Il 27 settembre 2018, con l’ordinanza n. 23325, la Corte di Cassazione ha statuito la nullità del lodo emesso in violazione dell’art. 101, comma 2, c.p.c.
Secondo la Cassazione, la previsione per cui «se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevabile d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione» trova senza dubbio applicazione anche al giudizio arbitrale. L’inosservanza di tale disposizione, posta a garanzia di un contradditorio effettivo, vincolante anche per chi giudica, costituisce motivo di impugnazione per nullità del lodo ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 9 c.p.c.
I fatti di causa
Nel 2002, un comune e una società concludevano una convenzione, successivamente modificata nel 2004, avente ad oggetto la realizzazione di un complesso termale, all’esito di una gara pubblica in regime di project financing ex art. 37 e ss. L. 109/1994.
Sorta controversia tra le parti, la società avviava un procedimento arbitrale nei confronti del comune, chiedendo la risoluzione della convenzione e il risarcimento del danno per grave inadempimento della controparte. Il comune si costituiva, lamentando al contrario il grave inadempimento della società, chiedendo anch’esso la risoluzione della convenzione e il risarcimento del danno.
Il 15 marzo 2011, il collegio arbitrale dichiarava l’inefficacia della convenzione per la mancata approvazione di un progetto preliminare, presupposto della prima, e affermava la responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione.
La società impugnava il lodo davanti alla Corte d’Appello di Firenze, inter alia, per violazione dell’art. 101, comma 2, c.p.c. La Corte d’Appello rigettava però il gravame, ritenendo che gli arbitri si fossero semplicemente limitati a interpretare la domanda delle parti e, anche ammessa l’applicabilità dell’art. 101, comma 2, c.p.c. al giudizio arbitrale, la norma non poteva comunque venire in rilievo ratione temporis.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello, la società proponeva ricorso per cassazione, in particolare deducendo la violazione dell’art. 829, comma 1, n. 9 in relazione alla mancata applicazione dell’art. 101, comma 2, c.p.c. da parte degli arbitri.
L’ordinanza della Cassazione
Secondo la Cassazione, la soluzione adottata dal collegio arbitrale non trae origine da una diversa interpretazione e qualificazione della domanda ma si fonda su una questione rilevata d’ufficio, i.e. l’assenza di un progetto preliminare alla base della convenzione, circostanza mai dedotta dalle parti e da cui il collegio arbitrale ha fatto discendere l’inefficacia della convenzione.
In ordine all’applicabilità ratione temporis dell’art. 101, comma 2, c.p.c., introdotto dall’art. 45, comma 13, della I. n. 69 del 2009, la Suprema Corte sottolinea come, già prima della novella, la giurisprudenza ricavasse, dal sistema e dai principi generali, la radicale «nullità» della sentenza cd. «a sorpresa», per violazione del contraddittorio.
Quanto poi all’applicabilità della norma in parola al giudizio arbitrale, la Cassazione, richiamando precedenti arresti, ribadisce che “in tema di arbitrato rituale, gli arbitri incorrono in violazione del principio del contraddittorio per mancata conoscenza dei punti di vista di tutte le parti del procedimento ove abbiano stabilito la natura perentoria dei termini da loro fissati alle parti per le allegazioni ed istanze istruttorie – alla stregua di quelli ex artt. 183 e 184 c.p.c. – e, in relazione a tale determinazione, abbiano dichiarato decaduta una parte per il tardivo esercizio delle facoltà di proporre quesiti e istanze istruttorie, qualora la possibilità di declinare tale perentorietà non fosse prevista dalla convenzione di arbitrato, ovvero da un atto scritto separato o dal regolamento processuale dai medesimi predisposto, e in assenza di specifica avvertenza al riguardo al momento dell’assegnazione dei termini”; e che, sebbene gli arbitri non siano tenuti ad osservare le norme del codice di rito, salvo le parti vi abbiano fatto esplicito richiamo, il giudizio arbitrale deve “comunque essere condotto nel rispetto delle norme di ordine pubblico, che fissano i principi cardine del processo, di rango costituzionale, come il principio del contraddittorio, rafforzato dalla specifica previsione della lesione di tale principio come motivo di nullità del lodo, ai sensi dell’art. 829, nono comma, cod. proc. civ.”.
Nel caso di specie, la Corte osserva che, in violazione del principio del contraddittorio, la questione rilevata d’ufficio, ovvero quella della inefficacia della convenzione, non è stata sottoposta dagli arbitri all’attenzione delle parti, che avrebbero diversamente potuto contraddire sul punto. Per questi motivi, la Cassazione rinvia alla Corte d’Appello per una nuova decisione sull’impugnazione del lodo.
Una pronuncia da salutare con gran favore, che contribuirà a garantire l’attuazione di un contradditorio a tre anche nell’ambito del procedimento arbitrale, pena la nullità del lodo a «sorpresa».