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Giurisprudenza

Le ipotesi di nullità del contratto di swap analizzate dai Giudici di legittimità e di merito

22 Settembre 2016

Antonello Amari

Rassegna giurisprudenziale

Di cosa si parla in questo articolo

La giurisprudenza, in primis quella di merito, è ab illo tempore focalizzata nell’individuare le cause di nullità del contratto di swap, argomento che costituisce una querelle giurisprudenziale.

La ratio del presente lavoro, lungi dal soffermarsi nell’analizzare la natura del contratto Swap[1], è, dunque, inquadrare le fattispecie di nullità individuate ad oggi dalla giurisprudenza, partendo dall’analisi delle pronunce dei Giudici di legittimità e di merito, e, al contempo, evidenziando, là ove ricorrano, eventuali contrasti interpretativi interni alla predetta giurisprudenza.

Primo caso: eccessivo sbilanciamento dell’alea

La Corte d’Appello di Torino, con la recente pronuncia del 27 luglio 2016, n. 1725 ha affermato che il contratto di swap, per sua natura aleatorio, è nullo qualora l’alea non gravi su entrambi i contraenti. Il Giudice, infatti, chiosa “l’incertezza sull’andamento dei differenziali di entrambe le posizioni è, infatti, elemento essenziale del contratto in questione, pena la sua nullità e inefficienza”. Lo swap in cui la Banca faccia ricadere detto rischio sul solo cliente – assicurando, in ogni caso, a sé medesima l’esito vantaggioso dell’operazione – si scontra frontalmente con il disposto dell’art. 1322 c.c. Non può dirsi, infatti, che il contratto (atipico) così congegnato persegua, sul piano operativo, interessi meritevoli di tutela.

Il medesimo Giudice di merito, con pronuncia del 22 aprile 2016, aveva già in passato chiosato quanto segue: “La causa sottostante ad un negozio giuridico bilaterale va individuata in concreto e non già solo su un piano astratto. Sifatta tendenza corrisponde ad esigenze di tutela sottese all’ordinamento e nel contempo ad esigenze di verifica della realtà concreta, non essendo sufficiente uno schema, di natura atipica, individuato a monte per la verifica del contratto.

Affinchè non vi sia uno squilibrio fra le prestazioni consistenti nei reciproci pagamenti, da porsi in relazione con il differenziale a favore o a sfavore della banca secondo il superamento o meno del limite prefissato negozialmente è indispensabile che la partenza sia paritaria, senza valori negativi, già a monte dell’una o dell’altra parte.

In altri termini, se il contratto swap, presenta al momento della sua sottoscrizione un flusso negativo, viene a mancare la causa concreta del negozio il che non può che essere valutato ai sensi dell’art. 1418 c.c.

Il contratto risulta affetto già inizialmente da uno squilibrio, quando è ravvisabile una commissione implicita o occulta o un compenso maggioritario per la banca.

Sussiste una inscindibile connessione della causa con l’assolvimento dell’onere informativo, ovvero con la consapevolezza piena del cliente circa i rischi dell’operazione e le particolari connotazioni dello swap.

Incide sulla causa concreta sottostante al negozio giuridico l’occultamento di un valore negativo per il cliente stesso; la causale del contratto risulta sfalsata a livello obbiettivo, in quanto comporta uno squilibrio, non conosciuto e quindi rapportabile ad una falsa cognizione in capo al cliente della funzione stessa del contratto specifico” e “Nei contratti di swap, l’alea bilaterale, ossia l’incertezza sull’andamento dei due differenziali contrapposti, rappresenta un elemento essenziale della causa del contratto, elemento la cui effettiva presenza consente di effettuare con esito positivo, sul presupposto della sussistenza di un apprezzabile componente di rischio, non necessariamente equamente distribuito in capo ad entrambi i contraenti, il giudizio di meritevolezza ex articolo 1322 c.c. circa l’operazione atipica posta in essere.” (Tribunale di Roma 8 gennaio 2016).

Su tale solco si colloca, altresì, la sentenza n. 2244/15 della Corte d’Appello di Milano, secondo la quale, la nullità per difetto di causa del contratto di I.R.S. (anche di quello con funzione di “copertura”) può ricorrere soltanto quando l’alea connaturata al negozio sia ab origine unilaterale, addossando il rischio ad una soltanto delle parti (il cliente) e lasciandone sicuramente esente l’altra (la banca).

Irrilevante, al contrario, che il rischio, comunque dipendente da fattori estranei alla sfera di controllo degli stipulanti (nella fattispecie, la variazione dell’Euribor trimestrale), possa essere sopportato – nella fase esecutiva del negozio – in misura maggiore da uno dei contraenti.

In presenza dell’originaria alea bilaterale, parimenti ininfluente, quanto meno ai fini della validità del negozio, sarà poi l’accertamento di eventuali squilibri tecnico – conoscitivi fra le parti, derivanti della violazione, ad opera dell’intermediario, delle prescrizioni di cui alla Comunicazione D.I. 990013791 del 26.2.1999 della Consob (contenente l’elencazione delle condizioni necessarie a rendere lo strumento derivato idoneo a perseguire l’obiettivo di copertura).

Il Collegio, infatti, recita: “perché possa affermarsi la nullità dei contratti di Interest Rate Swap conclusi inter parte per difetto di causa ex art. 1814 c.c. – [omissis] – è necessario che la preclusione “a monte” del raggiungimento dello scopo di copertura risulti ex actis, ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, essendo i poteri officiosi del giudice limitati al rilievo della nullità e non intesi perciò ad esonerare la parte dall’onere probatorio gravante su di essa; (..) perché possa ritenersi sussistente tale ipotesi di nullità non è quindi sufficiente l’assenza di “evidenze interne” di un previo studio dello strumento derivato in rapporto alla concreta situazione finanziaria della società, in spergio alle prescrizioni imparterite in materia dalla Comunicazione D.I. 990013791 del 26.2.1999 della Consob [omissis], ma è necessario il positivo accertamento, secondo valutazioni ex ante, della inesistenza di qualsiasi rischio per [la Banca] a fronte di un rischio certo del [cliente]”. Con riguardo a tale ultimo aspetto, in particolare, viene affermato che la possibilità di un risultato negativo rientra infatti nella natura aleatoria del contratto di Interest Rate Swap. Secondo il Giudice di merito, quindi, nell’esaminare i contratti derivati, deve necessariamente prescindersi dalla valutazione in merito al risultato economico delle operazioni, giacché l’andamento del contratto “non dimostra affatto che i tassi fissi concordati fossero, già nelle previsioni, troppo alti rispetto alla curva dei tassi Euribor, così che la stessa [società cliente, ndr] avrebbe prevedibilmente dovuto pagare interessi costantemente superiori a quelli da pafarsi dal[la banca] in base all’andamento dell’Euribor”.

In parte consonante con le pronunce ora richiamate, la sentenza del Giudice di Taranto del 21 aprile 2014, nella quale si statuisce che: “nel contratto di interest rate swap solo la notevole sproporzione tra le alee assunte dalle parti l’assenza assoluta di alea per una delle parti può inficiare la causa del contratto, non invece una lieve sproporzione in favore della banca. Non è previsto da nessuna fonte legale, regolamentare o contrattuale che il rischio assunto dalle parti debba essere identico sul piano quantitativo e ciò che conta, ai fini della configurazione della liceità della scommessa è che sia reciproca e razionale ossia che le condizioni del contratto e i costi, anche in termini probabilistici, con riferimento agli eventi incerti cui sono ancorate le alee reciproche siano chiari e conosciuti dalle parti ex ante” e il Lodo Arbitrale del 10 febbraio 2015 (Presidente Nuzzo, Arbitri Picozzi e Rimini), nel quale, il Collegio, trattando della c.d. “alea unilaterale” nei contratti derivati, ha richiamato quanto sostenuto dalla Corte di Appello di Venezia (sentenza, 15 settembre 2015), nel quale era stato escluso che l’andamento dei tassi a debito per il cliente fosse elemento in sé idoneo a determinare la nullità del derivato: “l’andamento del mercato dei tassi che non ha comportato quei flussi finanziari che il cliente si attendeva non è circostanza di per sé significativa” e ciò “in quanto occorrerebbe allegare e dimostrare che il contratto escludesse in radice ogni concreta possibilità che il flusso finanziario potesse essere a favore del cliente”.

Secondo caso: mancata indicazione della facoltà di recesso

Il Giudice di merito di Roma, con sentenza del 13 aprile 2016, partendo dall’assunto che contratto di swap rientra nella categoria degli strumenti finanziari di cui alla lettera a) dell’articolo 30, comma 1, del TUF, ha statuito che nell’ipotesi in cui il predetto contratto venga concluso presso la sede del cliente, lo stesso dovrà contenere, a pena di nullità, l’indicazione della facoltà di recesso di cui ai commi 6 e 7 della citata disposizione normativa.

Nel senso della nullità per la mancata indicazione della facoltà di recesso, si pronuncia anche la Corte di Appello di Trento, con provvedimento del 5 marzo 2009: “L’eventuale nullità di un contratto di swap concluso fuori sede per mancanza dell’indicazione del diritto di recesso di cui all’art. 30 del T.U.F., travolge anche i successivi contratti di swap stipulati allo scopo di far fronte alle passività generate dai precedenti rapporti, dovendosi ritenere in tal caso sussistente un collegamento negoziale dovuto al nesso teleologico che lega i vari negozi ove la cessazione del precedente dipenda strettamente dalla stipula del successivo.”

Difforme la posizione assunta dal Giudice Torinese, con decisione del 20 gennaio 2016, n. 316: “E’ valido il contratto di interest rate swap che non preveda la facoltà di recesso ex art. 30 TUF laddove il contratto si sia perfezionato per posta presso la sede della Banca all’esito di una trattativa specifica.

La prescrizione della forma scritta del contratto quadro relativo alle operazioni di investimento può ritenersi rispettata anche nel caso in cui difetti la sottoscrizione dell’intermediario finanziario, poiché la funzione della norma è diretta alla certezza che il cliente abbia manifestato la volontà di concludere un contratto che menzioni quanto la legge prevede in ordine agli obblighi dell’intermediario finanziario e ai diritti del cliente.

In riferimento ai contratti swap, la parte non può dolersi a posteriori dell’esito svantaggioso dei suoi effetti dopo un iniziale giovamento degli stessi stante la funzione economico-sociale di sterilizzare il rischio di variazione del tasso di interesse Euribor mediante la previsione di un tasso fisso complessivo derivante da un contratto di leasing stipulato dalla parte con un soggetto terzo.

Spetta all’attore dimostrare di non essere un operatore qualificato e la possibilità della conoscenza di tale circostanza da parte della banca.”.

Con specifico riguardo alle ipotesi di offerte fuori sede, deve essere segnalata la recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. I, 1 giugno 2016, n. 11401) che chiarisce come la disciplina dell’offerta in esame, di cui all’art. 30 Testo Unico della Finanza, è applicabile solo ai singoli ordini di investimento, restando così escluso dalla sua operatività la conclusione del contratto che disciplina la prestazione dei servizi resi dall’intermediario finanziario. La Corte di Legittimità, partendo dal noto precedente reso dalle Sezioni Unite (Cass. Civ., Sez. Unite, 3 giugno 2013, n. 13905), spiega (e ribadisce) che “il diritto di recesso accordato all’investitore dal sesto comma dell’art. 30 T.U.F., e la previsione di nullità dei contratti in cui quel diritto non sia contemplato, contenuta nel successivo settimo comma, trovano applicazione non soltanto nel caso in cui la vendita fuori sede di strumenti finanziari da parte dell’intermediario sia intervenuta nell’ambito di un servizio di collocamento o gestione di portafogli individuali, prestato dall’intermediario medesimo in favore dell’emittente o dell’offerente di tali strumenti, ma anche quando la medesima vendita fuori sede abbia avuto luogo in esecuzione di un servizio d’investimento diverso, ivi compresa l’esecuzione di ordini impartiti dal cliente in esecuzione di un contratto quadro, ove ricorra la stessa esigenza di tutela”.

Terzo caso: nullità per difetto di causa concreta

Pregevole, sul punto, il Tribunale di Genova, con ordinanza del 30 novembre 2015:” Il contratto di Interest Rate Swap (IRS) è un contratto atipico, di natura aleatoria, caratterizzato dallo scambio, a scadenze prefissate, dei flussi di cassa prodotti dall’applicazione di diversi tassi ad uno stesso capitale di riferimento (c.d. nozionale).

L’aleatorietà si atteggia, tuttavia, in maniera differente a seconda della funzione in concreto perseguita dalle parti con la singola operazione, distinguendosi ipotesi in cui l’elemento aleatorio costituisce l’unica ragione determinante le parti alla stipulazione del negozio, da altre in cui esso costituisce solo una componente della più complessa causa contrattuale, rivestendo il contratto finalità ulteriori, quali quella di protezione o di copertura da rischi.

Tale situazione ricorre ove il contratto di IRS sia stipulato da un imprenditore che intenda tutelarsi dall’oscillazione dei tassi in riferimento ad un mutuo a tasso variabile.

Il contratto di swap assume in questo caso una precisa logica che lo avvicina alla causa assicurativa: la causa in concreto è dunque quella di cautelarsi da un rischio preesistente, costituito per il cliente dal fatto di essere esposto all’incertezza dell’oscillazione dei tassi.

Laddove invece non esista alcun rischio preesistente ed il contratto sia stipulato, quindi, a scopo puramente speculativo, esso è assimilabile alla scommessa.

L’andamento svantaggioso per il cliente verificatosi ex post non è rilevante per la validità del contratto: il contratto deve ritenersi invalido solo quando ex ante sia del tutto irrealistica la previsione di andamento dei tassi favorevoli all’investitore, tali da eliminare del tutto l’alea.” e, conforme a tale indirizzo interpretativo “In materia di interest rate swap la dimostrazione di carenza originaria (ex ante) della causa del contratto non può inferirsi dal fatto che, durante il periodo di esecuzione, il differenziale da liquidare periodicamente in relazione allo strumento derivato sia stato concretamente pressoché sempre a sfavore del cliente investitore. Il riscontro di tale andamento del differenziale integra una mera constatazione ex post inerente alla convenienza economica dell’operazione così come concretamente sviluppatasi per effetto dell’andamento dei tassi di mercato.” (Tribunale di Taranto, 10 marzo 2015).

Con riferimento, in particolare, allo Swap speculativo, la giurisprudenza risulta divisa in due orientamenti: secondo una prima interpretazione[2], lo swap in commento deve intendersi nullo, come espresso anche dal Tribunale di Cosenza, dott. Massimo Lento, del 18 luglio 2014 che ha ravvisato la causa concreta degli swap, secondo gli interessi riferibili ai contraenti, nella funzione speculativa o di copertura che caratterizza, caso per caso, lo strumento finanziario. Così ragionando, si è giunti alla conclusione che, qualora l’investitore abbia concluso lo swap per soddisfare specifiche esigenze di copertura e quest’ultimo, per come strutturato dall’intermediario finanziario, si presenti quale negozio essenzialmente speculativo, tale contratto debba considerarsi nullo per mancanza di causa in concreto (Trib. Monza, 17 luglio 2012; Trib. Ravenna, 8 luglio 2013). Si è sostenuto, cioè, che lo swap debba ritenersi nullo, per difetto genetico della causa, quando l’intermediario, nel configurare il contenuto del negozio, faccia in modo di assicurarsi, fin dal principio, un risultato a lui favorevole, eliminando, così, quella bilateralità dell’alea che dovrebbe caratterizzare, sotto il profilo strutturale, l’intera operazione finanziaria.

Secondo altro orientamento, avallato da copiosa giurisprudenza di merito, la causa esiste ed è lecita (recte, meritevole ex art.1322 cc) e va individuata nell’alea accettata dalle parti in relazione allo scambio di due rischi connessi, che, assunti dai due contraenti, derivano dalla vicendevole entità degli importi che matureranno a carico di ciascuno, e quindi dei differenziali che potranno risultare a carico o a favore di ciascuno (ciascuno assume il rischio che il proprio parametro vari in termini a sé sfavorevoli, e favorevoli alla controparte, che quindi risulti a suo carico il differenziale, e non a suo favore) (cfr. ex plurimis Tribunale di Milano, Dott. Francesco Ferrari, 23 giugno 2014).

Sul punto, anche il Tribunale di Torino, Dott. Silvia Vitro con sentenza del 24 aprile 2014, ha ritenuto che il contratto di I.R.S. “ha una precisa logica che impedisce di ritenerlo privo di causa, ed è irrilevante che i tassi di interesse stabiliti, in concreto, si siano rivelati lontani da quelli di mercato, rientrando ciò nell’alea tipica del contratto.”.

Giova segnalare, inoltre, che un nuovo orientamento giurisprudenziale, è proclivo a ravvisare negli swap, siano essi speculativi o di copertura, negozi provvisti di causa lecita e meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico (v. Trib. Verona, 25 marzo 2013).

Si consideri, che già nel 25 ottobre 2013, il Tribunale di Roma, IX Sez., Pres. Tommaso Marvasi, Est. Giuseppe Russo, ha affermato che “la natura aleatoria dei contratti di swap non è certamente di per sé incompatibile con l’esistenza e la liceità della loro causa anche quando hanno finalità speculative e non di copertura“. Secondo il Tribunale, infatti, il contratto di swap è connaturato astrattamente da una finalità di copertura, salvo il caso in cui si verifichi una impossibilità circa il perseguimento in concreto dello scopo a causa degli esborsi sostenuti dall’investitore nella fase esecutiva del rapporto.”.

Conferma recente di tale tesi proviene dalla Corte di Appello di Milano, I sez., decisione del 3 marzo 2016: “Concludere contratti derivati sempre più speculativi non incide sulla liceità della causa, considerando che i derivati sono contratti riconosciuti dall’ordinamento come tipicamente aleatori e che l’investitore ben potrebbe, quale alternativa alla rinegoziazione, interrompere il rapporto e saldare il debito.” e dal Tribunale di Torino, 20 gennaio 2016, n. 316, che chiamato, tra l’altro, ad accertare e dichiarare la nullità e/o invalidità di uno swap (stipulato a copertura del tasso variabile di un contratto di leasing) per assenza di causa, ha ricordato come lo swap, in quanto contratto tipicamente “aleatorio” espone di per sé le parti ad un rischio di perdita, e che, per l’effetto, la sua natura assicurativa o speculativa non può essere valutata in riferimento alle oscillazioni dei tassi successive alla stipula.

Quarto caso: mancata indicazione del MtM (Mark to Market)

Sulla causa di nullità de qua, si è pronunciato il Tribunale di Milano in data 9 marzo 2016, chiosando “La componente aleatoria è intrinseca alla natura dei contratti di swap e caratterizza sia il derivato di copertura sia il derivato speculativo. L’eventuale sbilanciamento delle alee, ossia una sproporzione tra il rischio assunto dal cliente rispetto al rischio assunto dalla banca, non incide sulla validità del contratto purché ciascuna delle parti, scommettendo, si assuma un grado (anche sbilanciato) di rischio.

La mancata conoscenza e conoscibilità in capo a una delle parti di elementi del contratto che vanno a influire sulla portata e sull’eventuale squilibrio dell’alea non incide negativamente sotto il profilo della causa del contratto, e, conseguentemente, della sua nullità, quanto piuttosto sotto il differente profilo della violazione degli obblighi informativi gravanti su una delle parti e operanti in forza dell’art. 21 TUF, con conseguente possibile risoluzione del contratto per inadempimento dell’intermediario che non abbia fornito al cliente tutte le informazioni concernenti gli elementi idonei a incidere sull’andamento aleatorio del contratto, precludendogli di valutare correttamente la rischiosità della scommessa contratta (cd. alea razionale).

 Il Mark to Market[3] è una particolare espressione dell’oggetto del contratto, destinata ad operare con riferimento ad alcune vicende contrattuali predeterminate dalle parti, ossia la scelta di una di esse di dare chiusura anticipata al rapporto, piuttosto che altri casi di necessaria interruzione anticipata. Pertanto, dovendo tutte le componenti dell’oggetto del contratto essere determinate o quanto meno determinabili, pena la nullità del contratto stesso, è necessario che nel contratto venga indicato il metodo di calcolo di tale valore.”. Concordi nel riconoscere, pena nullità, obbligo di indicazione del Mark to Market nel contratto, anche i seguenti Giudici di merito: Tribunale Milano, 7 luglio 2016 “(…)Dovendo l’oggetto del contratto e, quindi, tutte le sue componenti, essere determinate o quanto meno determinabili, pena la nullità del contratto stesso, è necessario che nel regolamento contrattuale venga indicato il metodo di calcolo di tale valore; in difetto, risolvendosi la quantificazione dell’MtM in una determinazione di una delle parti (la banca), non verificabile dall’altra, deve concludersi come esso non risulti determinabile, implicando la nullità dell’intero contratto ex art. 1418 c.c.”; Tribunale di Milano n. 7389 del 16 giugno 2015 “l’MtM è una particolare espressione dell’oggetto del contratto, destinata a operare con riferimento ad alcune vicende contrattuali dalle parti predeterminate (ossia la scelta di una di esse di dare chiusura anticipata al rapporto, piuttosto che altri casi di necessaria interruzione anticipata, come ad esempio i casi previsti nei contratti in esame di ammissione a procedure concorsuali della cliente o a procedura di liquidazione coatta della banca). In tali casi, quindi, l’oggetto del contratto, costituito dal differenziale dei contrapposti flussi finanziari, viene determinato attraverso il Mark to Market, il quale, rappresentando una sua specifica modalità di espressione, è esso stesso l’oggetto del contratto. Ciò appare indirettamente confermato dallo stesso legislatore, là dove all’art. 2427 bis c.c. ha previsto che le società debbano nella nota integrativa di bilancio indicare il fair value del contratto derivato, cioè il valore in sé del contratto (ossia l’MtM); tale previsione normativa, infatti, conferma come il Mark to Market, lungi dal configurarsi solo come elemento eventuale del contratto, sia piuttosto una componente necessaria del suo oggetto, tanto da dover essere esplicitata in sede di bilancio."; Corte d’Appello di Bologna, 11 marzo 2014, n. 734: “(…) in nessuno dei contratti appare la determinazione del valore attuale degli stessi al momento della stipulazione (c.d. mark to market), che una attenta e condivisibile giurisprudenza di merito (cfr. App. Milano, 18 settembre 2013) ritiene elemento essenziale dello stesso, ed integrativo della sua causa tipica (un’alea razionale e quindi misurabile), da esplicitare necessariamente e indipendentemente dalla finalità di copertura (hedging) o speculativa), così come i costi impliciti e i criteri con cui determinare la penalità in caso di recesso”; Corte d’Appello Milano, 18 settembre 2013 “La circostanza che, al momento della conclusione del contratto, l’investitore non conosca il c.d mark to market e che questo elemento non rientri nel contenuto dell’accordo, comporta la radicale nullità dei contratti di interest rate swap, perché esclude che l’investitore abbia potuto concludere la "scommessa" conoscendo il grado di rischio assunto, laddove, per contro, l’intermediario aveva perfetta conoscenza del proprio rischio avendolo misurato scientificamente e su di esso predisposto lo strumento finanziario. La mancata indicazione del mark to market consente, inoltre, all’intermediario (il quale, in base al contratto quadro, è anche un mandatario oltre che controparte della scommessa) di occultare il suo compenso, rappresentato dai c.d. costi impliciti, all’interno delle condizioni economiche dell’atto gestorio. Il che determina la nullità del contratto derivato anche in ragione del difetto di accordo su un requisito essenziale del compenso ai sensi dell’articolo 1709 c.c, il quale dispone che, nel mandato oneroso, il compenso del mandatario sia consapevolmente stabilito dalle parti e quindi non occultato fra le condizioni economiche predisposte dal mandatario[4]. Il compenso deve, quindi, essere determinato nel contratto o determinabile in virtù di un criterio (modello matematico di pricing) condiviso ex ante dall’intermediario e dal cliente. (…) Nei contratti di interest rate swap, la mancata esplicitazione del modello matematico di pricing e del market to market rende arbitraria la stessa liquidazione degli importi richiesti a titolo di corrispettivo del recesso, proprio perché siffatta liquidazione appare il frutto di una quantificazione unilaterale da parte dell’intermediario, del tutto slegata da criteri predeterminati nei contratti. Allo stesso modo, l’assenza del mark to market e degli scenari probabilistici rende del tutto priva di giustificazione causale la clausola che contempla l’eventuale erogazione del c.d. up front in quanto anche la misura in cui il finanziamento contribuisce ad integrare il riequilibrio del valore iniziale del derivato incide sulla causa dello stesso.”.

Difformi sul punto: Tribunale di Taranto, 10 marzo 2015 “La dimostrazione della nullità dei contratti di IRS per l’originario squilibrio delle prestazioni (difetto della causa concreta), non può derivare semplicemente dalla mancata specificazione al momento della conclusione del contratto del c.d. mark to market oppure delle penalità in caso di recesso, sia perché l’indicazione del mark to market non è imposta espressamente dalla disciplina di legge quale elemento costitutivo dell’accordo di IRS, sia perché esso non esprime un valore concreto ed attuale, ma esclusivamente una proiezione finanziaria basata sul valore teorico di mercato del contratto in caso di risoluzione anticipata dello stesso, presentandosi pertanto quale elemento esterno alla struttura del contratto, ed integrando sostanzialmente una valutazione previsionale sull’andamento dei tassi sottostanti l’operazione durante la vita del derivato.”; Trib. Milano, 22 dicembre 2015, n. 14622 “ (…) il mark to market rappresenta il valore del derivato in un dato momento, secondo una proiezione fondata sulle aspettative del mercato ed è quindi un elemento variabile e non essenziale del contratto, che può rilevare sul piano dell’informativa che l’intermediario deve dare al cliente, ma che non appartiene alla causa del contratto”; Tribunale di Genova, ord., 30 novembre 2015, secondo cui “il differenziale dei contrapposti flussi finanziari, determinato attraverso il Mark to Market non è l’oggetto del contratto ma l’espressione del suo valore in un determinato momento; il fatto poi che tale valore, proprio perché mutevole nel tempo, debba essere esplicitato nella nota integrativa in base alla previsione di cui all’art. 2427 bis c.c. non vale a costituirlo come oggetto del contratto”; Lodo Arbitrale del 10 febbraio 2015 “Il MtM [Mark to Market] non costituisce oggetto del contratto; si tratta di un valore che viene dato al contratto derivato in un determinato momento della sua vita, sulla base di stime previsionali che di per sé non comportano una perdita monetaria né un obbligo di pagamento delle parti”.

Quinto caso: nullità degli Swap per difetto di qualità e/o qualifica di operatore qualificato da parte del cliente

Ulteriore profilo di nullità dei contratti derivati swap discende dal difetto di qualità e/o di qualifica di “operatore qualificato” del cliente che, nella maggior parte dei casi, non possiede sufficiente conoscenza delle dinamiche dei mercati finanziari e delle informative previste dal regolamento Consob e dal T.U.F. In materia, si segnala la recente pronuncia del Giudice di merito di Bari, del 8 marzo 2016, n. 1284: “Ai fini della attribuzione della categoria di operatore qualificato, è sufficiente l’espressa dichiarazione per iscritto da parte dello stesso (società o persona giuridica) di disporre della competenza ed esperienza richieste in materia di operazioni in valori mobiliari la quale esonera l’intermediario dall’obbligo di ulteriori verifiche, in mancanza di elementi contrari emergenti dalla documentazione già in suo possesso” conclusione alla quale il predetto Giudice di merito perviene dopo aver richiamato l’art. 31, co.1 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998 che recita testualmente “A eccezione di quanto previsto da specifiche disposizioni di legge e salvo diverso accordo tra le parti, nei rapporti tra intermediari autorizzati e operatori qualificati non si applicano le disposizioni di cui agli articoli 27, 28, 29, 30, comma 1, fatta eccezione per il servizio di gestione, e commi 2 e 3, 32, commi 3, 4 e 5, 37, fatta eccezione per il comma 1, lettera d), 38, 39, 40, 41, 42, 43, comma 5, lettera b), comma 6, primo periodo, e canna 7, lettere b) e c), 44, 45, 47, comma 1, 60, 61 e 62. Per operatori qualificati si intendono gli intermediari autorizzati, le società di gestione del risparmio, le SICAV, i fondi pensione, le compagnie di assicurazione, i soggetti esteri che svolgono in forza della normativa in vigore nel proprio Stato d’origine le attività svolte dai soggetti di cui sopra, le società e gli enti emittenti strumenti finanziari negoziati in mercati regolamentati, le società iscritte negli elenchi di cui agli articoli 106, 107 e 113 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, i promotori finanziari, le persone fisiche che documentino il possesso dei requisiti di professionalità stabiliti dal Testo Unico per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione mobiliare, le fondazioni bancarie, nonché ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante”. Al riguardo, anche la Cassazione, con la sentenza n. 12138 del 2009, ha sancito che “in tema di contratti di intermediazione mobiliare, ai fini dell’appartenenza del soggetto che stipula il contratto con l’intermediario finanziario, alla categoria degli operatori qualificati, è sufficiente l’espressa dichiarazione per iscritto da parte dello stesso (società o persona giuridica) di disporre della competenza ed esperienza richieste in materia di operazioni in valori mobiliari la quale esonera l’intermediario dall’obbligo di ulteriori verifiche, in mancanza di elementi contrari emergenti dalla documentazione già in suo possesso; pertanto, salvo allegazioni contrarie in ordine alla discordanza tra contenuto della dichiarazione e situazione reale, tale dichiarazione può costituire argomento di prova che il giudice può porre alla base della propria decisione, ex art.116 c.p.c., anche come unica fonte di prova, restando a carico di chi detta discordanza intenda dedurre l’onere di provare circostanze specifiche dalle quali desumere la mancanza di detti requisiti e la conoscenza da parte dell’intermediario delle circostanze medesime o almeno la loro agevole conoscibilità in base agli elementi obiettivi di riscontro”.

Gli Ermellini, con la decisione 24 febbraio 2016, n. 3624 hanno compiutamente definito la portata degli obblighi informativi gravanti in capo all’intermediario “si può convenire con la generale affermazione che l’informazione dell’intermediario circa i titoli deve essere specifica, non solo al momento della conclusione del contratto- quadro, ma anche in quello della sottoscrizione dei singoli ordini (cfr. Cass. 19 febbraio 2014, n. 3889): tuttavia, la ratio sottesa al principio palesa come esso non si adatti all’ipotesi in cui i connotati di rischio siano definibili ex ante e non appartengano, invece, ad ogni singola scelta di investimento o al valore intrinseco di un titolo, ma proprio al meccanismo contrattuale, riguardante prodotti tutti uniformemente ad elevato rischio (come gli strumenti finanziari derivati su titoli, merci e indici di mercati regolamentati); per questi, allora, l’informazione è rispettosa delle norme predette laddove sia chiara ed inequivoca in ordine alla natura ed alle caratteristiche di rischiosità di quel genere di operazioni a struttura speculativa. Ciò dipende, in altri termini, dalla natura stessa delle operazioni in derivati, dove, assai più che il singolo cd. sottostante, il cliente deve comprendere i rischi per definizione connessi al tipo di operazione: il rischio, infatti, è suscettibile di essere influenzato dal meccanismo di questa, onde la banca ha l’obbligo di spiegarlo compiutamente. Ed è proprio a tale esigenza che risulta volta la stipulazione di un secondo contratto, avente specificamente ad oggetto le operazioni in strumenti derivati, che dettagliatamente ne chiarisca il funzionamento”, tenendo fermo, altresì, il principio espresso dalla medesima sezione, in data 8 gennaio 2016, n. 8733 secondo il quale “L’obbligo di illustrare all’investitore le ragioni dell’inadeguatezza va relativizzato alle qualità del medesimo, esattamente come avviene per la valutazione dell’adeguatezza dell’acquisto: ed al riguardo la corte territoriale ha bene e diffusamente spiegato come l’investimento in titoli dello Stato argentino fosse del tutto proporzionato all’entità e alla composizione degli investimenti di un operatore finanziario molto attento”.

Il cliente, quindi, non può contestare l’inadempimento della banca e il contenuto della segnalazione di inadeguatezza qualora, attesa la sua ampia esperienza nel mercato mobiliare, avrebbe potuto comprendere (in via autonoma) la rischiosità dell’investimento ed astenersi dall’acquisto.

In tema di onere della prova, e relativi contenuti, pregevole è la recentissima sentenza, sempre della Cass. Civ., I sez., 19 agosto 2016, n. 17194: “spetta dunque anzitutto all’investitore dedurre l’inadempimento consistente nella violazione degli obblighi informativi ai quali l’intermediario finanziario è tenuto, con conseguente collocazione a carico dello stesso intermediario finanziario dell’onere probatorio di avere esattamente adempiuto, nei termini previsti dalla normativa applicabile ed in relazione all’inadempimento così come dedotto. Dopo di che grava sul cliente investitore l’onere della prova del nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno: onere della prova la cui osservanza, versandosi in ipotesi di causalità omissiva, va scrutinata, in ossequio alla regola del «più probabile che non» (ex multis Cass. 22 ottobre 2013, n. 23933; Cass. 21 luglio 2011, n. 15991), attraverso l’impiego del giudizio controfattuale (p. es. Cass. 14 febbraio 2012, n. 2085; Cass. 19 novembre 2004, n. 21894) e, cioè, collocando ipoteticamente in luogo della condotta omessa quella legalmente dovuta, sì da accertare, secondo un giudizio necessariamente probabilistico condotto sul modello della prognosi postuma, se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole” e “Con speciale riguardo alla violazione degli obblighi informativi gravanti sulla banca, la deduzione dell’inadempimento deve necessariamente tradursi nella pur sintetica ma circostanziata individuazione delle informazioni che la banca avrebbe omesso di fornire, dovendo il giudice, nello scrutinare siffatto inadempimento, attenersi ai fatti che l’attore ha posto a fondamento della domanda. E l’osservanza dell’onere di deduzione ha da essere sufficientemente delineata per una duplice ragione: i) sia perché essa si collega all’onere della prova del nesso di causalità tra inadempimento e danno, gravante sullo stesso cliente, attraverso il giudizio controfattuale di cui si è detto; ii) sia perché essa è necessaria al fine di consentire alla banca di provare il proprio adempimento, prova che va rapportata al ventaglio di informazioni che l’investitore ha lamentato di non aver ricevuto”. Conforme la decisione della medesima sezione, del 21 marzo 2016, n. 5514, “l’investitore deve allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonché fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico”. Con particolare riferimento alla prova presuntiva del nesso causale la Corte di Legittimità ricorda che: “grava altresì sul cliente investitore l’onere della prova del nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno: onere della prova la cui osservanza, versandosi in ipotesi di causalità omissiva, va scrutinata in ossequio alla regola del «più probabile che non» […] collocando ipoteticamente in luogo della condotta omessa quella legalmente dovuta, sì da accertare, secondo un giudizio necessariamente probabilistico condotto sul modello della prognosi postuma, se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole”.

La Suprema Corte ha altresì precisato che il nesso causale tra danno e inadempimento degli obblighi informativi deve essere valutato avendo riguardo al profilo di rischio e all’esperienza finanziaria dei clienti, in quanto l’investitore avente un certo grado di conoscenza finanziaria (in forza dei precedenti acquisti oppure per motivi di lavoro/professionali) non può lamentare l’inadempimento informativo della banca laddove i prodotti contestati siano similari ad altri già detenuti in portafoglio o, comunque, conosciuti per sua esperienza diretta (Cass. Civ., Sez. I, 11 aprile 2016, n. 7067).

Conclusioni

Tirando le somme di quando sinora esposto, non può che convenirsi che con specifico riguardo alle ipotesi di nullità per difetto di causa in concreto e/o per eccessivo sbilanciamento delle alee, la querelle giurisprudenziale, menzionata in apertura lavori, è ancora ad oggi aperta e ben lungi dal chiudersi. Il dibattito sulla natura da riconoscersi al contratto di swap, se avente, appunto, natura aleatoria o se assimilabile al gioco e/o scommessa, con tutte le implicazioni che ne derivano nell’uno e nell’altro caso, è ancora aperto, come evincibile dalla copiosa giurisprudenza che oscilla propendendo prima per un orientamento, e poi per l’altro, spettando, quasi, all’operatore del diritto decidere quale interpretazione preferire.

Il discorso muta radicalmente per quanto concerne, invece, le altre cause di nullità analizzate nelle pagine precedenti del presente lavoro. La giurisprudenza di legittimità e di merito prodotta in tale sede, per quanto non esaustiva dato il ragguardevole numero di decisioni succedutesi nelle materie esaminate, a parere di chi scrive, sembra oramai essere giunta ad un orientamento “granitico”. È questo il caso della nullità degli Swap per difetto di qualità e/o qualifica di operatore qualificato da parte del cliente, dove, soprattutto il Giudice di legittimità, ha assunto salda posizione anche con riferimento a quegli aspetti connessi alla causa di nullità in esame, quali la nozione di operatore qualificato, il nesso causale tra danno e inadempimento degli obblighi informativi, onere della prova e relativi contenuti, la portata degli obblighi informativi gravanti in capo all’intermediario.

Venendo alla mancata indicazione della facoltà di recesso e del MtM, quali ulteriori cause di nullità dello swap, anche in tale occasione, si deve rilevare che la giurisprudenza, avallata dalle recenti pronunce della Cassazione, appare esser pervenuta ad un sicuro approdo, pur dovendosi rilevare che, con riferimento specifico all’omessa esplicitazione del MtM, permane un orientamento pressoché minoritario che là ove ricorra tale omissione, esclude la nullità dello swap.



[1] Sulla natura aleatoria del derivato finanziario e sulla sua eventuale natura di scommessa razionale, vedasi DERIVATI: quale rapporto con la fattispecie del “gioco e scommessa”? e DERIVATI: l’aleatorietà e la causa tipica del contratto. Entrambi gli articoli, redatti dallo Scrivente, sono consultabili sul sito www.expartecreditoris.it

[2] Tra i tanti, Cass. 10490/2006; Cass. 3a Sez. Civ., 08.05.2006, n. 10490; Tribunale Civile di Torino del 17 gennaio 2014, I^ sez., est. Martinat, pubblicata su Il Caso.it, sez. Giurisprudenza, 9949; Tribunale di Bari con ordinanza 15.07.2010 pubblicata su Il Caso.it, sez. Giurisprudenza; Corte d'Appello di Trento, n. 141 del 3 maggio 2013; Appello Milano 18 settembre 2013 pubblicata su IL CASO.it, Sez. Giurisprudenza, 9487; Tribunale di Monza, 17.07.2012, n. 2028; Trib. Monza, 14.06.2012, n. 2028; Trib. Bari, ord., 05.01.2012;

[3] Sul concetto di Mark to Market, vedi Cassazione Civile, Sez. II, 11 maggio 2016, n. 9644 e Cass., Sez. II, 8 luglio 2016, n. 14059.

[4] Sul punto vedasi la recente sentenza del Tribunale di Milano, 12 maggio 2016, n. 6001.

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