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Giurisprudenza

Confermata in appello la validità delle clausole «antistallo»

3 Aprile 2020

Carolina Gentile e Luca Serafino Lentini, Dottorandi di ricerca in Diritto commerciale, Università Cattolica del Sacro Cuore

Corte di Appello di Roma, 03 febbraio 2020, n. 782 – Pres. Thellung de Courtelary, Rel. Tronci

* Nel panorama corrente, l’interesse pratico e teorico per le clausole «anti-stallo» – ovvero di «russian roulette», secondo una denominazione più di frequente adoperata nella letteratura – attraversa una fase di fortissima crescita. Lo dimostra, infatti, la recente presa di posizione del Consiglio Notarile di Milano (il riferimento corre alla Massima n. 181 del 9 luglio 2019); come pure la mole assai nutrita di commenti all’unica sentenza fino ad oggi pubblicata (Trib. Roma 19 ottobre 2017, n. 19708; fra molti, con commento di SCIANNACA in Giur. Comm, 2019, II, 875 ss.; di DIVIZIA, in Società, 2018, 449 ss.; di BERNARDI, in Riv. dir. soc., 2018, 617 ss.; di PICCIONE, in dirittobancario.it).

In un simile contesto l’esistenza di un nuovo provvedimento – che, in realtà, costituisce la decisione di secondo grado della pronuncia appena riferita ed il cui esito interpretativo viene a confermare – rappresenta dunque, già di per sé, un evento rimarchevole. Come accennato, l’impianto strutturale della sentenza allegata, che qui subito di séguito sinteticamente si riporta, ricalca quello del Tribunale e conduce ad affermare l’ammissibilità della clausola in discorso. Secondo la Corte, infatti, le diverse censure con cui è contestata la validità della «russian roulette» sono da stimarsi tutte infondate.

1.1 – Prima di tutto non può porsi in discussione la validità della clausola sotto il profilo della meritevolezza di interessi (art. 1322, 2 c.c.). In questa prospettiva non meritano, infatti, accoglimento le doglianze – che fanno da sfondo a tutto il ragionamento prospettato dall’appellante – relative al «risultato pratico» della clausola, da cui discenderebbe «una posizione di indebito vantaggio» per l’appellata.

Secondo la Corte depongono in senso contrario da un lato la considerazione – in realtà ormai da tempo superata in letteratura – per cui le clausole statutarie, per il loro rilievo organizzativo [e, per quanto qui interessa, la tesi è estesa dalla Corte alle pattuizioni parasociali dotate del medesimo “valore organizzativo” (in tema: RESCIO, La distinzione del sociale dal parasociale (: sulle c.d. clausole statutarie parasociali), in Riv. Soc., 1991, 596 ss.], sarebbero da considerarsi tipiche, quindi sottratte al sindacato di meritevolezza e soggette soltanto a quello di conformità legale; dall’altro il fatto che i rilievi mossi dall’appellante attengono tutti alla fase di esecuzione del rapporto, potendo conseguentemente rilevare semmai in sede di sindacato sull’abuso della clausola e non in prospettiva funzionale, che «va pur sempre riguardata ex ante alla stregua del programma contrattuale e non alla luce di accadimenti successivi estranei allo stesso».

1.2 – Nemmeno la clausola può poi essere censurata sul piano strutturale. L’affermazione dell’appellante, per cui la valutazione, come manifestazione di volontà di acquisto, del silenzio da parte del destinatario della dichiarazione diretta ad attivare il meccanismo antistallo (i.e: l’invito a esprimere la propria volontà di acquistare o vendere) «violerebbe la bilateralità della struttura dichiarativa», non corrisponde al vero. Di fatti, come è possibile nell’articolazione del procedimento di conclusione del contratto, la volontà delle parti è in questo caso espressa preventivamente, venendo la successiva condotta silente «a consolidare una precisa volontà già espressa con la sottoscrizione [a monte] del patto parasociale».

1.3 – E ancora valida è da stimarsi la clausola «anti-stallo» sotto il punto di vista dell’oggetto. Da questo angolo visuale, infatti, lo stesso meccanismo di funzionamento della clausola costituisce di per sé una garanzia in ordine alla non mera arbitrarietà della valutazione pur effettuata da una sola parte. Che, la messa a disposizione dell’oblato della scelta di comprare l’altrui partecipazione ovvero di vendere la propria per il medesimo prezzo «esclude in radice e con tutta evidenza la determinazione di un prezzo arbitrario».

1.4 – Si è poi nuovamente ribadita l’inestensibilità del principio di equa valorizzazione alla clausola in oggetto, nonostante le critiche proposte dall’appellante in merito. Tale principio, ad avviso della Corte, necessiterebbe di essere osservato solo con riguardo alle clausole – quali ad esempio quelle di «drag along» – che, oltre a prevedere dei meccanismi di exit forzato, si caratterizzano per il fatto che il valore corrisposto al socio uscente sia determinato dal socio che ha fatto ricorso alla facoltà prevista dalla clausola medesima. Il rispetto del principio di equa valorizzazione in tali ipotesi consente di contemperare i diversi interessi ad essa sottesi: agevolare la cessione della partecipazione del socio di maggioranza garantendo, al contempo, al socio di minoranza, che subisce l’uscita forza, di ottenere il valore reale della propria partecipazione (in tema: motivazione della Massima n. 88 del Consiglio Notarile di Milano; Massima n. 7/2013 del Consiglio Notarile di Roma; Orientamento societario H.I.19 del Comitato Notarile Triveneto; Trib. Milano, ord., 31 marzo 2008, in Società, 2008, 1373 ss.; Trib. Milano, Sez. VIII, decr., 22 dicembre 2014, in Società, 2015, 956 ss.). Viceversa, la funzione antistallo della russian roulette clause, unitamente al meccanismo ad essa intrinseco – tale per cui il destinatario dell’offerta ha facoltà di vendere o di acquistare al prezzo comunicatogli, a lui soltanto spettando la decisione ultima –, disattivano l’esigenza di estendere alla stessa il principio di equa valorizzazione.

Ad ulteriore conferma di tale conclusione, i giudici hanno peraltro evidenziato che la necessità di osservare tale principio a maggior ragione non ricorre ove la clausola sia contenuta in un patto parasociale, rispetto al quale le parti possono liberamente stabilirne il contenuto, stante la vigenza del principio di relatività degli effetti del contratto ex art. 1372, co. 1, c.c. (conformemente sul punto la motivazione della Massima n. 181 del Consiglio Notarile di Milano). La Corte, inoltre, condividendo l’opinione già sostenuta nella sentenza di primo grado, ha affermato che il parametro di equità, sulla base del quale valutare un eventuale utilizzo abusivo della clausola antistallo, debba essere individuato nel valore di liquidazione e non in quello di recesso (ex art. 2437-ter c.c.). Tale conclusione è apparsa condivisibile in quanto, in assenza della clausola, si giungerebbe allo scioglimento e alla conseguente liquidazione della società, sicché i soci avrebbero diritto soltanto alla quota di liquidazione (cfr. art. 2492 c.c.). Si è così ribadito che il rimedio per l’abuso sia costituito esclusivamente dalla facoltà di richiedere il risarcimento del danno, già essendo stata esclusa l’invalidità della clausola (v. 1.1).

1.5 – Nemmeno la clausola può peraltro essere censurata sotto il profilo di un ipotetico contrasto con il divieto del patto leonino (ex art. 2265 c.c.). La censura in merito proposta dall’appellante è apparsa priva di fondamento. In proposito, la Corte ha dato applicazione ad un consolidato orientamento giurisprudenziale (inaugurato da Cass., 29 ottobre 1994, n. 8927), secondo cui il divieto predetto risulta violato soltanto ove la previsione di esclusione dagli utili e/o dalle perdite sia «totale e costante».

Nel caso specifico della «russian roulette clause» non è mai possibile ravvisare alcuna esclusione totale e costante, ciò sia per la sua funzione che per la sua struttura. Da un lato, infatti, il meccanismo da essa previsto può essere attivato solo in situazioni di stallo, sicché il socio che avvia la procedura non può farvi ricorso a suo piacimento, così approfittandone per poter escludere l’altro socio dalla partecipazione agli utili. Dall’altro lato, finché la società risulta pienamente operativa, invece, ciascun socio partecipa senz’altro agli utili conseguiti e alle perdite subite.

A sostegno di quanto sostenuto, la Corte ha altresì invocato il recente e noto arresto di legittimità (Cass., 4 luglio 2018, n. 17498; contra App. Milano, 17 settembre 2014, in Giur. It., 2015, 898 ss.; App. Milano, 19 febbraio 2016, in Società, 2016, 691 ss.), in materia di clausole put a prezzo predeterminato, che ha ridefinito l’ambito di applicazione del divieto del patto leonino. In tale occasione, infatti, si è affermato che l’esclusione dagli utili e/o dalle perdite, quale situazione assoluta e costante, comporta la violazione di detto divieto solo nel momento in cui essa abbia efficacia reale nei confronti della società, andando così ad incidere sulla causa societatis. Tale aspetto, però, risulta certamente assente ove il trasferimento del rischio sia frutto di un accordo estraneo allo statuto sociale, in quanto intercorrente fra un socio ed un altro o un socio ed un soggetto terzo.

A maggior ragione, pertanto, una clausola antistallo prevista in un patto parasociale è apparsa, ad avviso dei giudici di secondo grado, inidonea ad interferire con la causa del contratto sociale.

1.6 – Parimenti priva di fondamento è apparsa la censura della appellante secondo cui la clausola sarebbe stata nulla per violazione dell’art. 2431-bis c.c., dal momento che la stessa, sanzionando il mancato rinnovo del patto parasociale con l’attivazione del meccanismo previsto per superare lo stallo, costringeva in tal modo le parti a rinnovarlo.

Anche a questo riguardo la Corte ha mostrato di condividere l’opinione già espressa dai giudici di primo grado, secondo cui la clausola non determinerebbe una costrizione, ma, nel prevedere quale trigger event il mancato rinnovo del patto parasociale, semplicemente svolgerebbe la funzione che le è propria, ovvero salvaguardare la piena operatività della società dalle ipotesi di stallo. Se, infatti, il patto parasociale tende ad una funzione di pianificazione della gestione sociale, il suo mancato rinnovo e la conseguente situazione di stallo sono inevitabilmente destinati ad influire sulla normale operatività della società medesima.

1.7 – Passando, infine, al piano del sindacato sull’«esercizio» della clausola – da stimarsi «abusivo» secondo l’appellante, per avere l’appellata sfruttato la propria posizione di superiorità economica – viene esclusa la condotta asseritamente opportunistica e contraria a buona fede da parte del socio che ha attivato la clausola. Nei fatti, secondo la Corte, non risulta possibile addebitare all’appellata, con l’intento di acquistare successivamente la partecipazione dell’altra socia ad un prezzo ribassato, la responsabilità in ordine alla determinazione dell’immobilismo della società partecipata. Lo suggerisce, in primo luogo, il fatto che la governance rappresentasse entrambi i soci in forma propriamente equilibrata. Lo suggerisce, ancora, il riparto legale di competenze fra proprietà e controllo, ché la gestione spetta esclusivamente agli amministratori e non ai soci (artt. 2364 n.5, 2380-bis c.c.). Lo conferma, inoltre, lo stesso comportamento della socia appellata in relazione alla prosecuzione del progetto per cui la società era stata costituita: non ostruzionistico, ma semmai sintomatico di una divergenza di vedute in ordine allo sviluppo imprenditoriale del progetto stesso (ciò che determina proprio la situazione di stallo che la clausola vuole superare).

1.8 – In questa stessa ottica, infine, non viene riconosciuta in testa alla socia appellata la responsabilità per «attività da direzione e coordinamento» (art. 2497, 1 comma c.c.). Appurato che la partecipazione paritaria, da cui discende la mancanza di una situazione di controllo, impedisce di far scattare la presunzione dell’art. 2497-sexies c.c., manca qualsiasi prova da parte dell’appellante in ordine all’effettività della presunta attività di direzione e coordinamento da parte del socio di controllo (MONTALENTI, Direzione e coordinamento nei gruppi societari: princìpi e problemi, in Riv. Soc., 2007, 317 ss.).

 

* Alla dott.ssa Gentile è da attribuire la stesura della massima rispetto ai punti 1.4., 1.5., 1.6.; al dott. Lentini i restanti.


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