utili e perdite, e sia invece presente un carattere di meritevolezza ex art. 1322, co. 2 cod. civ. dei suddetti patti in quanto espressione di un interesse alla buona gestione dell’impresa. Per tali ragioni è possibile ammettere l’esistenza di patti qualificabili come oggettivamente “leonini”, ma non invalidi, in virtù dell’esistenza di un supremo interesse sociale meritevole di tutela che ne giustificherebbe la sostanza.

Da ultimo, è stato affermato che non viola il divieto di patto leonino l’opzione di vendita che non tenga indenne il suo titolare dal rischio di perdita totale del capitale sociale che si verifichi nell’intervallo temporale tra il momento dell’investimento e il momento dell’esercizio dell’opzione, e ciò in quanto in tal caso difetterebbe il carattere dell’assolutezza dell’esclusione dalle perdite[23].

4. L’ordinanza n. 17498 del 4 luglio 2018 emanata dalla sez. I della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione è tornata di recente a pronunciarsi in merito all’opzione put e al divieto del patto leonino. In particolare, la Suprema Corte era stata chiamata a pronunciarsi sulla validità ed efficacia dell’accordo “interno tra due soci, uno dei quali si obblig[a]a manlevare l'altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l'attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, anche comprensivo di somme versate nelle more alla società, il quale potrebbe, perciò, non rispecchiarne più il valore effettivo, nonché con l'aggiunta di interessi sull'importo dovuto, idonei a neutralizzare la perdita di valore del denaro medio tempore avvenuta od anche rappresentare un guadagno[24].

A tal riguardo, la Corte di Cassazione – richiamando la ratio dell’art. 2265 cod. civ. affermata con la sentenza n. 8927/1994 – ha nuovamente precisato che l’art. 2265 cod. civ. si applica nel caso di patti in cui l’esclusione dagli utili o dalle perdite sia assoluta e costante.

Ciò premesso, l’ordinanza in commento ha ribadito la meritevolezza ex art. 1322, co. 2 cod. civ. dei “finanziamenti in forma partecipativa” in quanto, scopo di questi contratti atipici, è il potenziamento ed incremento del valore societario, posto che permane in capo al finanziatore un interesse alla conservazione e all’incremento del valore della partecipazione sociale: “da una parte, la partecipazione all'impresa con la remunerazione del conferimento e la fruizione di una garanzia dell'esborso, mediante il controllo sulla vita sociale e la possibilità di dismissione, attribuite al socio di minoranza; dall'altra, il reperimento di un finanziamento a condizioni più favorevoli, grazie alla contrazione del rischio per il creditore, dunque a tassi di regola inferiori e pure quando il sistema bancario non lo concederebbe, senza necessità di sottoporre i beni del patrimonio del finanziato a vincoli reali o di ricercare onerose garanzie personali”[25].

La Corte di Cassazione ha, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto: “E' lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di società azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l’’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società”.

Con riferimento al caso di specie, la Suprema Corte ha cassato la sentenza emanata dalla Corte di Appello di Milano (i.e. la sentenza n. 636/2016), secondo cui sarebbe nulla, per infrazione del divieto del patto leonino, l’opzione put con la quale si garantisce a un socio la restituzione dei suoi conferimenti nel capitale sociale, esonerandolo dalla partecipazione delle perdite.

La Corte, invece, ha chiarito la tesi enunciata nel 1994, affermando che la ratio del divieto di patto leonino va ricondotta agli accordi leonini stipulati tra la società e il socio, escludendo quindi gli accordi meramente interni tra un socio e un altro socio o un terzo che non alterino “la struttura e la funzione del contratto sociale, […] la posizione del socio in società, e dunque non abbia nessun effetto verso la società stessa”, la quale continuerà a imputare gli utili e le perdite alle partecipazioni sociali.

5. Conclusioni

Il divieto del patto leonino trova la propria ragion d’essere in un principio di ordine pubblico-economico, volto ad evitare che un socio, nel momento in cui sia escluso dalla partecipazione ai risultati, attivi e passivi, della società, sia completamente disinteressato della gestione sociale, adottando decisioni contrarie al buon funzionamento della società.

A tal riguardo, dubbi interpretativi si sono posti con riferimento all’applicazione di tale divieto alle “partecipazioni a scopo di finanziamento” con patto di retrocessione, sempre più utilizzate nella prassi. In particolare, tali operazioni di finanziamento consistono nel riconoscere a un finanziatore, che acquista le azioni della società, ovvero si impegna a sottoscrivere un aumento di capitale, il diritto di vendere tali azioni ad un prezzo predefinito, maggiorato degli interessi come remunerazione del proprio investimento, prescindendo dal valore reale di queste al momento di esercizio dell’opzione put.

Tali operazioni riconoscono, pertanto, al socio finanziatore una generale esenzione dalla partecipazione agli utili e alle perdite, considerato che quest’ultimo può esercitare un diritto di exit a prescindere dai risultati della gestione, in violazione, quindi, della ratio dell’art. 2265 cod. civ.

Sul punto, tuttavia, la giurisprudenza – pressoché unanime – ha chiarito che la nullità ex art.2265 cod. civ. opera qualora tali patti escludano la partecipazione del socio finanziatore agli utili e alle perdite in maniera assoluta e costante.

Peraltro, la giurisprudenza di merito e di legittimità ha anche precisato che l’opzione put prevista nei “finanziamenti in forma partecipativa” non violerebbe il divieto di patto leonino in presenza dei seguenti presupposti/condizioni: (i) la put sia esercitabile solo in una limitata finestra temporale; (ii) il socio finanziatore sia escluso dalla gestione della società; (iii) oltre alla put, sia riconosciuta al socio imprenditore una call sulle medesime azioni per il medesimo prezzo; (iv) il patto che contempli la put sia funzionale alla realizzazione di interessi siano meritevoli di tutela in virtù del buon funzionamento della società; e (v) la put non tenga indenne l’opzionario dal rischio di perdita totale del capitale sociale che si verifichi nell’intervallo temporale tra il momento dell’investimento e il momento dell’esercizio dell’opzione.

Alla luce di quanto precede, le tesi sopra richiamate – tra cui, da ultimo, l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 17498 del 4 luglio 2018 – ammettono ormai la meritevolezza della “partecipazione a scopo di finanziamento” ai sensi dell’art. 1322, co. 2 cod. civ., in quanto strumento volto a favorire il reperimento di risorse “finalizzate a rafforzare o permettere la realizzazione di un’impresa economica collettiva, diverse dai tradizionali canali di ricorso al credito bancario[26].

Si può, quindi, osservare come la giurisprudenza sia sempre più allineata alla scelta del legislatore di incentivare l’utilizzo di tecniche atipiche di apporto all’impresa “nel solco dell’ampliamento della libertà contrattuale tracciato già dalla riforma del diritto societario del 2003[27], specie ove permettano di conseguire condizioni migliori e rischi più bassi rispetto alle tradizionali forme di finanziamento diretto a favore delle società.

 



[1] Per un excursus sull’evoluzione interpretativa dell’art. 2265 cod. civ., si vedano: N. Abriani, Il divieto di patto leonino,Milano, 1994, 33 e ss.; A. Sorace, Opzioni pute divieto del patto leonino, in RDS, 2013, I, 81 e ss.

[2] Cfr.Cass. civ., sez. I, sentenza del 29 ottobre 1994, n. 8927, Giur. comm., 1995, II, 478; Trib. Milano, sentenza del 30 dicembre 2011, in Giur. comm., 2012, II, 729 ss. In dottrina si vedano, ex multis: N. Abriani, cit., 38 e ss.; M. Torsello, Partecipazione a scopo di finanziamento e patto leonino parasociale, in Cont. e imp., 2000, 904-905; G. Fanti, Natura e portata del divieto di patto leonino, in Soc., 2000, 698; F. Delfini, Opzioni putcon prezzo determinato “a consuntivo”, arbitraggio della parte e nullità, in Giur. comm., 2012, II, 743-744; A. Sorace, cit., 86; G. Penzo, Opzione di vendita a prezzo fisso e divieto di patto leonino: una convivenza possibile, in Soc., 2014, 2, 148; A. Del Bianco e D. Proverbio, Opzioni pute divieto di patto leonino, in Soc., 2014, 6, 693; R. Santagata, Dai patti di retrocessione a prezzo garantito alle azioni “redimibili” (una rilettura del divieto del patto leonino nella S.p.A. riformata), in Società, banche e crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, diretto da M. Campobasso; V. Cariello; V. Di Cataldo; F. Guerrera; A. Sciarrone Alibrandi, Milano, 2014, tomo 1, 611; C. Palomba, Opzione pute patto parasociale leonino: profili ermeneutici, in Soc., 2015, 11, 1009; G.L. Nigro, Sub art. 2265 cod. civ., in Aa. Vv., Commentario del codice civile, Delle società dell’azienda della concorrenza, diretto da E. Gabrielli, a cura di D.U. Santosuosso, 2015, 232-233.

[3] R. Santagata, Partecipazioni in s.r.l. a scopo di finanziamento e divieto del patto leonino, in BBTC, 2009, II, 753.

[4] E. Mazzoletti, Put optione patto leonino: un divieto ancora attuale?, in Notariato, 2016, V, 496.

[5] Cfr.M. Maugeri, Partecipazione sociale e attività di impresa, Milano, 2010, 31.

[6] Ex multis, N. Abriani, cit., 55, secondo l’Autore l’art. 2265 cod. civ. rappresenterebbe la “norma chiave dell’architettura tipologica del contratto di società” che viene fatta assurgere a canone di ordine pubblico economico; G. Oppo,Le convenzioni parasociali tra diritto delle obbligazioni e diritto delle società,in Riv. dir. civile, 1987, I, 527; G. Minervini, Partecipazioni a scopo di finanziamento e patto leonino, in Contr. e imp., 1988, 776; C. Palomba, cit., 1010. In giurisprudenza, si vedano, ex multis: Trib. Roma, sentenza n. 19708 del 19 ottobre 2017; Trib. Cagliari, sentenza del 3 aprile 2008, in BBTC, 6, 746 e ss.; Cass. civ., sez. I, sentenza n. 8927 del 29 ottobre 1994, in Notariato, 1995, 3, 244 e ss., con nota di U. La Porta, Patti parasociali e patto leonino.

[7] Cass. civ., sentenza n. 8927/1994, cit. In giurisprudenza, si vedano anche, ex multis: Trib. Cagliari, sentenza del 3 aprile 2008, cit.; Trib. Milano, sentenza n. 10937 del 13 settembre 2011; App. Milano, sez. I, sentenza del 19 febbraio 2016, in Soc., 2016, 489 e ss.; Trib. Roma, sentenza n. 19708 del 19 ottobre 2017. In dottrina, ex multis: N. Abriani, cit., 77; M. Torsello, cit., 905; E. Mazzoletti, cit., 496; A. Sorace, cit., 86; B. Caruso, Clausole put a prezzo predefinito e divieto di patto leonino, in www.ilsocietario.it, 22 novembre 2016, 2; R. Guidotti, Sub art. 2265 cod. civ., in Aa. Vv., Commentario breve al diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, Milano, 2017, 85. Contra, un orientamento secondo il quale è assai “poco realistico” che l’art. 2265 cod. civ. sia applicabile alle società di capitali, in cui la gestione sociale spetta a un organo amministrativo realizzandosi così una deresponsabilizzazione del socio: cfr. G. Penzo, cit., 150-151. Si veda, anche, L. Calvosa, L’emissione di azioni riscattabili come tecnica di finanziamento, in Riv. dir. comm., 2006, 202 e ss., il quale parla di un “tramonto” del divieto del patto leonino nel diritto azionario.

[8] Cfr. N. Abriani, cit., 77; A.M. Perrino, Patti parasociali di finanziamento partecipativo e divieto di patto leonino, in Soc., 2012, 11, 1167; A. Sorace, cit., 86; E. Bonavera, Patecipazioni a scopo di finanziamento tra patto leonino e patto commissorio, in Soc., 2015, 5, 564. Tali A. hanno altresì affermato che l’art. 2265 cod. civ. si applica alle società di capitali non per analogia, ma direttamente, posto che tutti i soci sono soggetti ai risultati (attivi e passivi) derivanti dalla gestione della società.

[9] Cfr. R. Santagata, Dai patti di retrocessione, cit., 606.

[10] Cfr. R. Santagata, Dai patti di retrocessione, cit., 606; A. Sorace, cit., 88; E. Mazzoletti, cit., 494.

[11] Cass. civ., sentenza n. 8927/1994, cit. Si vedano, ex multis, Cass. civ., sez. II, sentenza n. 642 del 21 gennaio 2000; Trib. Milano, sez. VIII, sentenza del 30 dicembre 2011, in Giur. comm., 2012, 3, 729 e ss.; App. Milano, sez. I, sentenza n. 3674 del 20 ottobre 2014, in Soc., 2015, 999 e ss.; App. Milano, sez. I, sentenza del 19 febbraio 2016, cit.; Trib. Milano, sez. impr., sentenza n. 10426 del 23 marzo 2017, in www.giurispruedenzadelleimprese.it. In dottrina, E. Bonavera, Partecipazione a scopo di finanziamento tra patto leonino e patto commissorio, in Soc., 2015, 567.

[12] Santagata ha, correttamente, evidenziato che la portata precettiva del divieto potrebbe essere vanificata ove l’elemento della costanza venisse circoscritta a tutta la durata della società; pertanto, tale elemento dovrebbe essere riferito a tutto il tempo in cui il socio rimanga a far parte della compagine sociale. Cfr. R. Santagata, Partecipazioni in s.r.l. a scopo di finanziamento e divieto del patto leonino, in BBTC, 2009, II, 755. Sul punto, si vedano anche: M. Torsello, cit., 911; A. Sorace, cit., 87; F. Accettella, Profili di illegittimità dell’opzione di (ri)vendita delle azioni a prezzo garantito alla società emittente, in BBTC, 2015, 6, 746; E. Mazzoletti, cit., 498.

[13] Ex multis, Cass. civ., sentenza n. 8927/1994, cit.; App. Milano, sentenza n. 636 del 19 febbraio 2016. Secondo un orientamento, l’assolutezza dell’esclusione non deve essere limitata alla totale esenzione dell’opzionario dalle perdite subite, ma deve basarsi sul confronto tra l’investimento iniziale e la determinazione del prezzo di cessione previsto nell’opzione. Cfr. Trib. Milano, sez. impr., sentenza del 18 ottobre 2017, in Soc., 2018, 3, 291 e ss., con nota di G. Penzo, Opzione put e violazione del divieto di patto leonino: nuovi spunti sul requisito di assolutezza, 298.

[14] Cass. civ., sentenza n. 8927/1994, cit.; Cass, sez. II, sentenza n. 642 del 21 gennaio 2000; Trib. Milano, sentenza del 3 luglio 2012.In dottrina si veda A. Sorace, cit., 91-92.Per completezza, si precisa che secondo un orientamento i trigger events inseriti negli accordi di investimento potrebbero essere: cambio di controllo, stallo decisionale, forza maggiore, superamento di certe soglie del capitale sociale, inadempimento di obbligazioni parasociali, fallimento o soggezione a altra procedura concorsuale o mero stato di crisi o insolvenza: cfr. C. Di Bitonto, Opzioni “put” parasociali su azioni: profili di (in)validità, in Soc., 2016, 3, 294.

[15] Trib. Milano, sentenza n. 10937 del 13 settembre 2011 (nel caso di specie, l’opzione di vendita era esercitabile entro 2 anni dalla data di acquisto della partecipazione da parte dell’opzionario). Tale orientamento è stato confermato dalle seguenti pronunce: Trib. Milano, ordinanza del 9 febbraio 2012 (in tal caso, l’opzione put era esercitabile in un arco temporale di 5 anni); Trib. Milano, 3 ottobre 2013, in Soc., 688 e ss. (anche in questo caso l’opzione di vendita era esercitabile in un quinquennio); Trib. Milano, sentenza n. 8491 del 22 luglio 2015 (nel caso di specie l’opzione era esercitabile in un arco temporale di soli 60 giorni); Trib. Milano, sentenza n. 9301 del 6 agosto 2015 (la sentenza non fornisce indicazioni in merito al periodo nel quale era esercitabile l’opzione di vendita).

[16] Trib. Milano, sentenza n. 8491 del 2 luglio 2015.

[17] Trib. Cagliari, sentenza del 3 aprile 2008,cit., che riprende l’orientamento affermato dalla sentenza n. 8927/1994 della Corte di Cassazione, secondo il quale “l’esclusione, oggetto del divieto, deve individuarsi con un riferimento sostanziale alle situazioni giuridiche che dal patto possono derivare, non formale”. Secondo Santagata, tuttavia, non è chiaro quali siano le "modalità tecniche" per l’attuazione di ciò che l’A. definisce “compromesso”(trala posizione formale di socio e quella sostanziale di finanziatore). Un orientamento più rigido — osserva l’A. — richiederebbe “[…] la sospensione convenzionale del diritto di voto dell’acquirente della partecipazione temporanea mediante una specifica ed apposita previsione nel patto parasociale. Ma, avverso una soluzione siffatta, depongono non trascurabili argomenti di indole funzionale: la specifica finalità ed il più evidente vantaggio dei patti di futuro rilievo consistono proprio nell’assicurare al finanziatore un incisivo intervento, una costante vigilanza sulla gestione dell’ente finanziato; per converso, qualora le fosse inibito l’esercizio del voto, la finanziaria probabilmente si asterrebbe dall’effettuare l’operazione in questione, decisamente più rischiosa di un normale contratto di credito". Ad avviso dell’A., la decisione del Tribunale di Cagliari dovrebbe quindi collocarsi "[…]nel solco di un’impostazione più flessibile, incline a reputare sufficiente ad escludere interferenze col patto leonino il vincolo minoritario della partecipazione temporanea, congiunto alla comprovata estraneità del suo titolare alla gestione della società". Questa tesi merita, secondo Santagata, "sostanziale approvazione", posto che " è, invero, l’esercizio del voto funzionale ad assicurare al finanziatore un monitoraggio ed una valida protezione da comportamenti inefficienti ed opportunistici dell’imprenditore sovvenuto; e, di riflesso, a riconoscergli i poteri di compiere atti di ispezione, di conferire autorizzazioni od esprimere pareri anche vincolanti (cc.dd. «positive», «negative» e «financial covenants») con riferimento a determinate, e preventivamente individuate, operazioni della società suscettibili di aggravare il rischio di impresa, quali modifiche dell’oggetto sociale o assunzioni di ulteriori garanzie senza rinegoziazione delle condizioni del finanziamento partecipativo. Altro è la sistematica intromissione nella gestione della società sovvenuta, volta a conferire un peso determinante a chi è esonerato dal rischio di perdite. Ebbene, soltanto quest’ultima situazione sembra confliggere con la ratiodel divieto del patto leonino".Cfr. R. Santagata, Partecipazioni in s.r.l. a scopo di finanziamento, cit., 754.

[18] Trib. Milano, sentenza del 3 ottobre 2013, cit.; Trib. Milano, sentenza n. 8491 del 2 luglio 2015.

[19] Cfr. App. Milano, sentenza del 17 settembre 2014, in Soc., 2015, 555 e ss., con nota di E. Bonavera, Partecipazione a scopo di finanziamento tra patto leonino e patto commissorio, 563. Per completezza, si precisa che, nel caso in cui siano attribuiti correlati diritti di opzione put/call, è opportuno valutare la validità di tale clausola tenuto conto dello scopo del finanziamento e della natura del soggetto finanziatore. In particolare, qualora l’opzione put sia esercitabile da un socio finanziatore al fine di supportare le iniziative dell’impresa, tale clausola sarebbe generalmente valida per la meritevolezza degli interessi perseguiti, a prescindere dall’esistenza di una call. Invece, ove l’opzione put e call sia esercitabile dal medesimo socio industriale, si potrebbero riscontrare profili di invalidità, in quanto i diritti di opzione non mirerebbero a perseguire un interesse meritevole di tutela (i.e. il supporto finanziario dell’impresa), ma attribuirebbero al socio industriale un potere di “arbitraggio” tra una posizione di tipo finanziario e una posizione di tipo industriale volto a perseguire interessi meramente speculativi, anche qualora quest’ultimo sia parzialmente escluso dal rischio di perdite. In particolare, mentre tramite l’opzione put il socio industriale potrebbe vendere le azioni ad un prezzo superiore al valore corrente di mercato, tramite l’opzione call, invece, quest’ultimo potrebbe acquistare ad un prezzo inferiore.

[20] In giurisprudenza, Cass. civ., sentenza n. 8927/1994, cit.; Trib. Milano, sentenza del 30 dicembre 2011, cit.; Trib. Roma, sentenza n. 19708 del 19 ottobre 2017. In dottrina, G. Minervini, Partecipazioni a scopo di finanziamento e patto leonino, cit. 779; N. Abriani, Il divieto di patto leonino, cit. 142; M. Torsello, cit., 910-911; A. Sorace, cit., 89; R. Santagata, Dai patti di retrocessione, cit., 608, il quale ha affermato che i patti parasociali – a differenza delle clausole statutarie “leonine” che sono “in ogni caso” nulle – necessitano di un trattamento diverso e più favorevole con riferimento all’applicazione dell’art. 2265 cod. civ. Propende per un esame casistico D. Batti, Il patto leonino nell’ambito delle partecipazioni a scopo di finanziamento, in Soc., 1995, 185.

[21] Cfr. Cass. civ., sentenza n. 8927/1994, cit. In dottrina, si vedano ex multis A. Tucci, Patto di riacquisto di azioni “a prezzo garantito” e patto leonino, in Riv. dir. comm., 2012, II, 239; R. Santagata, Dai patti di retrocessione a prezzo garantito alle azioni “redimibili”,cit., 611. Nell’analizzare la meritevolezza delle pattuizioni parasociali alla luce del divieto di patto leonino alcuna dottrina si è concentrata sul risultato che con tali pattuizioni può essere conseguito: tramite esse, si può infatti realizzare una forma di finanziamento “atipico” e partecipativo in quanto “[…] lo strumento societario è piegato ai fini di finanziamento, mantenendo, però, in capo alla finanziaria, i vantaggi tipici della partecipazione sociale dato che il finanziamento operato con la partecipazione va in conto capitale. Si realizza, in tal modo, una operazione di capitalizzazione che, rispetto ad un finanziamento, offre alla società finanziata maggiori possibilità operative e di credibilità” (in questi termini, A. Ciaffi, Finanziaria regionale e patto leonino, in Giur. comm., 1995, 493). D'altra parte, è stato osservato che l’"assunzione di partecipazioni azionarie come tecnica di finanziamento si è infatti consolidata come opzione di politica economica sia a livello nazionale che comunitario. […] Da una parte, il finanziamento partecipativo viene disciplinato come atto tipicamente considerato di alcune categorie di soggetti. Così le società finanziarie per l'innovazione e lo sviluppo devono avere come “oggetto sociale esclusivo l'assunzione di partecipazioni temporanee al capitale di rischio di piccole imprese costituite in forma di società di capitali” (art. 2 della legge 5 ottobre 1991, n. 317). Ugualmente il FEI-Fondo europeo per gli investimenti persegue il sostegno allo sviluppo delle piccole e medie imprese mediante l'assunzione di partecipazioni minoritarie e temporanee” (cfr. sul punto A.M. LEOZAPPA, Le partecipazioni a scopo di finanziamento, in Riv. dir. comm., 1998, I, 263-264). Nonostante alcune opinioni difformi, è stato ritenuto da più Autori che, al fine di reperire, per iniziative imprenditoriali, ausili o forme di finanziamento partecipative, "[…] nell'attuale contesto economico e sociale, viene diffusamente sottolineata la meritevolezza dell'interesse a reperire per iniziative imprenditoriali, soprattutto nella fase di decollo, di ristrutturazione e di ampliamento […]ausili finanziari o forme di finanziamento partecipativo che risultino connotate da particolari clausole di garanzia per renderle appetibili dai risparmiatori o dai finanziatori istituzionali” (G. PIAZZA, La causa mista credito società, in Contr. e impr., 1987, 806). Si vedano sul punto anche G. SBISA’ circolazione delle azioni e patto leonino, in Contr. e impr., 1987, 817 e ss; A. Ciaffi, Finanziaria regionale e patto leonino, cit., 478 e ss. È stato altresì osservato che "[…] i patti di retrocessione di quote sociali mirano al perseguimento di rilevanti finalità di politica economica, quali il sostegno nella difficile fase di avvio (start-up) di nuove imprese, la sovvenzione di programmi pluriennali di sviluppo e ammodernamento aziendale o di piani di risanamento atti a consentire il riequilibrio della situazione finanziaria di piccole e medie imprese in crisi e la loro conseguente ristrutturazione a condizioni meno onerose rispetto al credito bancario […1. L'accertamento della ricorrenza in concreto di siffatte finalità oggettive, [può] ben valere ad affrancare i patti di retrocessione dal divieto sancito dall'art. 2265 c.c. […]". In questi termini, si veda R. Santagata, Partecipazioni in s.r.l. a scopo di finanziamento e divieto del patto leonino, cit., 751-752, il quale sottolinea come la genesi di tale impostazione — che è alla base della sentenza della Cassazione n. 8927/1994 — abbia risentito "[…] della legislazione settoriale di sostegno alla piccola e media impresa di inizio anni novanta del secolo scorso: esemplare in proposito è la legge 5 ottobre 1991, n.317, che riconosceva rilevanti agevolazioni fiscali a "società finanziarie per l’innovazione e lo sviluppo aventi come oggetto sociale esclusivo l'assunzione di partecipazioni temporanee al capitale di rischio di piccole imprese costituite in forma di società di capitali […]". In relazione alla sentenza della Cassazione n. 8927/1994, altro Autore ha affermato che "ln definitiva, la sentenza ha riconosciuto la possibilità di dissociazione tra rischio, incombente sugli altri soci, e potere, conferito al socio finanziatore; ed ha riconosciuto altresì che è rispondente ad interessi meritevoli di tutela, armonici con quelli societari, il patto parasociale, animato da precipue finalità di finanziamento, che contempi l'esclusione del finanziatore dai rischi, nonostante gli siano stati conferiti poteri amministrativi”: cfr. A.M. Perrino, cit., 1170.

[22] Trib. Firenze, sez. impr., sentenza del 16 luglio 2015, in Soc., 2016, 286 e ss. In tale sentenza il Tribunale si è occupato di verificare la validità di un’opzione put contenuta in un accordo di investimento e concessa dai due soci originari di una società per azioni a partecipazione pubblica in favore di un nuovo socio di minoranza sottoscrittore di un aumento di capitale riservato. In tale contesto, il Tribunale ha escluso che l’opzione put violasse il divieto di patto leonino in quanto, tra l’altro, “la funzione del patto di opzione (put) [era]quella di bilanciare, sul piano del rapporto sinallagmatico, l’obbligazione di LGH [i.e. il sottoscrittore dell’aumento di capitale] di finanziare la società in relazione all’ammontare della quota di capitale che essa andava ad acquisire (40%); si è trattato, in sostanza, di una funzione di garanzia, della leva contrattuale con la quale i soci cedenti hanno vinto le remore manifestate da LGH in merito all’Accordo di investimento”. Si vedano anche Trib. Milano, sentenza n. 9301 del 6 agosto 2015, e Trib. Verona, sentenza del 26 maggio 2014, disponibile in www.ilcaso.it.

[23] Trib. Milano, sez. impr., sentenza n. 10426 del 23 marzo 2017, cit.

[24] In particolare, nell’ambito di un’operazione per l’acquisizione di Banca Network Investimenti S.p.A., i soci DEA Partecipazioni S.p.A. e Sopaf S.p.A. avevano sottoscritto un patto parasociale in data 1 agosto 2007 – modificato successivamente in data 23 giugno 2008 – che prevedeva a favore di Dea Partecipazioni S.p.A. un diritto di opzione a vendere, a semplice richiesta, la partecipazione sociale detenuta nella suddetta banca al prezzo dell’investimento iniziale, maggiorato degli interessi.

[25] Cfr. Cass. civ., sez. I, ordinanza n. 17498 del 4 luglio 2018.

[26] Cass. civ., sez. I, ordinanza n. 17498 del 4 luglio 2018.

[27] Cfr. P. Marchetti – M. Ventoruzzo, <<La putnon è un patto leonino>> – capitali (più facili) per le imprese, in L’Economia (Corriere della sera), 24 settembre 2018, 16.

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