La Corte di cassazione, con la sentenza n. 39379 del 2016, ha ribadito che ai fini dell’individuazione del superamento o meno della soglia di punibilità nonché allo scopo di determinare l’imposta evasa, compete esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all’accertamento e alla determinazione dell’ammontare dell’imposta non dichiarata, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario – non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria.
Nel caso in esame, la Corte d’appello, nel determinare l’ammontare dell’imposta sottratta al Fisco, aveva disatteso il rilievo dell’imputato in ordine alla necessità di considerare non solo i costi dichiarati e riferiti ai ricavi indicati in contabilità, ma anche i costi di acquisto dei beni oggetto delle vendite “in nero”.
I Supremi giudici, invece, confermando i precedenti giurisprudenziali[1], hanno affermato che per “imposta evasa” debba intendersi l’intera imposta dovuta, da determinarsi, tenuto conto delle risultanze probatorie acquisite nel processo penale, sulla base delle analisi e della contrapposizione tra ricavi e costi d’esercizio fiscalmente deducibili, in una prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento tributario.
Muovendo da tale assunto, la Corte di cassazione, nel caso in questione, ha stabilito che, sia al fine della determinazione dell’imposta sottratta all’erario, che al fine della verifica del superamento delle soglie di rilevanza penale previste dall’art. 4, del D.lgs. n. 74/2000, bisogna tener conto anche gli elementi negativi del reddito non registrati in contabilità relativi alle operazioni attive i cui ricavi non sono stati indicati nelle dichiarazioni fiscali. Ovviamente, “a condizione che siano legittimamente detraibili” o, in ogni caso, presumibili, “spettando esclusivamente al giudice penale il compito di accertare e determinare l’imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi (…) con quella effettuata dinanzi al giudice tributario”.
Detto ciò, va tuttavia rilevato in questa sede che se è vero che il giudice penale non è vincolato ai risultati degli accertamenti fiscali, è anche vero che lo stesso non può prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale per determinare l’imposta evasa in quanto “cambia la regola di giudizio, non la regola da applicare”[2]. Pertanto, con riferimento alla presunzione dell’esistenza di costi deducibili, occorrerebbe quanto meno una prova diretta o indiziaria che renda legittima la loro sussistenza[3].
[1] Cass., 38684/2014; 21213/2008.
[2] Cfr. Cass., 37094/2015.
[3] Cfr. Cass., 37131/2013.