Finalmente pubblicata una nuova sentenza del giudice Mauro Vitiello, tra i primi che si era occupato, ancora quando era a Milano, nel 2008, della nuova revocatoria delle rimesse bancarie.
È la prima sentenza in questo campo abbastanza completa; analizza infatti tutte le problematiche, e dà una indicazione condivisibile su molti dei punti toccati.
Unico aspetto che non condividiamo riguarda il riferimento al fido, che viene ritenuto valido anche con riferimento alla “nuova” revocatoria, contrariamente a quanto sostiene la dottrina prevalente e anche parte della giurisprudenza.
Ne analizziamo sinteticamente i contenuti.
1) Determinatezza del petitum
Sull’eccepita nullità per indeterminatezza da petitum e causa petendi, il giudice, anche sulla falsariga della recente consolidata giurisprudenza, si è espresso per la fondatezza della domanda: “Il curatore ha […] individuato le rimesse interessate dalla domanda riferendosi alle anticipazioni su fatture intervenute nell’anno antecedente alla dichiarazione di fallimento ed ai numeri dei conti intestati alla società poi dichiarata fallita […] ed allegando all’atto introduttivo documentazione inerente alle movimentazioni dei conti, movimentazioni comprensive degli accrediti poi più esattamente indicati quali revocabili il che, per giurisprudenza consolidata, è sufficiente ad individuare sia il petitum sia la causa petendi dell’atto introduttivo (per tutte: Cass., 22.6.07, n. 14676)”.
In effetti quanto richiesto dalla curatela nel caso specifico pare sufficientemente dettagliato.
2) Conoscenza dello stato di insolvenza
Anche su questo aspetto la sentenza si allinea alla giurisprudenza ormai consolidata.
“[…] l’onere probatorio che incombe al fallimento, da riferire alla conoscenza concreta ed effettiva e non alla mera conoscibilità” può “essere assolto ricorrendo ad elementi meramente indiziari, se pure caratterizzati dai noti requisiti della gravità, precisione e concordanza.
Va poi evidenziato come sia senza dubbio applicabile alla fattispecie il principio, da considerarsi consolidato in giurisprudenza, che riconosce agli indizi tipici della conoscenza dell’insolvenza una valenza rafforzata e maggiormente intensa, qualora l’accipiens sia un istituto di credito, in quanto tale dotato di tutti gli strumenti, privilegiati ed efficaci, diretti a garantirgli piena e tempestiva cognizione della situazione finanziaria del proprio cliente, tanto più nell’ipotesi in cui quest’ultimo, come è risultato essere nel caso in esame, sia assistito da un’apertura di credito o da un affidamento realizzato nella forma del cd. castelletto, con conseguente sua soggezione ad un costante monitoraggio da parte della banca”.
Nella fattispecie concreta il bilancio non era ancora stato presentato, all’1 settembre dell’anno successivo, erano stati elevati 20 protesti, la banca aveva revocato il fido, con una richiesta di rientro, ed era poi stato predisposto un progetto di ristrutturazione del debito. Appare logico che, con questi elementi, sia stato facile provare la conoscenza dello stato di insolvenza.
Circa il bilancio, la sentenza fa inoltre una giusta precisazione: “Si consideri in particolare, quanto all’omessa pubblicazione del bilancio di esercizio, che le banche condizionano il mantenimento delle linee di credito in essere ad un accurato esame del bilancio di esercizio, esame che viene anticipato rispetto al momento della pubblicazione del bilancio stesso al registro delle imprese, essendo usuale la richiesta al cliente affidato di anticipare la trasmissione di una bozza dello stato patrimoniale e del conto economico”.
L’osservazione corrisponde in effetti a quanto normalmente avviene, nella realtà operativa.
3) Versamenti corrispondenti alle anticipazioni su s.b.f. e fatture su conto affidato
Per quanto concerne i versamenti effettuati sul c/c per anticipazioni s.b.f. o fatture, gli stessi non costituiscono atto solutorio anomalo, come invece sostiene il fallimento. E si tratta di un concetto ormai consolidato “L’anticipo dietro presentazione di ricevuta bancaria o fattura, accompagnato dalla cessione del credito, come nel caso in esame, o da un mandato all’incasso in rem propriam con patto di compensazione, non può rappresentare un mezzo di pagamento anormale perché interviene quale atto esecutivo di un contratto tra le parti, banca e cliente”.
Ma la sentenza dice anche qualcosa di più, e cioè che “gli accrediti possono essere considerati revocabili soltanto ove risultanti a copertura (e quindi solutori) di precedenti anticipazioni rimaste insolute. Ma anche in tale ipotesi che, tra l’altro, nella fattispecie in esame non è provata […], dalla natura solutoria del versamento sul conto corrente discende al più una potenziale revocabilità ex art. 67, comma due l. fall., non già la qualificazione del versamento quale atto anomalo di pagamento (conforme Trib. Milano, 19.6.2004)” (la sottolineatura è nostra).
In effetti la fattispecie analizzata era particolare, nel senso che il fallimento riteneva trattarsi di accrediti relativi a nuove anticipazioni a copertura di precedenti insoluti, in ciò confortato dall’assenza di accrediti sul conto ordinario di importo pari o superiore agli storni su conto anticipi, contestuali o prossimi agli addebiti. E tale circostanza, ad avviso dello stesso CTU “è contraria ad un comune dato di esperienza”.
Nello stesso tempo, anche per le anticipazioni di cui sopra, non è dato comprendere se, successivamente alle stesse, siano pervenuti sul conto ordinario incassi dai clienti oggetto di anticipazione.
Le modalità operative instaurate tra la banca ed il cliente, per quanto concerne le anticipazioni, sono state quelle consuete e precisamente:
- il correntista chiedeva alla banca l’anticipazione di propri crediti recati da fatture;
- la banca concedeva l’anticipazione per un importo pari ad una percentuale del totale dei crediti di cui alle fatture presentate;
- tale anticipazione veniva accreditata sul conto corrente di corrispondenza e addebitata sul conto anticipi;
- i pagamenti dei terzi debitori al convenuto e di cui agli importi anticipati, confluivano sul conto corrente ordinario;
- lo stesso conto corrente ordinario veniva contestualmente addebitato in misura pari all’importo anticipato, con trasferimento dei fondi sul conto anticipi.
4) Rimesse solutorie e operazioni bilanciate
Il giudice Vitiello ritiene che valga anche con la nuova revocatoria la distinzione tra rimesse ripristinatorie e solutorie e quindi abbia effetto il riferimento al fido.
“Deve al contrario ritenersi che la natura solutoria della rimessa sia presupposto indispensabile della sua potenziale revocabilità, ulteriormente condizionata dalla consistenza e durevolezza della riduzione dell’esposizione debitoria.
Le fattispecie di cui all’art. 67, comma tre l. fall. non sono altro se non eccezioni al principio generale, da sempre esistente, della revocabilità dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, principio espresso dall’art. 67, comma due l. fall.”.
Si tratta di tesi decisamente minoritaria, sia in dottrina che in giurisprudenza, essendo tutta la costruzione della “nuova” normativa slegata ai precedenti concetti di conto affidato o scoperto, essendo appunto diversi i riferimenti.
Ma la stessa struttura della nuova norma lascia intendere che le operazioni bilanciate, in senso lato, non escluse da revocatoria, non potrebbero mai rientrare tra le rimesse consistenti e durevoli.
Per quanto concerne le operazioni bilanciate, non sono in ogni caso mai revocabili; la questione è del tutto pacifica, al di là della discrezionalità sulla qualificazione del bilanciamento o meno, anche in base alle nuove disposizioni.
5) Rimesse durevoli
Relativamente al principio della durevolezza, così si esprime il giudice Vitiello: “nell’interpretazione del significato dell’aggettivo durevole, quindi, va cercato un punto di equilibrio tra le viste due impostazioni teoriche, che sfocia nel concetto di stabilità nel tempo dell’effetto solutorio e si risolve nel ritenere che soltanto il versamento (con effetto riduttivo consistente) che non venga compensato da successivi prelevamenti (non necessariamente di importo corrispondente, ma anche superiore, o inferiore ma non tale da ridurre il ripianamento al di sotto dell’individuata soglia di “consistenza”), abbia l’effetto di determinare la durevole riduzione dell’esposizione debitoria.
Nella determinazione del periodo successivo rilevante ai detti fini, deve essere fatto ricorso, necessariamente, ad un criterio relativo e non assoluto, dipendente dalla valutazione della frequenza delle movimentazione del conto.
È infatti innegabile che lo stesso periodo possa avere una rilevanza diversa se riferito ad un conto caratterizzato da un’intensa movimentazione o piuttosto ad un conto con movimentazioni occasionali.
Ne deriva che qualche giorno di stabilità sarà sufficiente solo in presenza di un conto con rimesse e prelevamenti infra giornalieri, non nell’ipotesi in cui il conto sia caratterizzato da movimentazioni più rarefatte (così Trib. Milano, 27 marzo 2008, in Fall., n. 10/08, 1213)”.
L’analisi è condivisibile, salvo poi l’indeterminatezza della applicazione pratica, come a tutti è noto.
6) Il rientro è sempre revocabile
In ogni caso il rientro è sempre e comunque revocabile, sia in base alla normativa precedente, sia in base alla nuova.
“Nessun dubbio possa sussistere quanto alla durevolezza del rientro determinato dal versamento in questione, dal momento che quest’ultimo intervenne su un conto corrente ormai privo di operatività e lasciato acceso soltanto per consentire il rientro dal debito in essere (in proposito vedi anche gli accertamenti del consulente tecnico d’ufficio”.
7) Rimesse consistenti
“Per stabilire quale sia la soglia oltre la quale la restituzione alla banca possa dirsi consistente, deve escludersi che sia possibile riferirsi ad un criterio quantitativo assoluto, che prescinda cioè dagli elementi caratterizzanti la fattispecie concreta”.
Vengono quindi dettati più riferimenti, e più precisamente: “per escludere la revocabilità della rimessa è […] necessario riferirsi esclusivamente a parametri interni al rapporto (di conto corrente) in essere tra banca e correntista poi dichiarato fallito.
Ne consegue un inevitabile ampio spettro di criteri utilizzabili dal giudice, la cui discrezionalità si rivela inevitabilmente ampia.
Tali parametri possono essere integrati dall’entità massima dell’esposizione debitoria del conto corrente nel semestre antecedente al fallimento, dall’entità media delle rimesse (ed eventualmente anche dei prelevamenti) sul conto, nel periodo sospetto o nel periodo immediatamente antecedente al semestre, dall’ammontare dell’esposizione debitoria nel momento in cui la rimessa della cui consistenza si tratta è stata effettuata, infine dall’importo massimo di cui possa essere chiesta la restituzione, così come individuato applicando il principio di cui all’art. 70, u. co. l. fall.”.
Si condivide integralmente l’assunto.
8) Art. 70 l.f. applicabile anche ante correttivo
L’art. 70 l.f. risulta applicabile, secondo il giudice Vitiello, anche ante variazione normativa del 2007, con effetto per il 2008.
Ciò sarebbe anche logico, se non ci fosse la norma che detta una decorrenza posticipata per la variazione, come altra dottrina ha illustrato. Infatti non si dovrebbe poter ritenere come interpretativa, questa norma, essendo appunto stabilita una specifica decorrenza successiva. Ed allora ne consegue che non sarebbe applicabile per procedure dichiarate dal 17 marzo 2005 al 31 dicembre 2007. In base alla norma, letteralmente così dovrebbe essere.
Sotto l’aspetto pratico ne deriverebbe che per procedure dichiarate nell’intervallo temporale sopra indicato non si applicherebbe la limitazione dell’art. 70 l.f..
Sul punto, per la non applicabilità, si è pronunciato il Tribunale di Milano, Sentenza n. 6946 del 29/05/2009, estensore Dr Roberto Craveia. Anche la Cassazione si è interessata al tema (Cassazione n. 20834 del 7/10/2010), ma l’interpretazione, data obiter dicta, non è assolutamente convincente. È stato infatti affermato che si tratta di norma interpretativa, ancorché di applicazione differita. È evidente il contrasto logico, per cui ne deriva, a nostro avviso, la sostanziale inapplicabilità della norma stessa, per il passato.