La sentenza in oggetto riguarda il caso di un concordato preventivo con proposta di transazione fiscale ai sensi dell’art. 182-ter, L. Fall..
Come noto, l’art. 182-ter, L. Fall., consente al debitore di proporre, in seno ad una procedura di concordato preventivo, ovvero di accordo di ristrutturazione dei debiti, una transazione per i crediti tributari e previdenziali.
Tale transazione non può tuttavia costituire un pagamento in misura falcidiata, essendo tale ipotesi impedita dal disposto dell’art. 182-ter, comma I, che prevede solo la dilazione, previsione che ha superato il vaglio di costituzionalità costituendo «il limite massimo di espansione della procedura transattiva compatibile con il principio di indisponibilità del tributo» (in proposito, cfr. Corte Cost., 25.07.2014, n. 225).
Ciò nonostante quanto disposto dalla Corte di Giustizia (sentenza del 07.04.2016, C-546/14) secondo cui l’art. 4, paragrafo 3, TUE nonché gli artt. 2, 250 (paragrafo 1) e 273, direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, non ostano ad una normativa nazionale (tra cui dunque ben potrebbe essere annoverata la Legge Fallimentare italiana e, conseguentemente, l’art. 182-ter) interpretata nel senso che un imprenditore in stato di insolvenza può presentare a un giudice una procedura di concordato preventivo con la quale proponga di pagare solo parzialmente un debito dell’IVA mediante l’attestazione, da parte di un esperto indipendente, «che tale debito non riceverebbe un trattamento migliore nel caso di proprio fallimento»
Il principio espresso dalla Suprema Corte in materia riguarda il fatto che il debitore, per poter ottenere la falcidia dei crediti IVA, anche nel caso in cui faccia ricorso alla procedura di concordato preventivo con proposta di transazione fiscale, deve costituire un apposita classe di crediti privilegiati IVA, al di fuori della stessa transazione fiscale. Ciò in quanto, come detto sopra, l’art. 182-ter, comma I, permette solo la dilazione del credito e non la falcidia.