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Giurisprudenza

Sulla corretta valutazione del giudice in sede di interpretazione e applicazione della fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale

13 Settembre 2017

Marianna Geraci, Trainee Lawyer presso Studio Legale Silvestri di Roma e Dottoranda di Ricerca in Diritto Penale presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria

Cassazione Penale, Sez. V, 24 marzo 2017, n. 17819 – Pres. Aniello, Rel. Vessichelli

Di cosa si parla in questo articolo

La vendita sottocosto di un cespite conferito nel capitale sociale, con acquisizione di liquidità per la società e contestuale vantaggio – anche solo indiretto – dell’amministratore di questa, può integrare gli estremi dell’infedeltà patrimoniale prevista dall’art. 2634 c.c. ma non può, per questo, ricondursi altresì ad una fattispecie di bancarotta.       

A questa conclusione è pervenuta la V° Sezione Penale della Corte di Cassazione, pronunciatasi con la sentenza in epigrafe in materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, reato per cui il ricorrente era stato condannato all’esito del secondo grado di giudizio in ragione di un atto di cessione di un immobile – reputato distrattivo in quanto oggetto di vendita sottocosto – perfezionatosi quando la società di cui era amministratore unico iniziava a versare in uno stato di crisi finanziaria.

I giudici della Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso con cui si contestava principalmente il vizio di motivazione in ordine al motivo d’appello con cui era stata chiesta la rivalutazione psicologica dell’agente nel rispetto dell’art. 27 della Costituzione, evidenziano come tale vizio, in effetti presentatosi nel caso di specie nella forma della manifesta illogicità, sia conseguenza di un approccio ermeneutico che non tiene conto di alcuni dei principi di diritto in materia di bancarotta fraudolenta pre-fallimentare – puntualmente richiamati nella sentenza – e ai quali invece è necessario conformarsi.

In particolare, rammentando come la bancarotta pre-fallimentare sia un reato di pericolo, si afferma che tale pericolo debba allora essere necessariamente correlato all’idoneità dell’atto di depauperamento a creare un vulnus all’integrità della garanzia dei creditori – intesi come categoria e non come singoli – in caso di apertura di procedura concorsuale. Diversamente, ritenere sufficiente la constatazione in sé dell’atto distrattivo significherebbe ricostruire la fattispecie in esame in termini di pericolo presunto, ossia “come ipotesi criminosa che si affida ad una catena di presunzioni proprio sulla rimproverabilità della esposizione a pericolo del patrimonio, destinata a divenire reato fallimentare, però, solo con la successiva declaratoria giudiziale”; con ciò rendendo plausibile in alcuni casi – continuano a precisare i giudici – il sospetto di addebito a titolo di responsabilità oggettiva.

Ai fini della valutazione sulla configurabilità del reato in questione, oltre all’elemento oggettivo e soggettivo, è quindi necessario tener conto delle caratteristiche complessive dell’atto stesso, nonché della situazione finanziaria della società e, in particolare, spetta all’interprete fare attenzione alla qualità, alla natura e all’oggetto del distacco e al fatto che quest’ultimo rappresenti una sottrazione – “un permanente segno “meno”– nel patrimonio inteso come garanzia per la massa dei creditori che risulteranno poi titolati per la procedura concorsuale.

Pertanto, rispetto al caso de quo, pur ammettendo la circostanza indiziante della natura fraudolenta del distacco del bene immobile, la Cassazione ritiene l’analisi dei giudici di secondo grado non esaustiva non solo rispetto all’elemento oggettivo e soggettivo del reato ma altresì con riguardo al dato storico-giuridico – acquisito ma non considerato ai fini della decisione – che ha visto analoghi comportamenti dell’imputato (quali le vendite sottocosto di merci aventi un valore, peraltro superiore a quello dell’immobile) realizzati contestualmente all’epoca della vendita dell’immobile ora in rilievo (ossia durante i tre anni precedenti alla dichiarazione di fallimento) essere ritenuti dal primo giudice privi di rilievo penale e anzi determinati dalla necessità di reperire liquidità per soddisfare i debiti verso i fornitori.

Sulla base di tali affermazioni e dei criteri di valutazione enunciati, la V° Sezione Penale ha allora annullato la sentenza impugnata, ritenendo necessario un esame della vicenda che tenga conto dei dati cronologici e storici e delle implicazioni soggettive dell’agente – che, ad avviso dei giudici potrebbero semmai ricondursi alla summenzionata fattispecie di infedeltà patrimoniale. Al giudice del rinvio è stata chiesta un’analisi che, coerentemente con quella già svolta in primo grado, inquadri l’iniziativa dell’imputato nel contesto economico della società per accertare se – stante la lontananza della dichiarazione di fallimento e dovendosi puntualmente verificare gli intervalli di tempo che hanno scandito lo stato di crisi e di insolvenza – anche la vendita dell’immobile, al pari di quella delle merci, possa rilevare come determinazione del rischio di sottrarre il maggior valore del bene ad una eventuale e futura procedura concorsuale, conseguentemente ledendo gli interessi della massa dei singoli creditori.

 

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