Il dipendente della società, visto che ha il possesso ed è a conoscenza del PIN della carta di credito aziendale, è il titolare qualificato all’utilizzo della stessa; ne consegue che l’uso indebito della carta per trarne un ingiusto profitto integra il reato di appropriazione indebita ex art.646 c.p. e non quello di indebito utilizzo di carta di credito previsto dall’art. 55 comma 9 del D. Lgs. 231/2007 in materia di antiriciclaggio.
Nel caso di specie, veniva in rilievo l’utilizzo da parte del dipendente di una società della carta di credito aziendale per effettuare rifornimenti di carburante a mezzi non dell’azienda. Il Supremo Collegio rileva che la norma dell’art. 55, comma 9 del D. Lgs n. 231/2007 sanziona chiunque “indebitamente utilizza, non essendone titolare” carte di credito o altro documento analogo “al fine di trarne profitto per sé o per altri”. La Corte afferma che l’imputato è il titolare qualificato all’uso della carta e quindi il fatto non integra, di per sé, il reato ascritto: a prescindere dal dato formale che la tessera fosse intestata alla società, egli ne poteva disporre liberamente, visto che la stessa era in suo possesso ed era a conoscenza del codice PIN. Ciò chiarito, la Suprema Corte precisa che, in ogni caso, il comportamento tenuto dal dipendente è penalmente rilevante; l’imputato, infatti, si è comunque appropriato della carta di cui aveva il possesso per trarne un ingiusto profitto, integrando così la fattispecie del reato di appropriazione indebita prevista dall’art. 646 c.p.