La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso promosso da una società di leasing avverso il decreto del Tribunale che aveva accolto solo parzialmente un’opposizione allo stato passivo, attraverso cui si lamentava la mancata prededucibilità dei crediti per i canoni di leasing (relativi a contratti stipulati con una società poi fallita) non pagati tra il momento dell’apertura del concordato preventivo e la successiva dichiarazione di fallimento della società.
Rilevano i giudici di legittimità che, in primo luogo, i canoni di leasing maturati nel corso della procedura non erano stati inseriti tra i c.d. “oneri concordatari” (necessari per attuare il concordato); in secondo luogo, anche in seguito alla riforma delle procedure concorsuali minori, per le obbligazioni sorte prima del decreto di ammissione al concordato preventivo, «affinché i relativi crediti maturati nel corso della procedura possano godere del rango prededucibile previsto dall’art. 111 l. fall. nel successivo fallimento», la “funzionalità” deve essere rinvenibile già nel piano analitico ex art. 161, comma 2, lett. e), l. fall. (principio ricavabile dall’art. 182 quater, comma 2, l. fall.): solo una preventiva indicazione precisa dei “debiti della massa” consente, infatti, ai creditori di valutare la convenienza e le possibilità di adempimento del concordato.
In ragione di queste valutazioni, il Tribunale – ad avviso della Corte – ha correttamente giudicato non prededucibili i crediti maturati per i canoni di leasing, poiché questi ultimi non potevano considerarsi funzionali alla procedura, non essendo stati inseriti tra gli “oneri concordatari” nel piano proposto dalla società debitrice e votato dai creditori.