In questi termini si è espresso di recente il Tribunale di La Spezia, il quale, con ordinanza del 29.01.2014, ha respinto il ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso dalla ricorrente per ottenere la cancellazione del proprio nominativo dalla banca dati della Centrale Rischi della Banca d’Italia.
La decisione in commento si inserisce nel solco tracciato dalle pronunce dei Tribunali di Verona (Ord. 22 ottobre 2012) e Napoli (Ord. 02 luglio 2013), secondo i quali il rimedio cautelare d’urgenza invocato per ottenere la cancellazione di un nominativo dalla Centrale Rischi deve considerarsi inammissibile.
La ragione, come precisato dal Tribunale scaligero e partenopeo, risiede nell’esistenza del rimedio cautelare tipico previsto dal combinato disposto agli articoli 10 e 5 del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150.
Di tal ché, avendo il rimedio cautelare d’urgenza ex art. 700 c.pc. carattere residuale, questo non può trovare accoglimento in ipotesi di illegittima segnalazione in Centrale Rischi.
E ciò, secondo la giurisprudenza invocata, in ragione del fatto che ogni valutazione circa la liceità, o meno, di una segnalazione in Centrale Rischi, postula l’applicazione delle regole e dei principi generali previsti dal legislatore in materia di trattamento dei dati personali ai sensi della Legge 196/2003.
Muovendo le premesse dalle suesposte considerazioni, il Tribunale di La Spezia ha precisato che la richiesta formulata con ricorso ex art. 700 c.p.c., di cancellazione della segnalazione illegittima in C.R.B.I., “appare riferita ad un’attività prevista dall’art. 4 co. 1 lett. L) del D.Lgs. 196 del 2003”, in quanto l’iscrizione del nominativo del soggetto segnalato in Centrale Rischi ha lo scopo di rendere conoscibile lo stesso a tutti i soggetti fruitori del sistema informativo.
Ragionando in questi termini, aggiunge il Tribunale, sebbene la parte non si dolga della modalità con cui i suoi dati sono stati trattati, deve comunque ritenersi che il rimedio cautelare invocato sollevi una questione da risolvere alla luce delle disposizioni dettate dal c.d. codice della privacy.
Pertanto, ciò comporta, “in rito, l’applicabilità dell’art. 152 del d. lgs. 196/03 e dell’art. 10 del d.lgs 150/2011 (cui il secondo comma di quella norma rinvia), che prevede che le relative controversie siano regolate dal rito del lavoro e che competente a conoscerle, secondo un criterio da ritenersi (cfr. Cass. Ord. 23280/2007) inderogabile, sia il Tribunale del Luogo in cui ha la residenza il titolare del trattamento dei dati, come definito dall’art. 4 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”.
Ragion per cui, poiché nel caso di specie il ricorso ex art. 700 c.p.c. era stato proposto avanti il Tribunale del luogo ove aveva la residenza il ricorrente, anziché sul Foro ove aveva la sede il titolare del trattamento dei dati personali (ossia la società Finanziaria), il Tribunale spezzino ha dichiarato la propria incompetenza territoriale in favore del Tribunale di Bologna.
E ciò, non senza trascurare che, prevedendo l’art. 669 septies c.p.c. l’ipotesi di un “riproposizione” della domanda cautelare – indicazione letterale che suggerisce che la parte possa dare nuovo ed autonomo impulso all’azione che intende proporre -, nel caso in cui sia stata adottata una pronuncia di incompetenza territoriale, al ricorrente “non deve essere assegnato un termine per la riassunzione del presente procedimento dinanzi il giudice competente”.