La recente sentenza n. 767 della Corte d’Appello di Torino, depositata il 28.02.2014 – pres. dott. Luigi Grimaldi, cons. rel. dr.ssa Federica La Marca – ha definitivamente fatto luce in merito agli obblighi di informazione che gravano in capo all’intermediario in occasione di negoziazione dei bond Lehman Brothers delineando in modo convincente i due principi guida che devono sorreggere la valutazione, da parte dell’Autorità Giudicante, della diligenza da parte dell’intermediario.
La sentenza citata merita una particolare attenzione in quanto affronta la vicenda relativa al fallimento Lehman Brothers discostandosi con evidenza dai precedenti giurisprudenziali che, seppur favorevoli all’investitore, hanno affrontato la questione in modo più ordinario.
La sentenza della Corte Torinese appare invece del tutto innovativa in quanto chiarisce senza alcun indugio un primo principio determinante: ai fini della valutazione dell’adempimento da parte delle Banca all’obbligo di informazione specifica da adempiersi al momento dell’investimento, deve innanzitutto essere accertata l’informativa sul cd. “rischio emittente”.
In generale per “rischio emittente” si intende il rischio legato all’affidabilità dell’emittente dei titoli negoziati nonché alla sua capacità di rimborsare gli interessi e/o ilcapitale avuto a prestito. Maggiore è la difficoltà economica in capo all’emittente, maggiore è la volatilità a cui va incontro l’obbligazionista.
Un rischio emittente elevato è normalmente pagato da un maggior rendimento del titolo.
L’investitore deve essere consapevole della maggiore possibile volatilità del titolo e della necessità che esso venga costantemente monitorato onde prevenirne ogni possibile deprezzamento.
Il “rischio emittente” è condizionato non solo dall’andamento finanziario dell’emittente stesso, ma anche dalla natura di quest’ultimo. È notorio che i cd. corporate bond, obbligazioni che possono essere erogate da banche, aziende o società private con lo scopo di finanziarsi e ottenere così una maggiore disponibilità di liquidità, sono maggiormente rischiose se paragonate ai titoli di stato.
Questi infatti sono titoli di debito pubblico che offrono maggiori garanzie, essendo lo Stato una realtà molto più grande di una società che opera sul mercato. È difficile , infatti, che uno Stato sovrano possa fallire.
Ne consegue che anche dalla presunta capacità di assolvere ai propri impegni deriva il concetto dirischio.
Tali considerazioni, che aiutano a comprendere il significato valevole in via generale del “rischio emittente”, applicabili a qualsiasi obbligazione di fonte privata e/o pubblica, debbono essere svolte anche in riferimento alle obbligazioni Lehman Brothers negoziate alla platea degli investitori italiani come obbligazioni a basso rischio/basso rendimento inserite nel cd. Listino Patti Chiari.
Tuttavia il “rischio emittente” della Banca americana fallita il 15.09.2008, oltre a presentare le caratteristiche generiche e oggettive appena menzionate, ne presenta una ulteriore ancorata alla particolare tipologia di Banca di cui trattasi e al particolare contesto finanziario nella quale la stessa operava.
Osserva infatti il Giudice della Corte Piemontese che doveva costituire oggetto di ulteriore e specifica informativa “il fatto che l’emittente delle obbligazioni fosse una banca d’affari, di nazionalità statunitense” non assimilabile alle “banche miste italiane” nient’affatto dedite in via esclusiva alla gestione di operazioni finanziarie speculative.
In materia è necessario distinguere tra banche che si limitano alla raccolta e gestione del risparmio, quelle che in aggiunta a tale attività operano anche nel settore dell’investimento e quelle che, invece, operano esclusivamente nell’ambito finanziario. Le differenze che intercorrono tra le varie tipologie di banche non riguardano solo l’oggetto dell’attività di ciascuna, ma anche il livello di garanzie connaturato alle stesse; secondo la normativa italiana operante in materia, ad esempio, le banche italiane debbono avere delle riserve monetarie.
Senza considerare che secondo la regolamentazione bancaria vigente in Italia l’operato delle banche è controllato dalla Banca d’Italia.
Ciò premesso, come puntualmente osservato dalla Corte, la banca di investimento internazionale Lehman Brothers non è certo assimilabile alla banche italiane, non presentando le stesse garanzie e trattandosi di una banca d’affari nota tra gli operatori più sofisticati nei mercati finanziari internazionali riguardo all’operatività in strumenti estremamente speculativi come, ad esempio, i derivati.
La stessa fu artefice di complicate operazioni finanziarie; tra quelle più speculative e rischiose si rammenta l’acquisto massiccio dei cd. mutui subprime -colpevoli della grave crisi economica americana risalente al 2007/2008- utilizzati poi dalla Banca quali garanzie per la costruzione di complicatissimi derivati.
La sentenza della Corte d’Appello di Torino, redatta dal consigliere dr.ssa Federica La Marca, ha il merito di porre l’attenzione, per la prima volta, su un fattore estremamente importante nella vicenda Lehman Brothers che ha coinvolto migliaia di risparmiatori italiani.
Così si pronuncia la Corte Torinese: “Risulta pertanto corretta la motivazione del primo giudice là dove afferma come non sia stato provato che la banca abbia fornito informazioni specifiche circa il fatto che l’emittente delle obbligazioni in parola fosse una banca d’affari, di nazionalità statunitense (…). Dunque non soltanto il cliente non è stato informato del rischio “emittente” che sempre comporta l’acquisto delle obbligazioni corporate, ma neppure è stato informato della tipologia particolare della banca emittente, non assimilabile alla tipologia delle banche miste italiane, trattandosi esclusivamente di una banca d’affari”.
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A completamento dell’analisi compiuta in sentenza, la Corte territoriale Piemontese sancisce un ulteriore fondamentale principio.
La Corte Piemontese smentisce categoricamente la tesi difensiva comunemente adottata dalle banche intermediarie convenute nei giudizi di cui trattasi, chiarendo definitivamente come l’assegnazione ai titoli Lehman di un rating alto e la circostanza della loro inclusione nell’elenco predisposto dal Consorzio Patti Chiari non siano di per sé esaustivi e non esonerino l’intermediario dall’obbligo di fornire precise informazioni che lo stesso è tenuto a possedere e conoscere in quanto “operatore qualificato” sul mercato mobiliare.
Nella vicenda Lehman Brothers le banche che hanno negoziato con la platea degli investitori italiani gli omonimi titoli obbligazionari, al fine di esimersi dalle proprie responsabilità, si sono sempre “trincerate” dietro al fatto che trattavasi di titoli con un indice di solvibilità, cd. rating, estremamente alto, inserite nel Listino redatto dal Consorzio Patti Chiari il quale comprendeva solo obbligazioni a basso rischio e, dunque, a basso rendimento (cd. Listino OBBRR).
Il Giudice Piemontese censura e critica puntualmente tale tesi difensiva così pronunciando: “In ogni caso va rilevato che ancorché i titoli in questione siano stati ricompresi fra quelli dell’elenco “Patti Chiari” sino praticamente al default e anche il rating attribuito al titolo non sia variato nel tempo, appare evidente come tali elementi non possano di per sé costituire motivo di esonero dalla responsabilità dell’intermediario.
Quanto al primo profilo infatti correttamente il primo giudice ha rilevato come l’inserimento del titolo nell’elenco “Patti Chiari” non comporta alcun affievolimento degli obblighi informativi dell’intermediario; se è vero infatti che l’inserimento in tale elenco è senz’altro dipeso dall’ottimo rating dei titoli in questione, è altrettanto vero che la situazione critica dell’economia statunitense ed in particolare delle banche americane quantomeno dall’estate 2008 era nota e ciononostante il rating non era mutato né il titolo era stato escluso dall’elenco di cui sopra; appare dunque evidente come gli elementi riportati non possono sempre considerarsi indice di assoluta sicurezza del titolo e soprattutto come, in ogni caso, come già si è detto, l’ottimo rating e l’inserimento nell’elenco non esonerino l’intermediario dal fornire precise informazioni, di cui era senz’altro in possesso, concernenti la tipologia del titolo offerto all’investitore e la variazione qualitativa del rischio non ricollegato affatto alla semplice più lunga scadenza del titolo, ma proprio alla natura dell’emittente.”
Per completezza viene riportato in nota il passaggio della sentenza del Tribunale di Aosta del 22.03.2012 n. 131 che ha avuto conferma nel giudizio d’appello conclusosi con la sentenza in commento (1).
La sentenza in commento delinea correttamente gli obblighi informativi a cui è tenuto l’intermediario specificando come l’adempimento a tali obblighi non si debba limitare ad una passiva verifica del solo rating.
L’obbligo di informazione che la disciplina di settore posta a carico dell’intermediario si risolve in un’attività che impegna professionalmente l’operatore qualificato e lo obbliga ad una diligenza altamente qualificata a mente dell’art. 1176 co. 2 c.c. (2).
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L’intermediario doveva conoscere, già dalla seconda metà del 2007, la difficoltà della banca americana d’affari Lehman Brothers nota agli operatori di settore, operatori qualificati, anche certamente in base ai cd. rumors di mercato.
La Corte d’Appello di Torino sanziona anche sotto questo profilo l’inadempimento della Banca intermediaria, dal momento che il fallimento della Banca Americana era l’inevitabile conclusione di un declino noto agli analisti finanziari anche solo in base ai rumors circolanti nell’ambiente.
Tale circostanza risulta peraltro confermata già in altri precedenti giurisprudenziali:
• Il Tribunale di Salerno, con la sentenza 2200 dell’11.10.2012, ha riconosciuto l’inadempimento della banca la quale, essendo soggetto professionista del mercato, avrebbe dovuto conoscere alcuni dati macroeconomici riguardanti la disastrosa situazione finanziaria del gruppo americano Lehman Brothers, emersi già dalla seconda metà del 2007.
Il Giudice di Salerno fa propri i dati della relazione della consulenza tecnica d’ufficio espletata in corso di causa ed evidenzia che nell’agosto 2007 erano stati licenziati 1.200 dipendenti; che nel corso del 2008 vi era stata una perdita di 25 milioni di dollari; che c’era stata una riduzione dell’avviamento di 27 milioni; che si erano verificate perdite su titoli garantiti per 2,8 miliardi di dollari; che le azioni avevano perso già ad agosto, il 73% del proprio valore.
Questi dati di bilancio, unitamente alle preoccupanti notizie divulgate dalla stampa (anche non specialistica), testimoniavano la grave difficoltà economica del Gruppo bancario americano. Veniva quindi riconosciuta la responsabilità della Banca negoziatrice colpevole di aver violato l’obbligo di diligenza e correttezza nei confronti del cliente.
Così statuisce il Tribunale di Salerno: “Costituisce violazione dei doveri informativi, di correttezza e di buona fede il comportamento dell’intermediario che ometta di avvertire l’investitore della particolare rischiosità dell’investimento in obbligazioni Lehman Brothers Holdings Inc. effettuato nel febbraio del 2008. La banca intermediaria non poteva, infatti, non essere a conoscenza della situazione di difficoltà dell’emittente il quale, già nell’agosto del 2007, aveva licenziato circa 1200 dipendenti, registrando una perdita di 25 milioni di dollari ed una riduzione dell’avviamento di circa 27 milioni di dollari” (Tribunale Salerno, 20 ottobre 2012 – Pres., est. Ricciardi)
• In termini si segnala altresì la sentenza del Tribunale di Catanzaro che dà la giusta e opportuna rilevanza ai rumors riportati dalla stampa giornalistica operante nel settore finanziario: “Ora, è sufficiente osservare che già nel mese di maggio 2008 la stampa specializzata nel settore dell’economia e della finanza (v. articolo de “Il Sole 24 Ore” – doc. n. 9 della produzione attorea), segnalava le gravissime difficoltà in cui versava Lehman Brothers a causa della forte crisi scoppiata sui mercati finanziari a cagione dei mutui subprime. Il successivo 3 giugno, Finance & Money (doc. 9 della produzione attorea) sottolineava che “… Stando alle previsioni del mercato, Lehman Brothers dovrebbe archiviare una perdita tra i 50 e i 75 cent per azione (…) Solo ieri Standard & Poor’s ha abbassato il rating della banca (…) per rischio di nuove svalutazioni, mentre Merril Lynch ha tagliato il giudizio su Lehman Brothers a “underperform” da “neutral” … ” Il 17 agosto 2008 la Repubblica.it (v. produzione documentata Mastria-Rocca) a proposito del titolo Lehman Brothers segnalava che “… dal 15 maggio il titolo è crollato del 63% in Borsa …” e che la banca d’affari americana era stata “bocciata anche da Merril Lynch con il declassamento del rating qualche giorno fa”. Ed ancora, l’11 settembre 2008 sempre sul sito la Repubblica.it viene pubblicato l’articolo “perdite record alla Lehman Brothers vendita di asset per salvare la banca”, nel quale, tra l’altro, si evidenzia che “ … gli investitori hanno preferito stare alla larga vendendo anche ieri azioni Lehman che in appena due sedute hanno già perso circa la metà del loro valore”. In un contesto siffatto, le oscillazioni del titolo Lehman Brothers – che, si noti, è sempre stato a basso rischio – indubbiamente costituiscono indici di aumento del rischio con conseguente passaggio del titolo dall’area del basso rischio ad un livello di rischio significativo”(Tribunale Catanzaro, sentenza n. 685 del 19.10.2011, Pres., est. Anna Maria Raschellà).
La sentenza della Corte territoriale Piemontese, oggetto del presente commento, ha sicuramente il pregio di individuare con concretezza ed efficacia criteri di valutazione indiscutibilmente validi ai fini della valutazione del “rischio emittente” anche a prescindere da verifiche estremamente complesse e tecniche.
In ogni caso le valutazioni della Corte d’Appello di Torino trovano conferma nelle relazioni dei tecnici analisti del settore che pare opportuno esaminare nel paragrafo che segue.
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La Corte d’Appello di Torino, con altra recente sentenza, (n. 349 depositata in data 19.2.2014 – pres. dr. Luigi Grimaldi – cons. rel. dr.ssa Caterina Mazzitelli), ha disposto d’ufficio -per quel che si desume dalla stessa motivazione della sentenza- una consulenza tecnica al fine di verificare la sussistenza di una variazione significativa del livello di rischio delle obbligazioni Lehman Brothers.
In questa sentenza si assiste dunque ad una valutazione del “rischio emittente” collegata ai risultati ottenuti tramite l’impiego di una Consulenza tecnica d’Ufficio e, dunque, tramite l’ausilio di dati tecnico-finanziari, ulteriormente diversi, ma ugualmente utili, rispetto a quelli richiamati nell’analisi della sentenza di cui al primo paragrafo.
Il consulente tecnico del Giudice ha confermato che già a partire dall’anno 2007 era riscontrabile una flessione negativa dell’andamento del titolo Lehman e un notevole aumento del rischio nell’ambito di un contesto generale fortemente negativo.
Così si pronuncia la Corte territoriale piemontese:
“(…) il contratto 13 aprile 2007 nelle clausole finali prevede che il titolo fa parte dell’elenco delle obbligazioni a basso rischio-rendimento redatto nell’ambito del progetto Patti Chiari; da ultimo, il contratto prevede espressamente che in base degli andamenti di mercato il titolo potrà uscire dall’elenco successivamente alla data dell’ordine e che il cliente sarà tempestivamente informato se il titolo subirà una variazione significativa del livello di rischio.
È indubbio, alla luce di tale dato testuale, che la banca, in caso di variazioni significative del rischio, aveva l’obbligo di segnalare le modificazioni della situazione all’investitore.
La problematica di causa consiste per l’appunto nell’accertamento della ricorrenza o meno di siffatte variazioni e pertanto nell’accertamento della sussistenza o meno di un inadempimento negoziale a carico della banca per violazione del predetto obbligo informativo. (…) A questo riguardo occorre procedere alla disamina degli accertamenti svolti dal consulente tecnico nominato in questo grado di giudizio.
È assodato che il titolo ha mantenuto il Rating A+ sino al default risalente all’autunno del 2008.
(…) va detto che secondo il consulente a decorrere dal luglio 2007 era riscontrabile una flessione dell’andamento del titolo sul mercato.
Segnatamente attesa il ctu: che in data 10 luglio 2007 il titolo scendeva per la prima volta sotto la pari; che in data 13 settembre 2007 il titolo scendeva di 4,5 punti sotto la parità; che in data 9 novembre 2007 l’obbligazione oggetto di causa per la prima volta scendeva di oltre cinque punti sotto la parità; che nel marzo dell’anno successivo si assisteva ad una flessione molto importante allorquando la quotazione scendeva in data 10 marzo 2008 a 89 punti mentre in data 17 marzo 2008 scendeva a 83 punti vale a dire rispettivamente 11 e 17 punti sotto la pari e comunque mai oltre i sette punti sotto quota 100; che dal 3 luglio 2008 l’obbligazione oggetto di causa rimaneva costantemente al di sotto dei 10 punti sotto la pari sino all’aggravamento finale risalente alla settimana tra l’8 settembre e il 15 settembre 2008 (vedi pag. 32 della consulenza).
A fronte di tali dati non si può non evidenziare che la flessione molto importante risale al marzo del 2008, allorché il titolo scende per la prima volta ad 89 punti vale a dire di 11 punti sotto la parità.
A tale data, essendosi verificata una variazione del rischio significativa, la banca avrebbe dovuto avvertire i clienti.
Va segnalato altresì che il consulente (vedi pag. 43 e 44) ha segnalato che in data 26/04/2008 e 10/10/2008 sono stati pubblicati due articoli di stampa finanziaria, tra cui, il primo, comprovante il rilievo della fuoriuscita in un solo giorno di 200 titoli oltre alla riduzione del numero di titoli compresi nell’elenco Patti Chiari di oltre 500 unità nel periodo compreso fra l’agosto del 2007 e l’aprile del 2008, situazione compatibile con la difficile fase del mercato obbligazionario dovuta alla crisi finanziaria innescata dai mutui “subprime” ed, il secondo, attestante il riscontro già da due anni del crollo delle quotazioni dei titoli Lehman.
Trattasi di dati, sia pure oggetto in parte di pubblicazioni successive, comprovanti la presenza nel periodo precedente di evidenti segnali di allarme.
Il ctu ha poi concluso sostenendo che l’andamento dei titoli, l’aumento del valore di rischio e l’aumento delle quotazioni dei CDS rappresentavano alcuni dei segnali di mercato indice di un notevole aumento del rischio nell’ambito di un contesto generale fortemente negativo.
Tali dati, nel loro complesso, ancorché vi fosse la percezione che la società potesse riprendersi stante le notevoli dimensioni, avrebbero dovuto indurre la banca ad usare la dovuta diligenza nell’assumere idonee informazioni in vista dell’adempimento dell’impegno negoziale informativo anzidetto.
Detto inadempimento negoziale è di certo ricollegabile etiologicamente alla perdita lamentata, dovendosi presumere che gli investitori avrebbero venduto il titolo se fossero stati avvertiti della gravità del rischio”.
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I dati esaminati dalla Corte Territoriale Piemontese trovano conferma nella valutazione analitica avente come oggetto di indagine le variazioni di rischio ricollegabili alle obbligazioni Lehman Brothers quantomeno dall’estate del 2007.
Gli indicatori di rischio utilizzati dagli analisti finanziari sono principalmente:
- il VaR (cd. Value at Risk), calcolato su base giornaliera e/o settimanale, dell’obbligazione Lehman;
- l’andamento dei CDS (Credit Default Swap),
- il livello di liquidità (attraverso l’indice azioni medie su attivi medi);
- l’andamento e composizione delle passività totali della Lehman Brothers Holding Inc.;
- il rapporto di indebitamento mediante l’ausilio dell’indice Leverage;
- la volatilità storica e implicita del prezzo delle azioni Lehman;
- l’Earning Per Share ratio;
- la distribuzione temporale dei titoli di debito emessi dalla Banca;
- l’evoluzione storica del prezzo delle azioni Lehman e della capitalizzazione di mercato (cd. Market Cap), del prezzo delle obbligazioni Lehman Brothers e del rating.
L’analisi di tali dati ha confermato, con ogni evidenza, che i titoli emessi dalla Banca Lehman Brothers, a partire quantomeno dalla seconda metà del 2007, avevano perduto il loro carattere di obbligazioni a basso rischio e basso rendimento per assumere uno spiccato carattere di “obbligazioni altamente speculative”.
Il fallimento della Lehman Brothers era, di fatto, l’inevitabile conclusione di un declino noto agli analisti finanziari quanto meno dalla seconda metà del 2007.
– Ad esempio, con riguardo al VaR si è potuto appurare che dalla metà di marzo 2008 il valore giornaliero superava la soglia dello 0,3125% (valore soglia utilizzato dal Consorzio Patti Chiari ai fini dell’inserimento del titolo nel Listino OBBRR) andando costantemente al di sotto dei limiti imposti da patti Chiari; dalla fine di marzo 2008 il VaR settimanale superava costantemente la soglia dell’1% decisa da Patti Chiari.
– Ad analoghe conclusioni ha portato l’esame delle quotazioni dei CDS (come appurato anche dal CTU incaricato dalla Corte d’Appello di Torino nella sentenza n. 349/2014 sopra citata) le quali hanno iniziato a crescere già nel luglio del 2007 per raggiungere quotazioni allarmanti nel 2008.
Al riguardo è necessario osservare che i Cds spread sono utilizzati dalle stesse Agenzie di rating per valutare le probabilità di default dei soggetti valutati; sono dunque da considerarsi veri e propri predittori del fallimento di una impresa. A tal proposito si richiama estratto dell’articolo pubblicato sul “Il Sole 24 Ore”, facilmente consultabile al link http://www.almaiura.com/images/upload/rossi-cds_cracklehman.pdf, dove viene correttamente valutato il ruolo avuto dai CDS nella vicenda Lehman Brothers (3)
A ciò si aggiunga che nell’anno 2003-2004, uno studio condotto dalla Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) aveva individuato una forte relazione tra la probabilità di fallimento e il valore degli spreads dei CDS (il documento è reperibile al seguente link: http://www.bis.org/publ/work173.pdf?noframes=1).
Ed ancora analizzando gli altri dati tecnico-finanziari è emerso che:
- già dal 2000 si assiste ad un incremento costante dell’ammontare complessivo dei debiti sociali;
- a partire dal 2005 si assiste ad un peggioramento del livello di liquidità inteso come rapporto tra azioni ordinarie medie su attivi medi l’indice relativo al rapporto di indebitamento cd. indice Leverage, dal 2006 registra un peggioramento; più specificamente dal 2006 al 2008 esso aumentò costantemente, fino ad esplodere oltre quota 25 nella metà del 2008.
Il calcolo della volatilità storica e implicita del prezzo delle azioni, utilizzata per misurare la variazione percentuale dei prezzi nel tempo, ha evidenziato come da un certo momento (marzo 2008) in avanti la volatilità si sia incrementata in maniera evidente. L’ “impennata” era indicativa del fatto che il mercato aveva assolutamente compreso che il titolo Lehman avrebbe subito pesanti oscillazioni, rendendo sempre più verosimile il rischio di fallimento.
Dalla succinta analisi riportata scaturisce una ovvia e logica considerazione, che conferma l’indirizzo espresso dalla Corte d’Appello di Torino del 28.02.2014: il rating, utilizzato dalle Banche convenute nei giudizi da parte degli investitori Lehman quale esimente della loro responsabilità, non assume alcun rilievo.
Perché trattasi di indice statico non idoneo a misurare la “temperatura di un dato titolo” e insufficiente a garantire con sicurezza la stabilità di un titolo.
Di contro gli operatori qualificati avrebbero dovuto mettere in discussione il valore di rating assegnato, confrontandolo con altri più oggettivi criteri di analisi del rischio, indici cd. dinamici, quali l’andamento del CDS, il livello di liquidità (attraverso l’indice azioni medie su attivi medi), l’andamento e composizione delle passività totali della Lehman Brothers Holding Inc., il rapporto di indebitamento mediante l’ausilio dell’indice Leverage, la volatilità storica e implicita del prezzo delle azioni Lehman.
Tali dati, peraltro, incidono anch’essi sul “rischio emittente” in capo al colosso bancario americano fornendo una analisi completa della effettiva volatilità delle obbligazioni Lehman Brothers.
La verifica di tali indici estremamente tecnici poteva essere effettuata solo da operatori di mercato particolarmente qualificati, non certo da soggetti che, seppure avvezzi ad investimenti anche di notevole rischiosità, non avevo accesso al mercato finanziario.
Ne deriva che in mancanza di una informazione adeguata e concreta l’intermediario finanziario è mancato al dovere di porre il cliente in condizione realizzare un investimento consapevole e vantaggioso.
L’inadempimento a tale obbligo è presupposto causale della perdita sofferta dall’investitore, con conseguente suo diritto al risarcimento.
1
() Così si pronuncia il Tribunale di Aosta: “Peraltro non può ritenersi, come invece afferma parte convenuta nella comparsa di costituzione e risposta, che l’indicazione dell’emittente e della natura del titolo, unitamente al fatto dell’inserimento del titolo nel predetto elenco, esaurisca l’obbligo informativo gravante sulla banca; (…) si deve rilevare come dagli atti non emerga che sia stato specificamente segnalato all’attore il fatto che l’emittente non era una banca per così dire tradizionale, bensì una cosiddetta banca di affari statunitense, ciò che già comporta una volatilità maggiore dell’investimento, né che sia stato quanto meno segnalato lo stato dell’economia statunitense al momento in cui l’acquisto è stato posto in essere, economia attraversata dalla crisi dei mutui cosiddetti subprime. E che tale crisi fosse in atto non solo rappresenta un fatto notorio, ma è altresì documentalmente riscontrato dagli articoli della stampa specializzata, quale ad esempio l’articolo prodotto dall’attore quale documento 45, dal quale tra l’altro risulta che già nell’agosto 2007 la banca emittente aveva chiuso la BNC Mortgage” (Tribunale di Aosta, sentenza n. 131 del 22.03.2012 – G.I. dott. Giuseppe Colazingari).
2
() Secondo la giurisprudenza e la dottrina, il grado di diligenza cui è tenuto l’intermediario nell’esecuzione delle disposizioni che gli siano state impartite dal cliente è da individuare nella diligenza del c.d. bonus argentarius ex art. 1176 co. 2 c.c., rapportata al tipo di attività svolta in quanto, come afferma la Corte di Cassazione con sentenza n. 13777 del 12.6.2007, la Banca svolgendo attività professionale «deve adempiere tutte le obbligazioni assunte nei confronti dei propri clienti con la diligenza particolarmente qualificata dell’accorto banchiere, non solo con riguardo all’attività di esecuzione di contratti bancari in senso stretto, ma anche in relazione ad ogni tipo di atto o di operazione oggettivamente esplicati»
3
() Così dichiara l’avv. Marco Rossi nell’articolo richiamato: “Gli spreads sui CDS sono molto importanti per estrarre per estrarre l’informazione scontata dal mercato sulla salute finanziaria di una società. Più è alto il loro ammontare più è alto il rischio di fallimento (…) Tra gli elementi a disposizione di qualsiasi banca che evidenziavano chiaramente l’aumento della probabilità di default di Lehman … vi sono i credit spread quotati per i Cds dei titoli Lehman nonché il prezzo stesso dell’obbligazione. In particolare, il valore degli spread era aumentato notevolmente già da un anno prima del fallimento ”