La presente pronuncia offre lo spunto per alcuni chiarimenti in merito alla responsabilità penale dell’amministratore di diritto.
Questi in sintesi i fatti: all’odierna imputata – nella sua qualità di amministratore (di mero diritto) di una s.r.l. dichiarata fallita – veniva contestato di aver distratto le immobilizzazioni immateriali per un importo pari a circa 77.000,00 Euro (in concorso, tra gli altri, con l’amministratore di fatto, giudicato separatamente) e di aver sottratto i libri e le scritture contabili della Società e, oltre che di aver aggravato il dissesto della Società, astenendosi dal richiedere il fallimento.
Tralasciando quest’ultimo addebito, prendiamo le mosse dall’analisi dell’addebito di bancarotta “distrattiva”.
1.1. Come si può leggere, la Corte d’Appello esclude che la mera accettazione della carica formale di amministratore possa automaticamente comportare qualsivoglia responsabilità in capo all’amministratore di diritto, anche a titolo di concorso omissivo.
In particolare, nella vicenda in esame, l’istruttoria aveva evidenziato che l’odierna imputata era rimasta estranea all’effettiva amministrazione della società e alla concreta gestione degli affari e aveva “svolto un ruolo di mero prestanome all’interno della società, mentre la titolarità del potere gestorio ed effettivo spettava al socio di maggioranza” (p. 2).
Di conseguenza, stando così le cose, la Corte rileva che “la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto (Cass. Pen., Sez. V, n. 19049 del 19/02/2010)” (p. 3), pur precisando che, almeno in linea astratta, “sia vero che la semplice accettazione della carica da parte dell’amministratore di diritto attribuisce a quest’ultimo, sotto il profilo oggettivo, doveri di vigilanza e di controllo la cui violazione comporta responsabilità” (p. 3).
Nel caso di specie, infatti, nessun rimprovero poteva essere mosso all’odierna imputata, sotto il profilo della consapevolezza: “non erano emersi elementi da cui inferire che sussistessero concrete condotte appropriative da parte del (o degli) amministratore/i di fatto” (p. 3).
Di conseguenza, lungi dal configurare inammissibili forme di responsabilità penale da posizione, la mera accettazione della carica formale – non accompagnata dalla contestuale consapevolezza degli episodi di mala gestio da parte dell’amministratore di fatto – non comporta alcuna forma di responsabilità in capo all’amministratore di diritto.
1.2. Sulla scorta di tali principi (ossia l’assenza di qualsivoglia consapevolezza da parte dell’imputata sullo stato gestorio e contabile della Società), la Corte ritiene poi che la seconda contestazione – ossia l’addebito di bancarotta fraudolenta documentale – debba essere derubricata nel meno grave reato di bancarotta semplice documentale.
In tal senso, il Collegio prende le mosse dal tradizionale orientamento giurisprudenziale secondo cui “in tema di reati fallimentari, l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili, anche laddove sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita (cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione dell’effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari (Cass. Pen. Sez. V, n. 642 del 30/10/2013)” (p. 3).
Sennonché, tale assunto non può trovare applicazione nella vicenda in esame, dal momento che la mera accettazione della carica formale di amministratore non implica automaticamente la consapevolezza da parte dell’amministratore di diritto della fraudolenta omessa tenuta della documentazione contabile da parte dell’amministratore di fatto.
E, di conseguenza, all’amministratore di diritto (ma inconsapevole) non potrà essere mosso nessun rimprovero in ordine al delitto di bancarotta fraudolenta documentale – neppure a titolo di concorso omissivo – sulla scorta della mera presenza (all’interno di un ordinamento) di un obbligo di tenuta e conservazione delle scritture contabili.
In tal senso, a valle dell’istruttoria non erano emersi elementi da cui desumere che l’odierna imputata fosse effettivamente a conoscenza della fraudolenta omessa tenuta della documentazione contabile da parte dell’amministratore di fatto.
Stando così le cose, in “assenza di apprezzabili elementi che potessero indurre a percepire una realtà in qualche modo fraudolenta messa in campo dagli amministratori di fatto, comporta che l’essersi astenuta – omissis – dalle dovute attività di controllo rispetto alla contabilità non può essere interpretata come adesione, nemmeno implicita o connotata da dolo eventuale, della medesima rispetto alle sorti della contabilità” (p. 4).
In definitiva, “l’imputata ha […] negligentemente trascurato di coltivare l’accesso e la conoscenza delle sorti della contabilità, e sotto tale aspetto deve ritenersi responsabile per il diverso e meno grave reato di bancarotta semplice documentale” (p. 4).