Con il provvedimento in oggetto il TAR del Veneto affronta la legittimità delle delibere con cui alcuni enti locali hanno proceduto alla ricognizione delle partecipazioni societarie possedute, nel quadro del programma di revisione straordinaria delle stesse partecipazioni previsto dall’art. 24 del d.lgs. n. 175/2016 (cd. “riforma Madia”).
Sul punto si ricorda come tale d.lgs. n. 175 abbia imposto, all’art. 24, che le partecipazioni detenute direttamente o indirettamente dalle amministrazioni in società non riconducibili nelle categorie di cui all’art. 4 (le partecipazioni che possono essere acquisite o mantenute), o che non soddisfano i requisiti di cui all’art. 5, commi 1 e 2 (riguardanti la motivazione analitica dell’atto deliberativo di costituzione di una società a partecipazione pubblica), o ancora che ricadono in una delle ipotesi di cui all’art. 20, comma 2 (le ipotesi che impongono l’adozione di un piano di riassetto delle società partecipate, per la loro razionalizzazione, fusione o soppressione), fossero alienate dalle stesse amministrazioni, o formassero oggetto delle misure di riassetto/razionalizzazione previste dal medesimo art. 20. A tal fine, l’art. 24 imponeva agli enti locali di effettuare entro il 30 settembre 2017 la ricognizione delle partecipazioni detenute, individuando quelle da alienare, e procedendo all’alienazione entro un anno dalla conclusione della ricognizione.
Nel caso di specie, il ricorrente contestava la legittimità delle deliberazioni con le quali gli enti locali, ai suddetti fini, avevano ritenuto: da un lato le partecipazioni detenute in una società holding coerenti con il perseguimento delle proprie finalità istituzionali; dall’altro, che le attività svolte dalle società controllate dalla stessa holding consistessero in servizi di interesse generale. E questo, nonostante il carattere estremamente frammentato di tali partecipazioni e la mancanza di convenzioni, patti parasociali o di sindacato idonei a garantire il controllo congiunto dei soci pubblici sulla holding.
Nell’accogliere il ricorso, il TAR del Veneto ha evidenziato come il carattere “pulviscolare” delle partecipazioni di più enti locali in una società privata, così come il carattere minoritario della partecipazione di un solo socio pubblico, impedisce che l’attività svolta dalla società partecipata possa essere qualificata come servizio pubblico di interesse generale ai sensi della definizione prevista dall’art. 2, comma 1, lett. h D.Lgs 175/2016.
Infatti, l’art. 2, comma 1, lett. h D.Lgs 175/2016 prevede che un servizio possa essere considerato di interesse generale, solo nel caso in cui l’intervento del soggetto pubblico sia necessario per garantire l’erogazione del servizio in condizioni di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, condizioni che diversamente non potrebbero essere garantite se lo stesso fosse affidato al mercato. Ne consegue che nel caso in cui le partecipazioni degli Enti locali siano così ridotte da impedire allo stesso di influire sulle scelte strategiche della società, ovverosia non esistano particolari clausole dello statuto o patti parasociali che consentano ai suddetti Enti l’esercizio congiunto del controllo, non è possibile concludere che la società privata svolga un servizio di interesse generale secondo la definizione fornita dalla norma predetta.