Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte si è concentrata sull’analisi delle divergenze tra pegno regolare ed irregolare e, in presenza di quest’ultima tipologia, ha evidenziato l’illegittimità di un provvedimento di sequestro preventivo. In particolare, al fine di addivenire alla qualificazione giuridica del rapporto in esame quale pegno irregolare, la Cassazione si è focalizzata sulla ricerca del “dato connotativo” di tale istituto, ossia “la facoltà del creditore di soddisfarsi immediatamente sul bene conferito in pegno, senza dovere passare per alcuna ulteriore fase intermedia”.
A seguito del ricorso portato innanzi da un istituto di credito avverso l’ordinanza del Tribunale di Salerno, con cui era stato disposto il sequestro in previsione della confisca per equivalente sulle somme depositate su un conto correte previamente costituite in pegno dal correntista a garanzia di un credito vantato dall’istituto medesimo nei confronti di un soggetto terzo, il giudice di legittimità ha evidenziato i parametri da considerare per la qualificazione di un rapporto di pegno. Nel dettaglio, dopo aver negato la rilevanza del nomen contrattualmente stabilito, la Cassazione ha posto in evidenza come la natura del rapporto dipenda dal “concreto modo di atteggiarsi” della volontà delle parti, rilevando altresì come la conseguenza giuridica della qualifica del pegno come regolare ovvero irregolare derivi “dalle norme del codice civile in tema di diritti reali di garanzia opponibili a terzi, che hanno carattere indisponibile” (cfr. Cass. 2120/2014). Dato che, in un pegno irregolare disciplinato dall’art. 1851 c.c., l’istituto di credito ottiene, nella sua qualità di creditore pignoratizio, non il mero possesso della res ma la piena titolarità dominicale della medesima, è necessario verificare che venga “conferita espressamente alla banca la facoltà di disporre direttamente del bene”. Nel caso in analisi, data la presenza nella convenzione tra correntista ed istituto di una previsione in cui si segnalava il diritto di quest’ultimo di “utilizzare il saldo, per capitale ed interessi del rapporto di conto corrente e/o deposito bancario costituito in pegno, ponendo in essere ogni relativa attività ad estinzione o decurtazione delle obbligazioni garantite”, con chiara autorizzazione a “soddisfarsi del suo credito addebitando il relativo importo al conto vincolato”, la natura irregolare del rapporto è apparsa pacifica alla Cassazione. Né tale qualifica, a parere della Suprema Corte, viene meno in presenza di maturazione degli interessi sulle somme soggette a pegno ovvero deposito degli interessi medesimi in altro conto corrente intestato al medesimo soggetto (cfr. Cass. 3794/2008) nonché in presenza di un mero preavviso prima della realizzazione del pegno, in ossequio al principio di buona fede contrattuale ex art. 1375 c.c..
Di conseguenza, ricollegandosi ad una previa giurisprudenza opposta alla legittimità del sequestro sia conservativo (cfr. Cass. 507/1995) sia preventivo (cfr. Cass. 23659/2010; Cass. 49719/2013) in caso di pegno irregolare, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’istituto di credito, annullando l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Salerno.