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Giurisprudenza

Prova del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione

12 Settembre 2016

Alberto Casazza

Cassazione Penale, Sez. V, 06 maggio 2016, n. 18980 – Pres. Nappi, Rel. Pezzullo

Di cosa si parla in questo articolo

La Suprema Corte cassa con rinvio una pronuncia di secondo grado che aveva condannato un imprenditore per bancarotta fraudolenta per distrazione, sulla base di alcune prove giudicate, in sede di legittimità, come non idonee a fondare un giudizio di colpevolezza dell’imputato.

Ad avviso dei giudici di legittimità, la sentenza della Corte d’Appello deve essere riformata con riguardo a tre fondamentali profili:

1) in primo luogo, al fine di ritenere provato l’illecito trattenimento (e quindi la sottrazione al patrimonio societario) di una caparra confirmatoria, versata all’imprenditore in ragione di un preliminare di compravendita stipulato per scrittura privata autenticata, non può essere giudicata conferente la predetta scrittura, in quanto il notaio in sede di stipula si è limitato ad autenticare le firme, senza effettuare una attestazione della dazione di denaro a titolo di caparra. La Corte cita a supporto Cass. pen., Sez. V, n. 35882/2010, secondo cui «in tema di bancarotta per distrazione, il mancato rinvenimento all’atto della dichiarazione di fallimento di beni o valori societari costituisce valida presunzione della loro dolosa distrazione, a condizione che sia accertata la previa disponibilità, da parte dell’imputato, di detti beni o attività nella loro esatta dimensione e al di fuori di qualsivoglia presunzione».

2) In secondo luogo, con riferimento alla distrazione di un’autovettura concessa in leasing, in secondo grado risultava dalle difese dell’imputato non solo che il bene era stato consegnato a soggetti terzi, ma anche che alcune valutazioni erano idonee a far ritenere non integrato l’elemento psicologico del reato. Su tali considerazioni, tuttavia, la Corte d’Appello non si è espressa: secondo la Cassazione (Cass. pen., Sez. V, n. 44898/2015), «in tema di bancarotta per distrazione di beni ottenuti in leasing, ai fini della configurabilità del reato in capo all’utilizzatore poi fallito, è necessario che tali beni siano nella sua effettiva disponibilità, in conseguenza dell’avvenuta consegna, e che di essi vi sia stata “appropriazione”».

3) Infine, riguardo alla contestazione di un reato di bancarotta impropria per operazioni dolose consistenti in un acquisto immobiliare con modalità fraudolente, in secondo grado non si è adeguatamente motivata la sussistenza di un nesso causale tra le operazioni ed il fallimento, anche in considerazione del fatto che a) era riscontrabile una distanza temporale tra i due avvenimenti; b) l’acquisto immobiliare aveva determinato, in definitiva, un incremento patrimoniale per la società fallita. La Corte richiama, in proposito, due massime di legittimità: «in tema di bancarotta fraudolenta ex art. 223, comma secondo, n. 2, l. fall., le operazioni dolose che hanno cagionato il fallimento devono sempre comportare un’indebita diminuzione dell’attivo, ossia un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per l’impresa» (Cass. pen., Sez. V, n. 17690/2010); inoltre, «in tema di bancarotta fraudolenta impropria, nell’ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non determinanti un immediato depauperamento della società, la condotta di reato è configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, alla prevedibilità del dissesto come effetto della condotta antidoverosa» (Cass. pen., Sez. V, n. 45672/2015).

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