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Giurisprudenza

Sequestro preventivo di un bene della società: sussiste la legittimazione del curatore se la misura cautelare è disposta dopo la dichiarazione di fallimento

11 Dicembre 2019

Federica De Gottardo, Dottoranda in Studi Giuridici Comparati ed Europei presso l’Università di Trento

Cassazione Penale, Sez. VI, 13 febbraio 2019, n. 37638 – Pres. Di Stefano, Rel. Silvestri

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Mediante la sentenza de qua la Corte di Cassazione ha esaminato la questione relativa alla legittimazione del curatore fallimentare ad impugnare un provvedimento di sequestro preventivo, disposto sui beni della società dopo la dichiarazione di fallimento della medesima. Nella specie, il giudice di prime cure ha negato la legittimazione ad agire del curatore anche nel caso di provvedimento successivo al fallimento sulla base di un’applicazione estensiva dei principi enunciati dalle Sezioni Unite nella sentenza Uniland (Sez. Un.25 settembre 2014, n. 11170), secondo cui “il creditore che non abbia ancora ottenuto l’assegnazione del bene a conclusione della procedura concorsuale non può essere considerato «terzo titolare di un diritto acquisito in buona fede»“, con la conseguente mancanza di legittimazione del curatore a proporre impugnazione del provvedimento che ha disposto il sequestro del bene per conto della massa dei creditori.

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto di soffermarsi sulle differenze specifiche tra la disposizione della misura cautelare in epoca anteriore o successiva alla dichiarazione di fallimento. A tal fine, la Suprema Corte ha esaminato il combinato disposto dell’art. 53, d.lgs. 231/2001 e dell’art. 322 c.p., da cui si ricava che il soggetto legittimato a proporre richiesta di riesame è colui che ha la disponibilità del bene sottoposto a sequestro preventivo. Sul punto, richiamando le proprie precedenti pronunce, la Corte ha preliminarmente precisato che “la disponibilità, nel settore delle cautele reali penali esige l’effettività, ovvero un reale potere di fatto sul bene che ne è oggetto” (cfr. tra le altre Cass. Pen. Sez. III, 9 gennaio 2016, n. 4097). Tale concezione della disponibilità del bene oggetto di sequestro preventivo si riverbera, ad avviso della Corte, sui profili di legittimazione ad impugnare il provvedimento da parte del curatore fallimentare: se, infatti, in ipotesi di sequestro preventivo anteriore alla dichiarazione di fallimento può dubitarsi della sussistenza del requisito della disponibilità dei beni in capo agli organi della procedura, lo stesso non può essere predicato nella diversa ipotesi in cui il provvedimento cautelare sia disposto successivamente al fallimento della società che del bene è proprietaria. In tale ultimo caso, la Corte di Cassazione ha infatti ritenuto sussistente la legittimazione del curatore sulla base di un duplice argomento di carattere normativo.

In primo luogo, la Suprema Corte ha evidenziato che la Legge Fallimentare attribuisce al curatore non solo l’amministrazione del patrimonio fallimentare (art. 31), ma altresì l’amministrazione e la disponibilità dei beni del fallito esistenti alla data di fallimento; da ciò – sostiene la Corte – si ricava che, in forza delle proprie funzioni, il curatore ha sui beni fallimentari quel potere di fatto che, a norma dell’art. 322 c.p., è idoneo a fondare la legittimazione dello stesso ad impugnare il provvedimento di sequestro preventivo. In secondo luogo, la Corte ha espressamente richiamato la nuova disposizione di cui all’art. 320 del Codice della Crisi d’Impresa (“Legittimazione del curatore”) che, seppur non ancora in vigore, indica chiaramente il mancato recepimento da parte del legislatore dei principi affermati con la sentenza Uniland, laddove depone in senso inequivoco nel senso della legittimazione del curatore all’impugnazione del provvedimento cautelare. Tale disposizione prevede infatti espressamente che “contro il decreto di sequestro e le ordinanze in materia di sequestro il curatore può proporre richiesta di riesame”.

Alla luce dei predetti argomenti, la Corte di Cassazione ha quindi affermato che “il curatore, quale organo sui generis del procedimento concorsuale che trova nella legge la legittimazione del suo «potere» e della disponibilità dei beni – in quanto funzionali al soddisfacimento delle finalità della procedura concorsuale – esercita poteri (anche processuali) preordinati alla tutela ‘finale’ dei diritti dei singoli, tutela che non può non comprendere l’attivazione di strumenti di reazione, anche in sede penale, finalizzati alla eliminazione di vincoli giuridici (e di fatto) che, come il sequestro, risultano idonei ad incidere fortemente e a pregiudicare le modalità e la tempistica del riparto dell’eventuale attivo fallimentare”.

 

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