La Suprema Corte si è pronunciata su un caso di revocatoria ordinaria ex art. 66 l. fall. di rimesse bancarie ripristinatorie della valuta disponibile da parte del correntista, nell’ambito del conto affidato, stabilendo che queste ultime non possono essere qualificate come pagamenti – i.e. come atti solutori – e, dunque, non sono revocabili.
Nel caso di specie, il fallimento, in persona del curatore, esperiva azione revocatoria avverso l’esecuzione di una rimessa (ripristinatoria della valuta autorizzata, nei limiti del fido concesso) su un conto corrente in essere presso una banca. In primo grado, la domanda veniva accolta; tuttavia, la sentenza veniva riformata nel giudizio di appello promosso dall’istituto di credito. Il fallimento ricorreva, dunque, in Cassazione, lamentando la violazione o falsa applicazione degli artt. 66 l. fall. e 2901 c.c.
I giudici di legittimità – contrariamente all’opinione espressa dal consigliere designato nella proposta di definizione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. (che aveva qualificato le rimesse come atti solutori, in relazione al criterio del “saldo disponibile”) – hanno respinto il ricorso, pur evidenziando la necessità di una correzione delle motivazioni della pronuncia di merito. Ad avviso della Suprema Corte, il pagamento non muta di significato in rapporto alle qualificazioni giuridiche impresse dai due diversi sistemi di revocatoria (quello pauliano e quello fallimentare), tuttavia le conseguenze variano a seconda della normativa di riferimento: infatti, le rimesse ripristinatorie – non solutorie – se da un lato sono revocabili ai sensi dell’art. 2901 c.c., dall’altro, alla luce del diritto vivente, risultano intangibili nell’ambito del sistema fallimentare. La Corte, riferendosi a tali assunti, rileva che l’esenzione dalla revocatoria ex art. 2901, c. 3, c.c. non attiene al ripristino della valuta disponibile da parte del correntista nell’ambito del conto affidato, ma semmai ad ulteriori evenienze, come il conto chiuso, il conto passivo o il conto con passivo eccedente l’accreditamento.
In definitiva, nel caso di specie, la natura solutoria della rimessa è stata esclusa in quanto il versamento era stato eseguito, nei limiti del fido concesso, su un conto corrente ancora in essere: si trattava, pertanto, di un ripristino dell’affidamento del conto corrente bancario e la rimessa, collocata in questa cornice fattuale, non avrebbe potuto configurare un pagamento a meno di eludere il sistema tracciato dagli artt. 65 e 67 l. fall.