In tema di fideiussione, la Suprema Corte consolida il principio di diritto secondo cui, quando il rapporto principale è ripartito in scadenze periodiche per il debitore, il dies a partire dal quale decorre il termine di decadenza per l’azione del creditore nei confronti del fideiussore fissato dall’art. 1957 c.c. – 6 mesi, ovvero 2 mesi nel caso in cui “il fideiussore ha espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso termine dell’obbligazione principale” (art. 1957, commi 2 e 3 c.c.) – va individuato nella data delle singole scadenze, e non già nella termine “finale” del rapporto principale (così già Cass. 15902/2014 e 2301/2004).
In altre parole, quando il debito principale è frazionato ed esigibile a scadenze periodiche, per non perdere la garanzia in relazione alle frazioni di debito scadute, il creditore ha l’onere di avviare serie iniziative entro 6 mesi dalle singole scadenze (iniziative che vanno dirette necessariamente contro il debitore principale solo se è stato pattuito il beneficio di escussione). Non può invece attendere il termine del rapporto principale per fare valere le sue ragioni in relazione all’intero credito maturato, “magari proprio contando sulla responsabilità solidale del fideiussore”: diversamente, quest’ultimo rimarrebbe esposto all’aumento, a totale discrezione del creditore, degli oneri inerenti alla garanzia.
In chiusura vale la pena di notare che tra le clausole costitutive dell’ormai nota intesa anticoncorrenziale, rappresentata dallo schema ABI dell’ottobre 2002 sulle fideiussioni omnibus, rientra proprio la clausola di rinuncia ai termini di cui all’art. 1957 c.c. (che testualmente recita, nel predetto schema, all’art. 6: “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato”).