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Giurisprudenza

Sulla legittimazione del curatore fallimentare all’azione di responsabilità contro gli amministratori della fallita

26 Giugno 2017

Marianna Geraci

Cassazione Civile, Sez. Un., 23 gennaio 2017, n. 1641

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza in commento, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono di recente pronunciate in merito alla legittimazione del curatore fallimentare ad esercitare l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori della società fallita che abbiano eseguito pagamenti preferenziali.

In primo luogo, la Corte si pronuncia relativamente alla legittimazione del curatore fallimentare ad esperire le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società avente la forma di società a responsabilità limitata. In particolare, rammentando che l’art. 146 L. fall. – così come modificato dal D.lgs. n. 5 del 2006 – legittima il curatore ad esercitare “le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori” della società fallita, la Corte conferma la possibilità per il Curatore di esercitare l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di qualsiasi società, a prescindere dalla forma adottata.

I giudici, in secondo luogo, affrontano poi la controversa questione avente ad oggetto il rapporto tra l’esercizio dell’azione civile in sede penale e l’azione di responsabilità disciplinata dal codice civile. Non è infatti pacifico nella giurisprudenza penale se vi sia piena sovrapponibilità tra l’esercizio dell’azione civile nel processo penale e quello dell’azione di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c. oppure tale sovrapponibilità sia esclusa per il fatto che l’azione civile, quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato, investa anche il danno non patrimoniale risarcibile ex art. 2059 c.c.

Sul punto, i giudici delle Sezioni Unite civili sostengono che le azioni di responsabilità degli amministratori, pur essendo esperibili cumulativamente da parte del curatore fallimentare, possiedono e dunque mantengono titoli distinti ed autonomi. A conferma di ciò, ricordano che mentre l’azione ai sensi dell’art. 2393 c.c. ha natura contrattuale e presuppone un danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo, quella ai sensi dell’art. 2394 c.c. ha invece natura extracontrattuale e suo presupposto è l’insufficienza patrimoniale cagionata dall’inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale, così concludendo per il riconoscimento della duplice titolarità del curatore a far valere sia l’azione spettante alla società, in quanto gestore del patrimonio dell’imprenditore fallito, sia le azioni che spetterebbero ai singoli creditori, in quanto azioni “di massa”. Viene dunque affermato il principio di diritto secondo cui “il curatore fallimentare ha legittimazione attiva unitaria, in sede penale come in sede civile, all’esercizio di qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziali commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori”.

La Suprema Corte sostiene, infine, l’idoneità dei pagamenti preferenziali ad arrecare danno alla società e conseguentemente l’incidenza di tali pagamenti sulla par condicio creditorum. Si precisa, infatti, come il pagamento preferenziale – contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d’Appello – non si limiti ad arrecare danno ai soli creditori insoddisfatti, ben potendo, in una situazione di dissesto, comportare un danno alla società concretamente rappresentato dalla riduzione del patrimonio sociale in misura persino superiore a quella che si determinerebbe rispettando il principio della par condicio creditorum. Invero, anche da un punto di vista esclusivamente contabile, il pagamento di un creditore in misura anche di molto superiore a quello che otterrebbe in sede concorsuale comporta per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale cagionata dall’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia creditoria.

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