La Corte di Cassazione si è pronunciata – ancora una volta nell’arco di poche settimane – sulle “nuove” fattispecie di false comunicazioni sociali, così come disciplinate dagli articoli 2621 e 2622 del Codice Civile e recentemente riformate dalla Legge 27 maggio 2015, n. 69. In particolare, la pronuncia commentata ha analizzato la rilevanza (e gli effetti) della mancata riproduzione nel testo di legge attualmente in vigore dell’inciso “ancorché oggetto di valutazione” (originariamente introdotto nei citati articoli dal Decreto Legislativo 11 aprile 2002, n. 61).
L’interpretazione assunta dalla Corte nella pronuncia in esame ha esplicitamente ripreso e dato continuità alle conclusioni raggiunte dalla medesima Quinta Sezione nella sentenza dello scorso 30 luglio 2015, n. 33774 (cfr. contenuti correlati). In tale pronuncia, il giudice di legittimità aveva sostenuto la sopravvenuta irrilevanza dal punto di vista penale del “falso estimativo” – ossia del falso realizzato attraverso un illecito utilizzo dei criteri di valutazione delle voci di bilancio – in ragione, fra l’altro: (i) di un’interpretazione letterale rigorosa; (ii) della valorizzazione del principio ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit; (iii) dell’esigenza di tutela del principio di tassatività; (iv) dell’intenzione abrogatrice riscontrabile nella mancata riproduzione del menzionato inciso “ancorché oggetto di valutazione” da parte della Legge 69/2015; e (v) della valorizzazione della permanenza di detto inciso nell’articolo 2638 del Codice Civile.
La sentenza in commento, inoltre, ha posto l’attenzione dell’interprete:
- sull’iter parlamentare di formazione del testo normativo vigente, da cui emergerebbe (secondo l’analisi della Corte) l’esplicita volontà di elidere qualsivoglia rilevanza penalistica dei falsi estimativi; e
- sul fatto che gli articoli 2621 e 2622 del Codice fanno ora riferimento ai “fatti materiali rilevanti” omessi o non rispondenti al vero, non più alle “informazioni” (la Cassazione fa discendere dall’uso della locuzione “falsi materiali rilevanti” la volontà del legislatore di limitare le false comunicazioni sociali ai soli “fatti” omessi o falsi, non anche all’illecito utilizzo delle valutazioni di bilancio, pur in presenza di fatti esistenti).
La sentenza in esame, adottando tale conclusione argomentativa, ha sconfessato il recente orientamento che aveva preso le distanze dalla citata pronuncia n. 33774, sottolineando come la riforma apportata dalla Legge 69/2015 non avesse in alcun modo abrogato il “falso estimativo” (Cass. Pen., Sez. V, 12 gennaio 2016, n. 890; cfr. contenuti correlati).
La pronuncia del 12 gennaio 2016, n. 890 – riprendendo quanto dichiarato dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Suprema Corte nella “Relazione per la Quinta Sezione Penale del 15 ottobre 2015” – aveva infatti sottolineato, fra l’altro, l’importanza della ratio legis (analizzata anche in base a un’interpretazione sistematica, che mai avrebbe portato a statuire l’irrilevanza delle false comunicazioni sociali più insidiose), nonché del valore meramente ridondante dell’inciso “ancorché oggetto di valutazione”, la cui eliminazione non avrebbe potuto sortire alcun effetto abrogativo.
La Suprema Corte ha dunque (nuovamente) mutato il proprio orientamento in relazione all’interpretazione di norme penali fondamentali per il buon andamento economico, quali quelle volte a sanzionare le false comunicazioni sociali.
Giunti alla terza, decisa e contrastante, presa di posizione della Quinta Sezione Penale della Corte, l’interprete attende (fiduciosamente) la remissione alle Sezioni Unite, affinché venga individuato un univoco percorso interpretativo, quantomeno da parte del giudice di legittimità.