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Giurisprudenza

Soddisfacimento dei crediti a mezzo dell’assegnazione di strumenti finanziari partecipativi e poteri del tribunale e del giudice delegato nella procedura di concordato preventivo

7 Settembre 2020

Carolina Gentile, Dottoranda presso la Scuola di Dottorato “Impresa, Lavoro e Istituzioni” (curriculum di diritto commerciale), Università Cattolica del Sacro Cuore Milano

Tribunale di Ravenna, 29 maggio 2020 – Pres. Sereni Lucarelli, Rel. Farolfi

Di cosa si parla in questo articolo

Con il decreto in considerazione il Tribunale di Ravenna, adeguandosi al costante orientamento di legittimità, ha in primo luogo ribadito che le norme che disciplinano il concordato preventivo non prevedono una procedura di verificazione dei crediti concorsuali, se non nei limiti dell’art. 176 l. fall., in base al quale il provvedimento reso dal giudice delegato non solo è provvisorio, ma rileva soltanto al fine della individuazione dei creditori da ammettersi al voto per il conseguente calcolo delle maggioranze, senza alcun pregiudizio circa le pronunzie definitive sulla sussistenza dei crediti stessi. Di conseguenza, le ragioni creditorie dovranno essere fatte valere in apposito giudizio di cognizione, fatto salva la facoltà di opposizione ove ricorre il presupposto di cui all’art. 176, comma secondo, l. fall.

In secondo luogo, i Giudici, trovandosi a pronunciarsi sull’applicazione dell’art. 118, comma 3, d.lgs n. 163/2006, hanno affermato che tale norma risulta applicabile in via esclusiva al pagamento diretto da parte della Stazione Appaltante dei crediti dei subfornitori sorti per titolo o causa successiva al deposito del ricorso di concordato preventivo anche ai sensi dell’art. 161, comma 6, l. fall., non essendo possibile prescindere per quelli originatisi anteriormente – al pari di quelli degli opponenti – dal disposto dell’art. 182-quinquies, comma 5, l.fall. che riconduce la possibilità di pagamento integrale ad una libera richiesta della debitrice, accompagnata da un’attestazione di funzionalità al migliore interesse dei creditori, e seguita dall’autorizzazione giudiziaria.

I Giudici, si sono espressi – incidentalmente – anche sulla inapplicabilità dell’art. 2751-bis n. 2) c.c ai crediti vantati da società, esercitante un’impresa commerciale, connotata pertanto da quel coacervo di aspetti organizzativi sui cui si fonda l’affectio societatis e che sono apparsi incompatibili con il fondamento latamente retributivo che sta alla base della citata norma.

Il Tribunale ha, inoltre, chiarito che la legittimazione a proporre opposizione, ex art. 180 l. fall., ricorre solo in capo ai soggetti che siano titolari di un interesse attuale e concreto, perché in qualche modo direttamente inciso dalla omologazione cui presta opposizione.

I Giudici hanno statuito altresì che, ai fini di cui all’art. 182-quinquies l. fall., l’individuazione dei creditori le cui prestazioni sono essenziali per la continuità della impresa non può essere effettuata – né integrata – dal Tribunale, il quale, diversamente, andrebbe a modificare indebitamente le condizioni e il contenuto della proposta di concordato. Né tantomeno spetta all’organo giudiziario – anche in considerazione dell’assenza di verifica dello stato passivo in sede concordataria – spostare di classe i creditori, occorrendo unicamente verificare se l’eventuale correttezza dell’assunto sia in grado di incidere, per il maggior fabbisogno finanziario richiesto, sulla fattibilità del piano concordatario.

Il Tribunale si è, quindi, soffermato sul principio di atipicità della proposta concordataria, sancito dall’art. 160, comma 1, lett. a), l. fall., sulla base del quale il piano concordatario può prevedere il soddisfacimento dei crediti attraverso qualsiasi forma, ivi compresa l’attribuzione di strumenti finanziari. La norma in oggetto, in particolare, risponde alla volontà del legislatore di accentuare il momento negoziale dell’incontro dei consensi dei creditori, nell’ovvio presupposto che gli stessi siano stati regolarmente e chiaramente informati della crisi e degli aspetti legati alla proposta ed alla sua realizzazione. Alla stregua di tale principio, risulta ormai ampiamente condivisa l’opinione secondo cui è possibile inserire nel piano di concordato la realizzazione di operazioni societarie straordinarie, come l’affitto d’azienda, l’aumento di capitale con conversione forzosa in equity dei crediti, l’emissione di titoli obbligazionari, operazioni di fusione o scissione. Pertanto, ove tali operazioni siano contemplate in un piano di concordato, si dovrà quindi verificare la loro legittimità, rispetto ad una disciplina che va ricostruita secondo un principio di reciproca integrazione, dando luogo a quello che icasticamente è stato definito diritto societario-concorsuale.

Indi i Giudici hanno precisato che l’impiego di strumenti finanziari partecipativi, quale modalità di soddisfacimento dei crediti, contemplata in un piano di concordato, è da considerarsi ammissibile non solo stante l’espressa previsione contenuta nel citato art. 160, comma 1, lett. a), l. fall., ma altresì in considerazione dell’art. 2436, ult. co., c.c. che disciplina succintamente l’emissione degli stessi e i diritti che essi possono attribuire ai loro portatori. Si tratta strumenti finanziari cedibili, aventi natura intermedia fra i titoli azionari e quelli obbligazionari. Rispetto ai primi si differenziano perché l’apporto (anche ove effetto di conversione rispetto ad un preesistente credito) non va ad incrementare il capitale sociale e pertanto non conferiscono ai titolari la qualità di soci, pur potendo attribuire loro il diritto di voto su argomenti specificamente indicati. Rispetto alle obbligazioni, invece, essi si connotano per taluni contenuti partecipativi consistenti, oltreché in diritti patrimoniali, in diritti amministrativi a vario titolo riconosciuti dallo statuto e dal relativo regolamento di emissione.

Dal punto di vista del criterio della migliore soddisfazione dei creditori di cui all’art. 186-bis, primo comma,l. fall., invece, il Tribunale ha mostrato di condividere l’opinione, in passato, già espressa dalla Corte di Cassazione (19 febbraio 2016 n. 3324), secondo cui esso “individua una sorta di clausola generale applicabile in via analogica a tutte le tipologie di concordato, ivi compreso quello meramente liquidatorio, quale regola di scrutinio della legittimità degli atti compiuti dal debitore ammesso alla procedura. Alla luce di tale criterio può agevolmente escludersi non solo che il compimento dell’atto non autorizzato conduca all’automatica revoca del concordato, ma anche che il disvalore oggettivo di tale atto (pregiudizio che esso arreca alla consistenza del patrimonio del debitore) sia ricavabile, sic et simpliciter, dalla violazione della regola della par condicio, essendo, per contro, ben possibile che il pagamento di crediti anteriori si risolva in un accrescimento, anziché in una diminuzione, della garanzia patrimoniale offerta ai creditori e tenda dunque all’obiettivo della loro migliore soddisfazione”.

In conclusione, inoltre, il Tribunale, in merito all’interpretazione da riferirsi all’art. 186-bis, comma sesto, l.fall, ha affermato che l’introduzione della possibilità di revocare l’ammissione alla procedura se l’esercizio dell’impresa si rivela dannoso per i creditori (perchè ad esempio invece di produrre utili e flussi finanziari al servizio della buona riuscita della proposta, drena cassa e risorse che altrimenti andrebbero a beneficio dei creditori) non significa aver voluto attribuire all’ufficio giudiziario un vaglio di convenienza economica o sulla riuscita “satisfattiva” del piano, salvo il caso della implausibilità delle assunzioni su cui si fonda e della evidente carenza di fattibilità del medesimo.

 

 

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