Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione si sofferma sulla dibattuta questione riguardante la natura della dichiarazione di fallimento in relazione alle ipotesi di bancarotta pre-fallimentare, cioè quelle condotte – elencate dall’art. 216, comma 1, L. Fall. –poste in essere dall’imprenditore prima della dichiarazione di fallimento e da seguito delle quali, “se [l’imprenditore] è dichiarato fallito”, si configura il reato di specie.
Secondo un orientamento giurisprudenziale risalente nel tempo – e che, prima della sentenza in commento, era da reputarsi consolidato – la dichiarazione di fallimento rileva quale elemento costitutivo del reato (v. SS.UU. n. 2/1958); la giurisprudenza successiva ne ricavava il principio per cui anche il fallimento (rectius: lo stato di insolvenza che porta al fallimento)deve essere sorretto dall’elemento soggettivo [1], da un lato, e porsi in rapporto causale con la condotta dell’imprenditore, dall’altro.
La sentenza in esame si contrappone alle conclusioni raggiunte sinora dalla giurisprudenza, evidenziando come sia difficilmente configurabile, quale elemento costitutivo del reato, la dichiarazione di fallimento in quanto mero provvedimento del giudice, evidenziando inoltre come sia di dubbia legittimità costituzionale ancorare l’elemento psicologico del soggetto agente alla dichiarazione di fallimento.
Difatti, pur limitando il suo ragionamento alle ipotesi di bancarotta prefallimentare, la Corte precisa che la punibilità del reato può essere subordinata ad elementi di diversi natura: nel caso dei reati prefallimentari la dichiarazione di fallimento è una condizione estrinseca di punibilità (e non un elemento costitutivo del reato) la quale permette di limitare la rilevanza penale solo a quelle condotte del debitore cui sia seguita la dichiarazione di fallimento.
La Corte, a supporto di tale ragionamento, fa inoltre riferimento ad un importante precedente (SS.UU. n. 22474/2016) il quale, pur se in incidenter tantum, riconosceva che “la punibilità [della condotta] è subordinata alla dichiarazione di fallimento, che, ovviamente, consistendo in una pronunzia giudiziaria, si pone come evento successivo e comunque esterno alla condotta stessa”.
[1] In tali termini si v. Cass. Pen. 47502/2012.La giurisprudenza ha avuto anche modo di precisare che per la sussistenza del reato di bancarotta, essendo lo stesso a dolo generico, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza o che lo stesso abbia agito per recare pregiudizio ai creditori (V. Cass. Pen. 3229/13).