Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione definisce i criteri per valutare l’idoneità di un’operazione ad essere considerata quale episodio di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
In particolare, è necessario che la condotta contestata sia in grado di determinare un pericolo di una effettiva diminuzione patrimoniale, senza che – di riflesso – tale scelta gestionale trovi una sua giustificazione nella logica d’impresa, risolvendosi invece in una ingiustificata e volontaria sottrazione dei beni dell’impresa dall’aggressione (legittima) dei creditori.
È pertanto necessario interrogarsi se, non una sottrazione, ma una “trasformazione” dei beni della società (ad esempio l’acquisto di un immobile utilizzando le liquidità dell’azienda) possa – di per sé – configurare una condotta rilevante ai fini del reato di bancarotta fraudolenta.
Sul punto, la Corte ribadisce il principio per il quale ex se la trasformazione dei beni della società non configura una condotta rilevante ai fini del reato di bancarotta fraudolenta, ma può assumere rilievo soltanto quando si accerti che l’operazione compiuta non sia avvenuta nel rispetto dei valori di mercato ovvero che la stessa sia funzionale a rendere più difficoltosa la futura liquidazione del patrimonio (sempre con riferimento all’esempio poc’anzi citato, qualora l’immobile abbia un valore di realizzo “problematico”); in tale ipotesi, difatti, si realizza una diminuzione del patrimonio della fallita, condizione richiesta per la configurabilità del reato di bancarotta fraudolenta.