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Giurisprudenza

Azione revocatoria contro gli atti dispositivi del socio illimitatamente responsabile: legittimazione e ne bis in idem

21 Novembre 2016

Francesca Gaveglio, Dottoranda di ricerca in Business and social law, Università Bocconi di Milano

Cassazione Civile, Sez. VI, 21 gennaio 2016, n. 1103

Di cosa si parla in questo articolo

Il giudizio che ha dato origine alla pronuncia in esame riguarda un’azione revocatoria contro gli atti del socio illimitatamente responsabile di s.a.s. promossa dal curatore del fallimento personale del socio, già esperita dallo stesso attore in veste di curatore del fallimento sociale nonché definita con sentenza di rigetto passata in giudicato.

In via preliminare, la Suprema Corte ha richiamato il principio secondo cui – in ipotesi di fallimento di una società di persone e, per estensione ex art. 147 l.f., dei soci illimitatamente responsabili – il curatore del fallimento sociale è legittimato ad agire in revocatoria contro gli atti di disposizione del socio illimitatamente responsabile, in considerazione del fatto che l’accrescimento dell’attivo del fallimento del socio derivante dall’accoglimento dell’azione revocatoria produce effetti positivi anche ai fini del soddisfacimento dei creditori sociali (in senso conforme cfr. Cass., 25 gennaio 2013, n. 1778, Cass., 13 luglio 2007, n. 15677; Cass., 25 maggio 2001, n. 710; Cass., 30 gennaio 1998, n. 969; contra, tuttavia, Cass., 13 dicembre 2007, n. 26177 e Cass., 1 marzo 2005, n. 4284).

La pronuncia che definisce la causa instaurata dal curatore del fallimento sociale è destinata a produrre in primo luogo i suoi effetti sulla massa attiva del socio, sulla quale potranno soddisfarsi anche i creditori particolari del socio. Ne consegue pertanto che, anche qualora il curatore agisca spendendo il nome del solo fallimento sociale, «il passaggio in giudicato della sentenza emessa nel relativo giudizio fa stato nei confronti dei creditori di entrambe le masse».

In tali circostanze, in osservanza al divieto del ne bis in idem, è dunque«precluso al giudice di pronunciare sulle medesime domande, ancorchè riproposte dall’attore nella sola veste di curatore del fallimento del socio».

La Suprema Corte ha quindi cassato la sentenza della corte di appello che aveva ritenuto infondata l’eccezione di giudicato, in base all’errato rilievo che detta sentenza era stata emessa fra soggetti in parte diversi, non potendosi ritenere che il curatore del fallimento della società avesse agito anche nella veste di curatore del fallimento personale del socio.

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